LA RIVOLUZIONE IRANIANA DEL 1979

a cura di Olga Melody

Iran, novembre 1979. Il 10 novembre 1979, sei giorni dopo che un gruppo di studenti iraniani autodefinitisi seguaci della linea dell’Imam aveva occupato la sede diplomatica statunitense a Teheran, la rivoluzione iraniana entrava nella fase più esplicita di confronto con gli Stati Uniti. L’azione dei militanti khomeinisti trasformò il processo rivoluzionario da vicenda interna a questione internazionale. L’episodio segnò la rottura dall’influenza statunitense e aprì una lunga fase di contrapposizione politica e diplomatica destinata a ridefinire gli equilibri regionali e, più in generale, il rapporto tra i paesi del Sud del mondo e le potenze occidentali.

Le radici di quella rottura affondavano in un processo di lunga durata. Dal colpo di Stato del 1953, che pose fine all’esperienza riformatrice del premier Mohammad Mossadeq e restituì pieni poteri allo Shah Mohammad Reza Pahlavi, l’Iran era diventato uno dei principali avamposti della strategia statunitense nel Medio Oriente. Il regime monarchico aveva avviato una modernizzazione accelerata fondata su un’idea di sviluppo interamente dipendente dall’Occidente: apertura ai capitali stranieri, centralità del petrolio come leva politica, concentrazione della ricchezza nelle mani di una borghesia urbana legata alla corte, all’esercito e alle compagnie petrolifere occidentali.

La cosiddetta “Rivoluzione Bianca”, lanciata dallo Shah negli anni Sessanta, rafforzò questa dipendenza. Dietro la retorica della modernità e della riforma agraria, il potere si concentrò ulteriormente, mentre le disuguaglianze sociali si ampliarono e la polizia segreta (SAVAK) divenne strumento di controllo e repressione capillare.

Nel corso degli anni settanta, la modernizzazione imposta dallo Shah mostrò i propri limiti. La crescita economica non si tradusse in inclusione sociale e il divario tra città e campagne divenne strutturale. Le classi popolari e i ceti medi impoveriti iniziarono a percepire il regime come una forma di dominio esterno, più che come autorità nazionale. In questo contesto maturò la convergenza di forze diverse: movimenti religiosi, gruppi studenteschi, intellettuali laici e organizzazioni di sinistra.

La figura di Ruhollah Khomeini, esiliato dal 1964 per la sua opposizione alla monarchia, divenne progressivamente il punto di riferimento simbolico di questa opposizione plurale. La sua capacità di tradurre le rivendicazioni sociali in un linguaggio religioso e politico accessibile alle masse fece della rivoluzione iraniana un fenomeno unico: non una semplice insurrezione contro il potere, ma un tentativo di ridefinire la modernità fuori dai modelli occidentali.

Nel gennaio 1979 lo Shah lasciò il Paese, aprendo una fase di transizione che nessuna delle forze in campo riusciva ancora a controllare pienamente. Il ritorno di Khomeini dall’esilio, il 1° febbraio, trasformò quella crisi in un evento politico di portata mondiale. Milioni di persone scesero in strada per accoglierlo, ma soprattutto per affermare la fine di un ordine percepito come imposto dall’esterno. La monarchia crollò senza resistenza significativa, segno di un potere ormai delegittimato.

Nel marzo si tenne il referendum che sancì la nascita della Repubblica Islamica, nuovo assetto istituzionale fondato sul principio della velayat-e faqih, il governo del giureconsulto. In pochi mesi il Paese passò da un regime filo-occidentale a una forma di sovranità politica che si proponeva come alternativa tanto al liberalismo quanto al socialismo.

Nel novembre 1979 la rivoluzione iraniana attraversò il suo primo vero banco di prova internazionale. Pochi giorni prima, il 4 novembre, un gruppo di studenti che si definivano seguaci della linea dell’Imam aveva occupato la sede diplomatica statunitense a Teheran, prendendo in ostaggio il personale presente. L’azione, nata come protesta contro l’ingerenza americana e contro la decisione di Washington di accogliere lo Shah negli Stati Uniti, si trasformò rapidamente in un evento politico di portata mondiale.

Il 10 novembre, quando la guida rivoluzionaria assunse ufficialmente la responsabilità dell’accaduto e Khomeini definì l’occupazione “la seconda rivoluzione”, l’Iran dichiarò nei fatti la propria indipendenza dal sistema di alleanze occidentali. Da quel momento il confronto con gli Stati Uniti divenne una costante della politica iraniana e contribuì a definire la Repubblica Islamica come soggetto non allineato, capace di sottrarsi alle logiche bipolari della Guerra fredda.

Fin dai primi anni successivi alla rivoluzione, la Repubblica Islamica è stata bersaglio di una campagna di delegittimazione sistematica che ha sostituito l’analisi con la propaganda. I media occidentali, incapaci o non disposti a leggere la rivoluzione come fenomeno politico complesso, l’hanno ridotta a un caso di fanatismo religioso, oscurandone la componente sociale e anti-imperialista. Nel corso dei decenni, la costruzione dell’Iran come minaccia ha giustificato sanzioni, guerre per procura e isolamento diplomatico. L’Iran è stato trasformato in un paradigma utile: il “nemico necessario” attraverso cui l’Occidente riafferma la propria superiorità morale e giustifica le proprie strategie di dominio.

Fin dagli anni sessanta l’Iran aveva partecipato al Movimento dei Paesi non allineati, nato per affermare l’autonomia dei popoli rispetto alla logica dei blocchi. Dopo la rivoluzione del 1979, questa posizione si è consolidata: la Repubblica Islamica non ha mai accettato la subordinazione all’Occidente e ha scelto di mantenere la propria indipendenza anche nei confronti dell’Unione Sovietica, senza mai collocarsi in una posizione di ostilità ideologica.

La scelta era un’altra: costruire un percorso nazionale fondato sull’autodeterminazione e sul rifiuto di ogni forma di ingerenza. Un rifiuto maturato dopo decenni di condizionamenti esterni, quando il Paese, piegato alla monarchia di Mohammad Reza Pahlavi e alla sua dipendenza dall’Occidente, era ormai saturo di ingerenze politiche, economiche e culturali. In questa prospettiva, l’ingresso nei BRICS non rappresenta un gesto tattico, ma l’esito coerente di una lunga ricerca di equilibrio. L’Iran si colloca oggi in continuità con lo spirito dei non allineati, come attore consapevole di un ordine multipolare che riconosce la sovranità come fondamento della dignità politica.

LA RIVOLUZIONE IRANIANA DEL 1979
LA RIVOLUZIONE IRANIANA DEL 1979

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

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