di Giuliano Noci
Il Sud Italia somiglia a una grande nave. È possente, ricca di storia e cultura, ancorata nel porto più strategico del mondo: il Mediterraneo. Ha vele pronte a catturare il vento, un ponte di comando che guarda a tre continenti, un carico di ricchezze naturali e umane. Eppure, troppo spesso, questa nave resta ferma. Intanto, altre flotte passano accanto, tracciano nuove rotte, ridisegnano i commerci e gli equilibri geopolitici.
Il Mediterraneo è oggi il cuore di un nuovo scacchiere globale: rappresenta solo l’8% delle acque del pianeta, ma ospita un quarto del traffico marittimo mondiale. Eppure, i porti del Sud rimangono sotto-utilizzati, pur avendo spazi, infrastrutture e posizione geografica per diventare veri hub europei.
L’economia del mare, o “blue economy”, può essere la leva che trasforma il Mezzogiorno nel motore di crescita nazionale. Tre sono i pilastri: trasporto marittimo, energia e turismo. Trasporti, perché il Sud è naturalmente un ponte tra Asia, Africa ed Europa. Energia, perché dopo la crisi ucraina il Mediterraneo è diventato snodo per gas, petrolio ma anche rinnovabili come eolico offshore e fotovoltaico marino. Turismo, perché le coste, i parchi naturali e i borghi marinari possono diventare un’offerta unica per attrarre viaggiatori da tutto il mondo.
Ma per far salpare questa nave serve una rotta chiara: porti digitalizzati e sostenibili, percorsi di formazione tecnica e manageriale, strumenti di finanza dedicata all’economia blu. Serve, soprattutto, smettere con i piccoli interventi frammentati e cominciare a ragionare come un vero equipaggio che rema nella stessa direzione.
Il vento è a favore, le vele ci sono. Ora bisogna mollare gli ormeggi. Perché un Sud che resta fermo è un Sud che rinuncia al suo destino naturale: essere il timoniere della crescita del Paese.

