a cura di Tania Perfetti
Il Medioevo europeo non considerava la morte come un confine netto e impenetrabile, bensì come uno spazio poroso, attraversato da presenze ambigue e inquietanti. Il tema dei non morti, cadaveri che ritornano dalla tomba per tormentare i vivi, non appartiene soltanto al folklore popolare, ma emerge in fonti letterarie, cronachistiche, teologiche e persino archeologiche, dimostrando come la società medievale abbia realmente elaborato la possibilità di un ritorno dei defunti. In questo senso, il non morto non era soltanto una figura mostruosa, ma un dispositivo culturale: un segno della colpa individuale, un ammonimento per la comunità e, in alcuni casi, una conferma della potenza salvifica della Chiesa.
REVENANT E CRONACHE ANGLONORMANNE
Già nel XII secolo lo storico inglese Guglielmo di Newburgh raccontava, con un tono che mescolava cronaca e interpretazione morale, di uomini sepolti che uscivano dalle tombe per infestare i villaggi. In un passo celebre della sua Historia rerum Anglicarum, descrive un cadavere riesumato che, quando trafitto al petto, sprigionò un torrente di sangue fresco, segno della sua vitalità innaturale: solo in quel momento le sue persecuzioni cessarono (Guglielmo di Newburgh, Historia rerum Anglicarum, V, 22). Allo stesso modo, Walter Map, nel De Nugis Curialium, narra di un uomo empio che, non avendo ricevuto confessione, tornava ogni notte dalla sepoltura fino a quando, su ordine del vescovo, il corpo non venne dissepolto e bruciato. Entrambi i casi testimoniano come la credenza nei revenant fosse radicata anche tra i chierici colti, che non la riducevano a superstizione, ma la inserivano in una cornice morale: il ritorno dei morti era la punizione per il peccato e la negazione dei sacramenti.
LE “ARMATE DEI MORTI” E LA DIMENSIONE COLLETTIVA
Non meno impressionante è la testimonianza di Orderico Vitale, monaco anglonormanno del XII secolo, che descrive l’apparizione di una vera e propria “milizia dei morti” (militia mortuorum) nelle campagne della Normandia. Uomini e donne defunti marciavano in processione, tormentati e deformi, come se la terra stessa fosse incapace di trattenere il loro riposo. Orderico non presenta questa visione come un’allucinazione individuale, ma come un fenomeno collettivo, un presagio divino della colpa e della penitenza mancata (Orderico Vitale, Historia Ecclesiastica, VIII, 17). Qui la figura del non morto assume una dimensione apocalittica e comunitaria: non più solo un cadavere ribelle, ma una folla di anime che ricordano agli uomini la fragilità dell’ordine cristiano.
ARCHEOLOGIA DELLA PAURA
Le testimonianze scritte trovano un sorprendente riscontro nell’archeologia funeraria. Gli scavi condotti a Wharram Percy, nello Yorkshire, hanno restituito resti umani del XIV secolo che mostrano segni di smembramento e bruciatura post-mortem. Roberts e colleghi hanno interpretato questi dati come pratiche apotropaiche per impedire ai defunti di ritornare, poiché la distruzione del corpo era considerata un mezzo sicuro per bloccarne l’eventuale inquietudine (Roberts et al., 2017). In Polonia, a Drawsko, sono state ritrovate tombe in cui i corpi erano stati schiacciati da pietre o immobilizzati da falci poste sul collo, strumenti pensati per decapitare il morto qualora avesse tentato di rialzarsi (Wrzesińska & Wrzesiński, 2015). Anche in Irlanda, come ha dimostrato Eileen Murphy, si trovano sepolture anomale in cui i defunti avevano pietre infilate in bocca, chiaro segno di rituali di contenimento (Murphy, 2008). Lungi dall’essere soltanto narrazioni letterarie, i non morti medievali erano dunque una realtà sociale e culturale, capace di modellare persino la gestione materiale della morte.
