di Luca Rudra Vincenzini
I rituali tantrici sono molto complessi e, ovviamente, non sono per tutti, o meglio non sono strettamente necessari, dipende sempre dal cammino che ognuno di noi deve percorrere. C’è infatti distinzione tra il tantrismo duale (dvaita) e duale-non duale (dvaitādvaita), nei quali sono obbligatori (Śaivasiddhānta), e quello non duale (advaita o meglio ancora paramādvaita) che è scettico nei confronti dei rituali. Per quest’ultimo lo stato naturale (samarasa/ekarasa/śāntarasa) in parte sottrae la necessità del rito (saṃskāra) che, invece, è centrale nei primi. È perciò necessario, a mio avviso, focalizzare alcuni punti.
Nella costruzione del corpo yogico i rituali, i mantra, le divinità e le visualizzazioni differiscono da famiglia a famiglia (kula o gotra) ed è necessario ricevere un’iniziazione (dīkṣā) per far sì che il cammino iniziatico abbia luogo. Sapendo che ad oggi è molto difficile contattare un lignaggio serio, si può ugualmente coltivare un’attitudine tantrica senza rischiare di incorrere in errori grossolani. Come procedere allora in assenza di un Guru realizzato?
Rituale semplificato, non segreto e praticabile da tutti (via destra).
Innanzitutto è necessario individuare la divinità verso la quale si prova una devozione spontanea (iṣṭa devatā), meglio se mite (saumya), perché con le terrifiche (ghora) si rischia sempre di farsi del male. Scelta la divinità si prende il mantra introduttivo della stessa, quello con il quale è conosciuta ed invocata nelle cerimonie ortodosse della mano destra (dakṣiṇa-mārga), ossia quelle senza rischi. Per capirsi nel caso di Śiva: oṁ namaḥ Śivāya, e, dopo una bella doccia, indossando comodi vestiti profumati di bucato, si può dare inizio all’istallazione (io ho praticato questa cerimonia guidata dalla mia Śrī Gurvī, installando nel mio corpo sia Śiva che il Mahāsiddha Bhagavān Nityānanda. Il Guru è tra le iṣṭa devatā).
Ci si procura del bhasman, cenere bianca risultante da precedenti cerimonie del fuoco, e, in cinmudrā, lo si applica sul corpo. Disegnando, sempre nel caso di Śiva, tre strisce orizzontali con medio, anulare e mignolo, per arto: piedi, tibia, coscia, bacino, etc, etc, etc sino a risalire al cranio. Per altre divinità si esegue il loro tilaka (simbolo rituale identificativo) specifico di appartenenza.
Durante l’applicazione indice e pollice rimangono uniti e si ripete mentalmente il mantra, ossia ne si evoca il potere (saṃsmaret) mentre lo si istalla negli arti (nyāsa). Una volta terminato con il bhasman, si fa un secondo giro applicando con il dito medio, sempre nel caso di Śiva, il rosso kunkun. Il punto rosso rappresenta il trascendimento dei tre mondi (loka), delle tre limitazioni (mala), delle tre qualità contratte (guṇa), dei tre corpi (śarīra) a favore del quarto (caturtha/turīya). Per le Dee consorti di Śiva va bene il tilaka di Śiva, per quelle di Viṣṇu quello di Viṣṇu. Ovviamente se si utilizzano mantra segreti la responsabilità è esclusivamente di chi li usa, se invece si usano mantra essoterici, ovvero per le masse, non essendoci segreti violati, non si corrono rischi e ci saranno solo benefici. A questo punto è fondamentale il respiro: con l’inspirazione (prāṇa) si estrae potere dal mantra e con l’espirazione (apāna) lo si istalla nel corpo, e ciò per ciascuna applicazione sugli arti (terzo giro solo ripetizione mentale del mantra e poi si scivola in meditazione). Per attivare il mantra è fondamentale l’uccāra, termine che significa sia pronuncia sia ascesa. È dunque l’esatta pronuncia che fa risalire la Dea dei fonemi: Varṇakuṇḍalī. Terminata l’operazione, lo scudo (kavac) è completo e l’iniziato è consacrato alla divinità e al suo potere vibratorio racchiuso nel mantra. Ovviamente l’istallazione (nyāsa) ha valore in funzione della devozione (bhakti), della volontà (icchā) e del potere del lignaggio di appartenenza (paraṃparā); il trasferimento della potenza (saṅkramaṇa) è tanto più potente quanto è forte il maestro con il quale lo si è praticato e, fino alla realizzazione finale, va ripetuto ciclicamente perché la mente tende sempre a ricadere nel sonno dell’ignoranza. La pratica umile attirerà la benevolenza del lignaggio.
sarvamaṅgala

