a cura di Cristina Adorni Fontana
1924
Episodio avvenuto ad una conferenza tenutasi durante uno dei viaggi in America.
Una persona presente tra il pubblico si rivolge a Gurdjieff:
“Voi, signor Gurdjieff, avete turbato il mio mondo interiore. Ora le mie opinioni, i miei punti di vista, vacillano e non credo che resisteranno a lungo. Presto non crederò più nell’intera formazione che la vita mi ha dato finora, e di questo ho paura. Ho paura di rimanere sospeso nel vuoto, ho paura di non trovare nelle vostre teorie elementi sufficienti a creare nuove fondamenta, e già percepisco l’infelicità e la sofferenza dell’uomo che si è perduto. Fino a ora mi sentivo la terra sotto ai piedi, ora la terra è instabile. Quale diritto avete di sottrarre in questo modo a me e agli altri il nostro equilibrio morale e psichico?”
L’uomo accusò e incolpò Gurdjieff di compiere un’azione che distruggeva il suo mondo interiore. Il pubblico ora si era calmato, e il gran silenzio creatosi rivelava l’inquietudine di ciascuno per la propria situazione e l’interesse per la risposta che sarebbe giunta. Gurdjieff sembrava essersi aspettato un’obiezione del genere, e sul suo viso passò un’espressione lievemente soddisfatta.
“Conosco bene le vostre paure e le vostre inquietudini, rispose, e vedo che la penetrazione di queste idee nella vostra coscienza è stata più rapida dell’acquisizione delle conoscenze precise della situazione dell’uomo in questo mondo. Ognuno di noi fino a un certo punto della propria esistenza, e qualcuno fino alla morte, crede nella solidità del terreno su cui avanza durante la vita. Ma se vi rendeste conto che in voi non c’è nessun equilibrio, che la vostra stabilità morale e psichica è basata sulla cecità spirituale, che nessuno, compreso voi, è in grado di agire; se vi convinceste che state andando tutti verso un precipizio dove cadrete sparendo nel nulla, forse allora sentireste il bisogno di sapere dove porta la strada che state percorrendo. Io la conosco quella strada, e voglio evitarvi pianto e stridor di denti. È vero che coloro che affrontano la via di cui parlo prevedono la paura, alcuni la provano anche, ma non sono loro che la provano, accade al loro interno; quella paura non appartiene al vostro sè essenziale. Appartiene a quegli esseri al vostro interno che vi devono abbandonare per poter continuare il cammino interrotto. Questi esseri, questi ‘io’, vivono nell’uomo e diventano coscienti del pericolo che li attende se l’uomo si renderà conto della realtà; sono loro che provocano in lui la paura, e fanno nascere l’impulso di mandare al diavolo tutto ciò che vi sto dicendo. Dite che prevedete infelicità e sofferenza, e questo è giusto: felice colui che non sa niente sulla propria situazione, e ugualmente felice colui che raggiunge il termine della propria evoluzione; ma guai a colui che ha riconosciuto alcune verità fondamentali, che cioè possiede un certo genere di coscienza, ma che usa quella coscienza solo per esercitare una funzione simile a quella della polizia, che punisce gli uomini dopo che hanno commesso un crimine. È comodo stare seduti su una sedia o su una panca, ma è più comodo starsene sprofondati in poltrona. Guai però a chi si è alzato da una panca o da uno sgabello, ma non ha ancora raggiunto la poltrona su cui voleva rilassarsi. È sopraffatto dalla sofferenza. È bello essere un corvo, ma il pavone è più ammirato e ricercato. Guai al corvo sul cui piumaggio corvino sono comparse soltanto un paio di piume di pavone. Gli altri corvi lo rifiutano perché li mette in imbarazzo, i pavoni non accolgono fra di loro un aborto di pavone, e lo beccano. A dire il vero non lo beccano, ma il corvo prende come un rimprovero personale tutto ciò che sente dire ai pavoni, ed è lui stesso che fugge la loro compagnia. Forse milioni di uomini si troveranno un giorno nella stessa situazione, ma il processo non si fermerà per questo. Ebbene, un solo uomo potrebbe compensare un milione di falliti, falliti per causa propria e pieni di sofferenza; un uomo solo sarebbe sufficiente, uno solo che riuscisse a sfuggire al triste destino che attende tutti coloro che rifiutano di compiere il proprio dovere di fronte alla Natura.”
A quel punto si udirono le proteste di molti spettatori: “Ma con che diritto? Perché, dunque? A che scopo?”
Gurdjieff sorrise, e con un velo di compassione nella voce, continuò:
“Un uomo salvato ne salverà dieci, i dieci ne salveranno cento, i cento migliaia, e le migliaia milioni. E dunque milioni di sofferenze, milioni di sofferenti e di infelici si risolleveranno grazie a milioni di uomini felici, e centinaia di milioni di uomini percepiranno i benefici della presenza fra loro di questi nuovi esseri umani. Per quanto riguarda il diritto, esso trova la sua sorgente nella coscienza oggettiva delle cose. Se c’è una differenza fra la felicità, l’equilibrio e il chimerico benessere degli uomini che vanno verso il nulla senza saperlo, e la sofferenza e l’infelicità che provano coloro che sanno di andare verso l’annientamento, questa differenza sta nel fatto che gli uni non sanno niente, e gli altri soffrono per il rimorso e i rimproveri che fanno a se stessi. Ma, oggettivamente parlando, fra gli uni e gli altri non c’è differenza alcuna. Il giardiniere non tiene conto dei legumi che estrae dalla terra per sfoltire le piante e creare le condizioni necessarie alla fioritura. Ciò che fa soffrire è il non approfittare di quelle condizioni.”

