di Tania Perfetti
La prostituzione medievale si colloca in uno spazio ambiguo, sospeso tra condanna morale e tolleranza pratica, tra repressione e istituzionalizzazione. Parlare di prostituzione in quell’epoca significa penetrare nel cuore di un mondo che riconosceva l’ineluttabilità di certi comportamenti, pur avvertendone il peso del peccato. La Chiesa, i poteri comunali e le comunità urbane svilupparono nei secoli un atteggiamento oscillante: da un lato la donna che si prostituiva era considerata peccatrice e reietta, dall’altro la sua presenza veniva accettata, persino regolamentata, come male necessario alla salvaguardia dell’ordine sociale.
LA TOLLERANZA DEL “MALE NECESSARIO”
Già sant’Agostino nelle sue riflessioni sulla società cristiana, sosteneva: «togliete le prostitute dalla società e scuoterete tutto con i piaceri» (De ordine, II, 4). Questa idea di “male necessario” divenne un punto di riferimento nel Medioevo, trovando eco in Tommaso d’Aquino, che nella Summa Theologiae (II-II, q. 10, a. 11) ribadiva la necessità di tollerare certi mali per evitarne di peggiori.
Da queste premesse derivò la pratica, a partire dal XIII secolo, di regolamentare la prostituzione anziché abolirla. Le città comunali istituirono veri e propri bordelli pubblici, sottoposti a un controllo preciso: non si trattava di un’accettazione morale, bensì di un contenimento pragmatico.
LEGGI E REGOLAMENTI COMUNALI
Gli statuti medievali offrono un materiale ricchissimo. A Perugia, gli Statuti del 1342 prescrivevano che le prostitute vivessero in zone delimitate e portassero un segno distintivo, pena una multa. A Firenze, i Capitoli del bordello del 1403 fissavano il luogo in cui le donne dovevano esercitare, le tariffe e persino le modalità di vestizione, proibendo loro di indossare sete o gioielli, riservati alle donne “oneste”.
Siena istituì già nel 1309-1310 un bordello comunale nei pressi di Porta Ovile: i proventi delle tasse pagate dalle prostitute andavano a finanziare spese cittadine, un aspetto che rivela l’integrazione fiscale del fenomeno. A Bologna, invece, gli statuti del 1259 e del 1288 imponevano che le meretrici risiedessero in zone marginali, come il “Borgo delle Tette”, ben lontano dalle chiese e dalle scuole.
Anche fuori dall’Italia il modello era diffuso. Ad Avignone, nel XIV secolo, il bordello comunale fu posto sotto la protezione papale: le autorità ecclesiastiche preferivano incanalare e controllare la prostituzione piuttosto che combatterla con una repressione inefficace.
MARGINALITA’ E INTEGRAZIONE
Le prostitute vivevano in una condizione paradossale: isolate e stigmatizzate, ma al tempo stesso parte integrante della vita urbana. Erano spesso costrette a portare abiti distintivi: a Venezia, per esempio, dal 1360 fu loro imposto di indossare una sciarpa gialla; a Bologna, una manica speciale di colore rosso. Il colore non era casuale: il giallo richiamava il tradimento e l’infamia, il rosso la lussuria.
Molte provenivano da famiglie contadine migrate in città, senza dote o sostegno familiare. Alcune vi giungevano per debiti, altre dopo violenze o abbandoni. Gli statuti comunali cercavano di “incanalare” queste vite, relegandole ai margini, ma non riuscivano mai a estirpare il fenomeno, perché la prostituzione svolgeva una funzione economica e sociale riconosciuta, pur se contraddittoria.
REPRESSIONE E REDENZIONE
La condanna morale non veniva mai meno. Predicatori come Bernardino da Siena e Girolamo Savonarola inveivano con veemenza contro le meretrici e i loro clienti, vedendo nella prostituzione il simbolo della decadenza morale delle città.
Parallelamente si sviluppò un movimento di “redenzione”: ordini religiosi e confraternite istituirono domus conversorum o “case delle convertite”, dove le prostitute pentite potevano ritirarsi. A Firenze, le Convertite di Santa Maria Maddalena nacquero proprio con questo scopo. La figura della Maddalena, trasformata da peccatrice in penitente, divenne il modello spirituale di queste esperienze.
UNA LENTE SULLA SOCIETA’ MEDIEVALE
La prostituzione medievale è dunque una finestra privilegiata sulla mentalità del tempo. Essa riflette il continuo compromesso tra il rigore della morale cristiana e le necessità concrete dell’ordine urbano. I bordelli pubblici e i regolamenti comunali mostrano un Medioevo meno monolitico di quanto si creda: capace di grande severità, ma anche di un pragmatismo che giustificava il peccato per garantire stabilità sociale.
La condizione della prostituta medievale ci ricorda infine come la marginalità femminile fosse strettamente legata alla questione economica, alla dote, al matrimonio e alle fragilità della vita urbana. Guardare a queste figure significa leggere non solo la storia di donne emarginate, ma le dinamiche profonde di una società che, proclamando l’ideale della purezza cristiana, doveva fare i conti quotidianamente con le contraddizioni del corpo e necessità.
FONTI PRIMARIE
• Statuti comunali di Bologna (1259, 1288).Statuti di Perugia (1342).
• Capitoli del bordello di Firenze (1403). Statuti di Siena (1309-1310). Agostino d’Ippona, De ordine.
• Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae. Bibliografia secondaria Jacques Rossiaud, La prostituzione nel Medioevo, Bologna, Il Mulino, 1985.
• Carlo Ginzburg, Ecstasies: Deciphering the Witches’ Sabbath, New York, Pantheon, 1989.
• James Brundage, Law, Sex, and Christian Society in Medieval Europe, Chicago, University of Chicago Press, 1987.
• Guido Ruggiero, The Boundaries of Eros: Sex Crime and Sexuality in Renaissance Venice, Oxford, Oxford University Press, 1985.
IMMAGINE
Un bordello-bagno nel 1470. Questo acquerello raffigura un uomo in abiti di corte e un re che guardano attraverso una finestra osservando la dissolutezza nei bagni. Uomini e donne nudi si lavano e mangiano insieme, mentre due coppie nei bagni e una coppia in una stanza adiacente si baciano e si accarezzano. Le prostitute indossano veli elaborati e collane di gioielli. Il pittore, il Maestro di Antonio di Borgogna, scelse di ambientare la scena di lusso in un bordello o bagno fiammingo contemporaneo.

