di Giuseppe Aiello
La visione islamica del trauma psicologico — come elaborata da maestri come al-Ghazālī, Ibn al-Qayyim, Ibn ‘Aṭā’ Allāh, e più tardi da studiosi contemporanei di psicologia islamica — è una delle più profonde sintesi tra “spiritualità, filosofia del sé” e “cura del cuore” (tazkiyat an-nafs).
Nel linguaggio moderno, il “trauma” è un evento o una serie di esperienze che superano la capacità di elaborazione psicologica dell’individuo.
Nella visione islamica, una sofferenza simile è vista come una frattura dell’equilibrio interiore (mizān an-nafs) — un disequilibrio tra le tre componenti principali dell’anima:
“AL-NAFS AL-AMMARAH”= “l’anima istintiva o egoica” – FUNZIONE: Desiderio, impulso, sopravvivenza – IN SQUILIBRIO CAUSA: Ansia, paura, senso di colpa eccessivo
“AL-QALB” = il cuore spirituale – FUNZIONE: Sede della coscienza e della fede e dell’intelletto divino- IN SQUILIBRIO CAUSA: Dolore interiore, confusione, perdita di senso
“AL-RUH” = lo spirito puro, connesso ad Allah – FUNZIONE: Fonte di pace e intuizione – IN SQUILIBRIO CAUSA: Spersonalizzazione, senso di distacco, vuoto esistenziale
Il trauma, secondo al-Ghazālī, non è solo “psichico”, ma colpisce la percezione della realtà: il cuore si “oscura” (ghafla) e perde la consapevolezza della Presenza divina (ḥuḍūr).
Questo spiega, secondo al-Ghazali, perché chi soffre di depersonalizzazione spesso dice: “Mi sento come se non fossi io” — è una perdita temporanea di connessione con il rūḥ, la parte più luminosa dell’essere.
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DAL DOLORE ALLA PRESENZA (ḥuḍūr)
Ibn al-Qayyim spiega che ogni sofferenza ha due dimensioni:
1. Fisica o psichica — il dolore sentito;
2. Spirituale — il significato attribuito al dolore.
L’Islam lavora sul secondo livello, ossia non elimina necessariamente il dolore, ma lo trasforma in luce e consapevolezza.
Il cuore, dice al-Ghazālī, “guarisce quando riscopre la sua direzione verso Allah” — cioè quando il dolore diventa una sveglia interiore.
“Le prove sono messaggi che Allah invia al cuore per richiamarlo alla Sua vicinanza.” — (Ibn ʿAṭā’ Allāh)
In pratica, secondo la psicologia islamica tradizionale, il trauma non è la fine della pace, ma “una soglia di trasformazione”, per cui il cammino di guarigione diventa “ibadah”, ossia un “atto di adorazione”.
Al-Ghazālī paragona il dolore dell’anima alla malattia del corpo:
“Come il corpo si ammala per eccesso di cibo o mancanza di equilibrio, così il cuore si ammala per eccesso di attaccamento o mancanza di dhikr.”
Perciò, la terapia islamica (tazkiyah) non cerca di “rimuovere” il dolore, ma di “purificare le cause interiori”:
- attaccamento eccessivo al controllo;
- paura della perdita;
- dimenticanza del significato spirituale della vita.
La guarigione, allora, è un ritorno alla “coerenza interiore (ṣalāḥ al-qalb)”, quando la mente, il cuore e lo spirito tornano ad agire in armonia e sono di nuovo “allineati”.
Nel suo testo Madārij al-Sālikīn, Ibn al-Qayyim descrive tre stadi che ricordano un percorso terapeutico moderno:
Tafakkur – Consapevolezza
Osservare il proprio dolore senza giudizio, riconoscendo che proviene da Allah ma anche che è parte di un processo educativo dell’anima (tarbiyat an-nafs).
Tawbah – Ritorno
Non nel senso di colpa, ma di “riconnettersi alla propria origine spirituale”. È il momento in cui l’anima smette di “scappare” e “si ferma”, ammettendo il bisogno di guarigione e di luce divina.
Tawakkul & Riḍā – Affidamento e serenità
Il cuore accetta ciò che è accaduto come parte del decreto (qadar), ma non passivamente. È una fiducia attiva: “So che questa prova mi è data per avvicinarmi a Lui.” Questo è lo stadio della vera pace interiore (sakīnah).
La sensazione di “non essere in se stessi” è vista, nella psicologia islamica, come un effetto di disconnessione temporanea tra cuore e spirito.
Non è segno di una patologia psichica, ma di “stanchezza profonda del cuore” (taʿab al-qalb).
Il rimedio indicato da Ibn Qayyim e altri:
- Dhikr consapevole (ripetizione dei Nomi divini con attenzione al respiro e al corpo);
- Sujūd prolungato, che “ricentra” l’io nel suo stato naturale di prostrazione, in cui la nafs è sottomessa e obbediente al Sè superiore, e quindi a Dio.
- Silenzio meditativo (tafakkur), osservando i pensieri come nuvole che passano.
“Quando il cuore si allontana dal suo Signore, perde il senso di sé.” — (Ibn al-Qayyim, Al-Fawā’id)
Il trauma non si “guarisce” con la forza di volontà, ma con raḥmah, la compassione verso se stessi.
Allah stesso si presenta nel Corano prima di tutto come Ar-Raḥmān, Ar-Raḥīm: la fonte di ogni guarigione è la misericordia.
Il processo di guarigione richiede:
- Tempo — non forzare la rinascita del cuore;
- Dolcezza — come si tratta una ferita, non come si rompe un muro;
- Ritualità sacra — piccoli atti di dhikr, du‘ā, salāh con presenza.

