di Aleksandr Dugin
L’identità di “modernizzazione” e “occidentalizzazione” richiede alcuni chiarimenti, che ci porteranno a conclusioni pratiche molto importanti. La questione è che la formazione in Europa della civiltà senza precedenti dell’era moderna ha portato a una particolare disposizione culturale, che all’inizio ha formato l’autocoscienza degli stessi europei e poi anche di tutti coloro che si sono trovati sotto la loro influenza. Cresceva la sincera convinzione che il percorso di sviluppo della cultura occidentale, e soprattutto il passaggio dalla società tradizionale alla società contemporanea, non fosse solo una peculiarità dell’Europa e dei popoli che la popolano, ma una legge universale di sviluppo, obbligatoria per tutti gli altri paesi e popoli. Gli europei, “popoli dell’Occidente”, sono stati i primi a passare attraverso questa fase decisiva, ma tutti gli altri sono ritenuti fatalmente condannati a percorrere lo stesso cammino, perché questa è la logica presunta “oggettiva” della storia mondiale. Il “progresso” lo esige.
È nata l’idea che l’Occidente sia il modello obbligatorio dello sviluppo storico di tutta l’umanità, e la storia del mondo – come nel passato, così nel presente e nel futuro – era ed è concepita come una ripetizione di quelle fasi che l’Occidente, nel suo sviluppo, ha già attraversato o sta attualmente raggiungendo, in anticipo su tutti gli altri. In tutti i luoghi in cui gli europei hanno incontrato culture “non occidentali”, che conservavano la “società tradizionale” e il suo modo di fare, gli europei hanno fatto una diagnosi inequivocabile: “barbarie”, “barbarie”, “arretratezza”, “assenza di civiltà”, “sub normalità”.
Così, gradualmente, l’Occidente divenne l’idea di un criterio normativo per la valutazione dei popoli e delle culture di tutto il mondo. Più erano lontani dall’Occidente (nella sua fase storica più recente), più erano ritenuti “difettosi” e “inferiori”.
