di Giuseppe Aiello
Poichè moltissimi occidentali, anche in Italia, hanno sentito parlare per la prima volta dell’Imam al-Mahdi, noto anche come l’Imam Occulto, credo sia necessario fare una analisi su come Corbin affronta la questione, e i limiti della sua prospettiva.
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Corbin affronta la questione dell’Imam Mahdī non come un semplice oggetto di storia religiosa o di apologetica, ma con un metodo che potremmo chiamare fenomenologico-ermeneutico-«immaginativo».
In pratica egli «incontra» il fatto religioso lasciando che si mostri dal punto di vista dei credenti (soprattutto dello sciismo iraniano), indagando le esperienze visionarie, i sogni e la dimensione dell’‘alam al-mithâl (il mondo immaginativo o mondo delle immagini reali) più che ridurlo a un mero fatto politico o a una leggenda.
Questo approccio spiega perché Corbin insiste sull’importanza delle esperienze visive/visionarie e dell’«immaginazione creatrice» per comprendere la funzione dell’Imam occulto.
– L’Imam come «asse spirituale» e prolungamento della profezia
Corbin coglie in punto fondamentale della dottrina esoterica sciita, ossia che l’Imam non è primariamente una carica politica né solo un’autorità giuridica: è piuttosto il continuum spirituale della profezia — un polo immanente-transcendente che mantiene il legame della guida divina con la creazione. Questa tesi è al cuore della sua lettura dello sciismo e compare con nettezza in En Islam iranien.
– L’Occultazione: presenza nell’“altro” mondo delle immagini, non semplice assenza
Corbin rifiuta letture riduzioniste che spiegano l’occultazione come semplice «sparizione storica». L’assenza fisica dell’Imam (al-ghayba) è interpretata come una presenza trasfigurata nell’‘alam al-mithâl — cioè il mondo reale delle immagini, dove l’Imam continua ad agire e a manifestarsi (in sogni, visioni, apparizioni). Questo spiega il corpus di esperienze visionarie raccolte nello sciismo iraniano e perché «incontrare» l’Imam avvenga spesso su piani non-empirici. Ora, questo non è molto corretto, in quanto esprime il punto di vista della scuola detta shaykhita, che è ai limiti dell’ortodossia tradizionale. Secondo la Dottrina tradizionale, infatti, l’Imam non vive in un “altro mondo, ma qui sulla terra, sebbene il suo status iniziatico e spirituale gli permetta di essere presente a più livelli di realtà.
– Il ruolo delle esperienze visionarie, dei sogni e dei visitatori del santuario (es.: Jamkarān)
Corbin analizza e riporta (con attenzione critica) testimonianze di incontri col «Mahdī» in sogno o in stato di coscienza visionaria; dedica inoltre attenzione a luoghi come Jamkarān, dove si sviluppano pratiche e rituali legate all’attesa e all’incontro con il Mahdī. Per Corbin questi fenomeni non sono semplici superstizioni: sono la manifestazione concreta della funzione spirituale dell’Imam nell’ambito della vita religiosa iraniana.
Ora, su questo punto bisogna essere molto cauti, perchè l’Imam al-Mahdi, prima di Occultarsi, aveva dato precise avvertenza su questo aspetto, ossia sui racconti e sulle testimonianze riguardanti sue presunte comparse o manifestazioni.
– Il Mahdī come principio ontologico e fattore di rinnovamento
Nel quadro corbiniano il Mahdī è anche figura «ontologica»: non solo futuro liberatore politico ma principio di rigenerazione spirituale e di restaurazione dell’unità tra cielo (conoscenza) e terra (responsabilità). Corbin vede nel messianismo uno strumento di rinnovamento interiore e sociale quando è compreso nella sua dimensione spirituale, non come «movimento politico» in senso stretto. Questa lettura attraversa En Islam iranien e i saggi su soteriologie e profezia.
E su questo si può essere sostanzialmente d’accordo.
– Critica dell’orientalismo riduzionista e invito all’empatia ermeneutica
Un altro tratto importante: Corbin si oppone alle letture occidentali che riducono il Mahdī a folklore o a «mito politico». Il suo metodo è contrario a qualsiasi riduttivismo: bisogna comprendere il fatto religioso sul piano in cui si manifesta. Di qui la sua scelta di studiare testi hagiografici, racconti di sogni, prassi devozionali e la filosofia iraniana che hanno tenuto vivo il tema.
Anche su questo aspetto lo studio e la lettura di Corbin può essere utile.
– Alcune questioni specifiche che Corbin affronta
Cronologia e genealogia delle attese mahdiiche: Corbin ricostruisce come l’idea del Mahdī si sia sedimentata e trasformata in varie correnti dello sciismo iraniano, con particolare attenzione alle scuole isfahanesi e agli sviluppi moderni.
Su questi aspetti bisogna andare cauti.
Jamkarān: Corbin dedica saggi e frammenti al santuario e alla rete di esperienze che vi si connettono, esaminando come quel luogo diventi centro di «incontro» immaginativo con l’Imam.
Incontri mistici contemporanei: Corbin raccoglie e analizza testimonianze di persone che sostengono di aver visto o sognato il Mahdī; le interpreta nel quadro del mondo immaginativo e della funzione salvifica dell’Imam. Anche qui, molta cautela.
Conclusione
Il merito maggiore di Corbin è aver reso comprensibile a un pubblico occidentale la profondità metafisica e «vivente» della dottrina dell’Imamato, mostrando la coerenza interna dello sciismo come «via profetica continua».
Se da una parte il suo uso dell’idea di mondo immaginativo offre strumenti per comprendere fenomeni religiosi (sogni, visioni) spesso emarginati dagli approcci positivisti, dall’altro questo “mondo immaginativo” però dovrebbe essere maggiormente approfondito dal punto di vista della Tradizione, perchè i residui filosofici (Heidegger in primis…) e spiritualistici nel senso moderno e anti-tradizionale del termine in Corbin non sono pochi.
Comprensibilmente, per me, alcuni studi recenti (e alcune critiche nella letteratura islamica) muovono giuste obiezioni: Corbin un pò sovraccarica la lettura simbolica e pone troppa rilevanza alla «dimensione immaginativa», a scapito di analisi storico-sociali e politiche più rigorose.
Nel corpus di Corbin l’Imam Mahdī emerge come figura polivalente: asse spirituale, presenza occultata nel mondo delle immagini, principio di rigenerazione e centro di pratiche devozionali e visionarie. La sua originalità – che fgorse è anche il suo limite – sta nel tentativo di mettere in rapporto un pò troppo “filosicamente” la hikmah (Suhrawardi, la scuola di Isfahan), l’irfan/tasawwuf e le pratiche popolari sciite.
Ha ragione nel sostenere che per capire il Mahdī occorre entrare nell’«orizzonte immaginativo» dei credenti, studiarne sogni, visioni, santuari e testi agiografici, affinché la figura dell’Imam cessi di essere un enigma riducibile e appaia nella sua funzione vitale di intermediario tra Dio e l’umanità, però bisogna restare più fedeli alle fonti Tradizionali e divagare meno filosoficamente.

