di Emanuele Pavoni
La parola che odio di più, è senz’altro “intellettuale”. Si potrebbero benissimo usare altri termini per definire le persone di cultura – per esempio: scrittore, letterato, pensatore, erudito, studioso, saggio etc – ma in generale si parla sempre di intellettuali. Si discute sempre degli intellettuali e il fascismo, degli intellettuali e il comunismo, degli intellettuali e la questione borghese, degli intellettuali e il razzismo, perfino degli intellettuali e la crisi ucraina. E basta, cribbio! La verità è che nella Modernità c’è posto solo per gli “intellettuali”: certo, quando le cose sono state serie, c’è stata qualche personalità grandiosa che si è spesa nell’agone politico in nome di grandi ideali o progetti (in questo caso, però, parlerei di ideologi o profeti, e non di generici intellettuali), ma, nella stragrande maggioranza dei casi, l’intellettuale è stato e continua ad essere un personaggio engagé, impegnato (opportunisticamente) nella sfera pubblica, militante per qualche causa civile o alla moda. Naturalmente il grande pubblico non sa fare tali distinzioni, e quindi si lascia convincere ad usare per qualsiasi caso il termine “intellettuale”, illudendosi di riferirsi semplicemente a un uomo di cultura che realizza opere con la sua mente. Coerentemente a tale confusione ed ignoranza, allora perché non definire anche Omero un intellettuale? E perché non pure Dante e Shakespeare? No, grazie a Dio ai loro tempi questi tre giganti venivano chiamati Poeti, e per il momento la “cancel culture” non è ancora arrivata ad eliminare il concetto e il termine di Poeta. Ma ovviamente ci arriveremo.
