a cura di Giuseppe Aiello
Il tema del “ritorno del Re” in Tolkien è uno dei più ricchi e simbolici del suo intero legendarium, e racchiude in sé dimensioni mitiche, morali e spirituali.
Nelle opere di J.R.R. Tolkien, il “ritorno del Re” non è soltanto l’evento storico della incoronazione di Aragorn, figlio di Arathorn, ma un archetipo universale:
il compimento del tempo dell’esilio, il ristabilirsi dell’ordine perduto, la riconciliazione tra la Terra e il suo sovrano legittimo.
Aragorn è, certo, un personaggio umano — guerriero, viandante, curatore — ma il suo ritorno rappresenta il ritorno del Principio Regale nell’uomo stesso, ossia il risveglio della Sovranità Spirituale che governa il caos del mondo interiore e collettivo.
Il Re che ritorna è l’immagine dell’Uomo rinnovato, colui che riconquista il suo posto nel cosmo non per dominio, ma per servizio, sapienza e misericordia.
Tolkien, profondamente nutrito dalla tradizione cristiana e dai miti nordici, fonde nel suo Re atteso non solo la figura del Cristo glorioso, ma anche quella del Re Artù dormiente e dell’Imam Mahdi che è occulto, che ritornerà quando il mondo ne avrà più bisogno.
La sua incoronazione a Minas Tirith segna la guarigione della terra, perché in lui la regalità è legata alla capacità di curare: “Le mani del Re sono mani di guaritore, e così sarà conosciuto il vero Re.”
In questo senso, il “ritorno del Re” – dell’Imam al-Mahdi – è anche il ritorno del Sacro nell’umanità.
Dopo epoche di oscurità, guerre e smarrimento, Tolkien suggerisce che la vera speranza non viene da una nuova invenzione o da un potere tecnologico, ma da una restaurazione interiore, dal ritrovare dentro l’uomo quella regalità luminosa che deriva da Dio, che prepara la restaurazione esteriore.
Il Re che ritorna non è solo una figura esterna che riabilita una funziona, ma anche la coscienza redenta dell’uomo, la sua parte divina che torna a regnare dopo essere stata dimenticata.
Per questo motivo, l’attesa di Aragorn — come quella dell’Imam Mahdi, del Re del Mondo, o del Cristo che ritorna — può essere letta come simbolo universale dell’attesa escatologica dell’umanità:
non un evento esterno soltanto, ma un movimento interiore, il ritorno del Principio spirituale che ordina, guarisce e illumina.
Nel linguaggio di Tolkien, dunque, il ritorno del Re è una parabola della speranza, un annuncio discreto ma potente che la luce non è mai definitivamente sconfitta, e che, come la corona di Gondor, la dignità perduta dell’uomo può sempre essere ritrovata.

