di Luca Rudra Vincenzini
“Con SA in espirazione e HA in inspirazione, l’individuo recita ininterrottamente il mantra haṃsa per ventunomilaseicento volte”, Vijñānabhairavatantram.
Haṃsa è il mantra naturale (sahaja), quello che gli Āgama, in primis il Vijñānabhairavatantram, asseriscono venga ripetuto spontaneamente anche dallo stolto, seppur inconsapevolmente, per 21.600 volte al giorno. Haṃsa è come sappiamo, non solo ahaṃ saḥ “io sono quello”, ma anche l’oca selvatica (हंस). È lei (mantra) che poggiata sulla superficie del lago (la mente-citta), abbandona il fango (mala-impurità) e lasciando dietro di sé le increspature dell’acqua (pensieri-vṛtti), maestosa si alza in volo (analogia per l’elevazione della kuṇḍalinī). Sfrecciando verso il cielo (vyoman, analogia-sāndhya per la coscienza, il Sé-ātman), vola avvolta nel mistero (rahasya) in alto al centro (madhya, sinonimo per la suṣumṇā) tra Sole (sūrya, principio femminile=sangue mestruale) e Luna (candra, principio maschile= liquido seminale).
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