IL DRAUGR E LA PERSISTENZA CORPOREA
Nelle tradizioni nordiche, la figura del draugr esprime ancor più chiaramente il timore per un corpo che rifiuta la corruzione e mantiene una presenza tangibile. Nella Grettis saga, l’eroe affronta il draugr Kárr in un duello violento che fa tremare il tumulo: solo decapitandolo e ponendo la testa tra le gambe del cadavere Grettir riesce a vincere (Grettis saga, cap. 18). La Eyrbyggja saga racconta invece di Thorolf il Zoppo, che, dopo la morte, continuava a diffondere morte e malattia nel villaggio fino alla sua riesumazione e distruzione. A differenza dei revenant anglonormanni, che si muovono come ombre minacciose, i draugar conservano una fisicità spaventosa: sono cadaveri reali, dotati di forza sovrumana e di coscienza, custodi del tumulo e dei suoi tesori. La loro esistenza riflette la continuità tra il mondo pagano e quello cristiano: corpi corrotti che non trovano pace, e che incarnano la tensione tra memoria ancestrale e nuova fede.
TEOLOGIA DEL RITORNO E NASCITA DEL PURGATORIO
La Chiesa non poté ignorare queste esperienze. Con l’elaborazione della dottrina del Purgatorio tra XII e XIII secolo, descritta magistralmente da Jacques Le Goff (La nascita del Purgatorio, 1981), molti casi di defunti che ritornavano vennero reinterpretati non più come maledizioni corporee, ma come apparizioni di anime in attesa di suffragio. Così Gregorio Magno, nei Dialoghi, già nel VI secolo raccontava visioni di morti che imploravano preghiere e messe per abbreviare le loro pene. In epoca più tarda, Tommaso di Cantimpré nel Bonum universale de apibus accumulava storie di defunti che ritornavano non per nuocere, ma per ammonire i vivi e ricordare la necessità della penitenza. In questa prospettiva, il non morto diventa una pedagogia della morte: non tanto un corpo ribelle, quanto un’anima che ricorda ai vivi i pericoli della trascuratezza spirituale.
CONCLUSIONE
Il Medioevo europeo conosceva e temeva i non morti in forme molteplici: corpi putrefatti che camminavano, armate di defunti che attraversavano le campagne, cadaveri nordici che difendevano i loro tumuli, anime che imploravano suffragi. Tutte queste figure non sono da considerare fantasie marginali, ma parte integrante di un sistema culturale complesso. Essi incarnavano ansie profonde: il timore della morte senza sacramenti, l’angoscia della peste e della guerra, la paura della marginalità sociale. Allo stesso tempo, erano strumenti narrativi ed educativi attraverso cui la Chiesa consolidava il proprio ruolo di mediatrice tra vivi e morti. La “morte inquieta” non era dunque solo una leggenda, ma un’esperienza che toccava il cuore della società medievale: ricordava ai vivi che la frontiera tra il sepolcro e la vita restava, pericolosamente, permeabile.
BIBLIOGRAFIA:
• Barber, P., Vampires, Burial, and Death: Folklore and Reality, Yale University Press, 1988.
• Caciola, A.E., Discerning Spirits: Divine and Demonic Possession in the Middle Ages, Cornell University Press, 2003.
• Guglielmo di Newburgh, Historia rerum Anglicarum, ed. R. Howlett, Rolls Series, 1884–1889.
• Gregorio Magno, Dialogi, a cura di A. de Vogüé, Sources Chrétiennes, Parigi, 1979.
• Jónsson, G. (a cura di), Grettis saga Ásmundarsonar, Íslenzk Fornrit, Reykjavík, 1936.
• Le Goff, J., La nascita del Purgatorio, Torino, Einaudi, 1981. • Map, W., De Nugis Curialium, ed. M.R. James, Oxford, 1914.
• Murphy, E., Deviant Burial in Medieval Ireland, BAR International Series, Oxford, 2008.
• Orderico Vitale, Historia Ecclesiastica, in Patrologia Latina, vol. 188.
• Roberts, C., McCullagh, R. et al., “Burnt human remains from Wharram Percy”, Journal of Archaeological Science, 2017.
• Summers, M., The Vampire in Europe, London, 1929. • Sveinsson, E.O. (a cura di), Eyrbyggja saga, Íslenzk Fornrit, Reykjavík, 1935.
• Tommaso di Cantimpré, Bonum universale de apibus, ed. G. Colvenere, Douai, 1627.
• Van Gennep, A., Les rites de passage, Paris, 1909.
• Wrzesińska, A. & Wrzesiński, J., “Apotropaic practices in medieval Polish burials”, Antiquity, 2015.
IMMAGINI:
1 – Heidelberger Totentanz (autore sconosciuto, stampato da Heinrich Knoblochtzer in 1488).
2 – Hans Holbein il Giovane, danza della morte, incisione, 1538.

