LA STREGONERIA DELLA PIOGGIA

a cura di Tania Perfetti

Nel Medioevo italiano la pioggia non era soltanto un fenomeno naturale, ma una risorsa vitale che determinava la sopravvivenza delle comunità agricole. L’abbondanza o la carestia, la fertilità dei campi o la loro sterilità dipendevano da un equilibrio climatico fragile, interpretato alla luce di una cosmologia religiosa. La Chiesa insisteva sul fatto che la pioggia fosse dono o castigo divino, e che le siccità potessero essere vinte attraverso processioni, digiuni e preghiere collettive. Tuttavia, accanto alla liturgia ufficiale, sopravvivevano credenze e pratiche popolari che attribuivano a individui particolari il potere di “legare” o “sciogliere” le nubi.

Le fonti giudiziarie e cronachistiche italiane tra il XIII e il XV secolo attestano la presenza di figure accusate di manipolare il clima, talvolta chiamate tempestarii o malefici. A loro veniva imputata la capacità di provocare grandinate, nubifragi o al contrario siccità, per danneggiare i raccolti o estorcere denaro ai contadini che li temevano. Più che “stregoni della pioggia” nel senso positivo di mediatori, queste figure venivano percepite come responsabili di una forma di “magia meteorologica” ambivalente, sospesa tra il sospetto demonologico e la necessità concreta di affrontare le emergenze agricole.

Un esempio precoce lo troviamo in un atto del sinodo di Braga, citato e recepito anche in Italia, che condannava coloro che “credunt posse homines tempestatem facere vel grandinem de caelo demittere” (“credono che gli uomini possano fare tempeste o far cadere grandine dal cielo”). Nel contesto italiano, una testimonianza è contenuta nel Liber Augustalis di Federico II (1231), dove si proibisce ogni pratica superstiziosa che pretenda di controllare i fenomeni atmosferici, equiparandola a forme di eresia.

Le cronache comunali offrono ulteriori squarci. Giovanni Villani, nella sua Cronica (XIV secolo), parlando di una grave siccità che colpì Firenze, annota: “E fu tanto il bisogno che alcuni ricorrevano a fattucchiere e stregoni, per fare venire l’acqua dal cielo, con gran scandalo de’ buoni cristiani”. Qui emerge chiaramente la tensione tra il bisogno popolare e la condanna morale.

Gli atti inquisitoriali, conservati in varie sedi italiane, contengono accuse più precise. In un processo tenutosi a Modena nel 1455, una donna fu accusata di aver “portato in campo una catinella d’acqua e, versandola con parole strane, prometteva di trarre le nuvole e la pioggia”. Un altro atto piemontese del 1471 riporta che un certo Pietro da Saluzzo “insegnava ai villani a battere tre volte la terra con un ramo di salice e a invocare lo spirito dell’acqua, affinché mandasse pioggia o tempesta”.

Questi episodi mostrano che, al di là dell’elaborazione teologica, esisteva una cultura contadina che affidava a rituali concreti – gesti simbolici, oggetti quotidiani, invocazioni miste di sacro e profano, la speranza di controllare il cielo.

La condanna di tali pratiche da parte della Chiesa medievale si spiega non solo con il timore dell’eresia o dell’alleanza col demonio, ma anche con la volontà di preservare il monopolio sulla spiegazione teologica del clima. Nel Canon Episcopi, testo circolante anche in Italia e citato spesso dai vescovi, si legge che i fedeli non devono “credere che certe donne, sedotte dal demonio, possano alterare le tempeste, o che possano mutare la condizione dell’aria”.

APPROFONDIMENTO: SANTI, RITI LITURGICI E MAGIA METEREOLOGICA

Accanto alla condanna delle pratiche magiche, il mondo cristiano medievale elaborò rituali approvati per ottenere la pioggia. Processioni con reliquie, messe votive “ad petendam pluviam” e preghiere comunitarie erano strumenti istituzionalizzati per fronteggiare la siccità. In molte città italiane si ricorreva ai santi protettori locali: san Donato in Toscana, san Giovanni Battista in Liguria, san Gennaro a Napoli erano invocati come garanti della pioggia o della protezione contro le tempeste.

La sovrapposizione tra devozione e superstizione era inevitabile. In area emiliana, ad esempio, è attestata la pratica di immergere reliquie in corsi d’acqua per “sollecitare” le nubi. Nelle campagne lombarde, le confraternite organizzavano processioni portando croci e immagini sacre nei campi assetati, spesso accompagnandole con formule che si discostavano poco dalle “parole strane” dei villani accusati di magia.

Questa ambiguità fu sfruttata dalla nascente demonologia quattrocentesca: il Malleus Maleficarum (1487), pur non italiano, circolò ampiamente anche nella penisola e sancì l’idea che chi pretendesse di controllare le piogge non fosse più solo un ingenuo contadino superstizioso, ma un adepto del demonio. Così, il sospetto contro i “maghi della pioggia” si trasformò in persecuzione sistematica.

INTERPRETAZIONE

Lo “stregone della pioggia” dell’Italia medievale non può essere ridotto a una figura marginale. Era piuttosto l’emblema di un conflitto tra due sistemi di legittimazione del potere: da un lato l’istituzione ecclesiastica, che voleva monopolizzare il rapporto con Dio; dall’altro la cultura popolare contadina, che non poteva rinunciare a rituali immediati per affrontare la precarietà climatica.

Dal punto di vista antropologico, questi riti riflettevano un bisogno di controllo simbolico: versare acqua, battere la terra, rovesciare recipienti erano gesti che rendevano tangibile l’atto di “chiamare” le nubi. Anche se inefficaci sul piano meteorologico, essi svolgevano una funzione sociale: ridurre l’ansia, rafforzare la coesione del villaggio, dare l’impressione che la comunità non fosse del tutto impotente.

CONCLUSIONI

Nel più ampio panorama della cultura medievale italiana, la credenza negli stregoni della pioggia mette in luce la continua interazione tra religione ufficiale e pratiche popolari. Essa testimonia il bisogno profondo delle comunità rurali di controllare un elemento essenziale della vita agricola, affidandosi tanto alla liturgia ecclesiastica quanto alla magia locale. È in questa tensione, tra cielo e terra, tra chiesa e villaggio, che si colloca la figura dello stregone della pioggia, sospesa tra paura e speranza, repressione e necessità.

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LA STREGONERIA DELLA PIOGGIA

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

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