𝗟A TORRE CHE CROLLA

di Angelo Inglese

Appena sveglio, ho letto i titoli dei giornaloni: “Mosca provoca sulla Torre dei Conti”, “L’Italia crollerà come la Torre”, “La Zakahrova è una barbara”. Tutto ridotto a slogan, a rumore. Ma dietro quelle parole, dietro la corsa alla provocazione e al sensazionalismo, c’è un paese che non sa più distinguere la realtà dalla propaganda.

La Torre dei Conti incarna perfettamente la grande Bellezza di Roma, maestosa, tanto che il Petrarca la definì “Turris illa toto orbe unica”.

“La torre che crolla” è una metafora di pietra; è l’immagine viva di un’Italia che si sgretola culturalmente, che costruisce il proprio dibattito pubblico sulle macerie dell’approfondimento.

Provo dolore per Octay Stroici, operaio di origini romene rimasto sepolto per ore sotto le rovine: una vita spezzata nel silenzio vero, non in quello mediatico.

Ma mentre ci si scandalizza per la metafora della Zakahrova — metafora che Pier Paolo Pasolini avrebbe potuto pronunciare lui stesso — non si prova lo stesso turbamento per ciò che le nostre armi, i nostri soldi, i vostri silenzi provocano altrove: crolli fisici e morali, migliaia di vite distrutte senza telecamere, senza titoli, senza clamore.

Il crollo della Torre deve far riflettere: su ciò che resta in piedi della nostra coscienza collettiva, e sulla misura della nostra umanità.

𝗟A TORRE CHE CROLLA
𝗟A TORRE CHE CROLLA

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

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