di Alfonso Piscitelli
Ho letto con piacere i commenti al mio intervento commemorativo riguardante Pio Filippani-Ronconi: sono tutti commenti interessanti e significativi; sono contento che la figura del maestro susciti riflessioni, che col passare del tempo diventano sempre più pacate e meno legate alla superficialità ideologica.
Veniamo alla questione dell’avvicinamento di Filippani-Ronconi al cristianesimo ortodosso: esso rappresentò il compimento di un legame profondo e direi “mistico” con la Russia.
Filippani una volta ricordò la forte impressione suscitata all’inizio degli anni Venti dalla pubblicazione del libro di viaggi di Ossendowski, Bestie, Uomini e Dei, che raccontava in un alone di leggenda i temi della tradizione centro-asiatica.
Il tema del Re del Mondo, della mistica città di Agarthi e ancora del Buddha Maytreia – il Buddha Venturo – venivano alla luce nel momento in cui la rivoluzione bolscevica faceva sprofondare la Russia nel caos e la sottoponeva a un tragico esperimento ideologico che congiungeva materialismo intellettuale e dispotismo collettivista. Dal caos emergevano però figure singolari, come quella del barone Roman von Ungern Sternberg, un nobile baltico che sotto la divisa di ufficiale zarista portava i paramenti di monaco tibetano e che raccolse uomini di diversa estrazione etnica e religiosa per una estrema resistenza contro il bolscevismo. Allo Sternberg –il “barone sanguinario” – Filippani dedicò un memorabile scritto[1].
“Da bambino mi ero convinto di essere la reincarnazione di Ungern Khan”, mi disse scherzando una volta. Prima che i funzionari dell’anagrafe della reincarnazione trasformino una battuta in un’asserzione devo puntualizzare che la cosa era un po’ difficile… il barone sanguinario morì nel settembre del 1921, il nostro nacque nel marzo del 1920.
Stroncata in Ungheria, in Italia, in Germania, la rivoluzione bolscevica rischiava di inghiottire la Spagna, dove Filippani era nato. L’evolversi della storia in fondo smentiva le previsioni di Marx (il pensatore di Treviri si aspettava che la transizione al socialismo avvenisse spontaneamente nei paesi più industrializzati), tuttavia la presenza sulla scena internazionale dell’Unione Sovietica conferiva una minacciosa vitalità a quella ideologia che in fondo era entrata in uno stato cadaverico già alla fine dell’Ottocento.
Era adolescente quando infuriava la guerra civile in Spagna e avrebbe voluto combattere contro i Rojos, che solo per un pelo non fucilarono sua madre. In tarda età lo sentii canticchiare ancora con allegria una canzone dei tradizionalisti spagnoli:
“Por Dios, por la Patria y el Rey /lucharon nuestros padres/Por Dios, por la Patria y el Rey/lucharemos nosotros también/Lucharemos todos juntos/todos juntos en unión/defendiendo la bandera/de la Santa Tradición”.
A ben vedere l’equivoco più tragico era quello che finiva con l’identificare il popolo russo con l’ideologia comunista. Quanto vi era di peggio nel repertorio delle idee moderne finiva con il coprire l’identità di un popolo, che già alle spalle aveva una grande cultura e a detta di alcuni menti profetiche era destinato a ricoprire un ruolo fondamentale nel divenire della civiltà indo-europea. Il comunismo era la cappa di piombo che calava sul futuro possibile dell’umanità.
Rudolf Steiner affermava che il cammino dell’umanità post-atlantica (diciamo in termini più laici: il cammino di quella umanità “storica” che si sviluppa dopo la fine dell’ultima glaciazione) è scandita da varie civiltà che si succedono, portando ognuna i frutti di una diversa esperienza umana. Alle civiltà più arcaiche dell’India, della Persia e dell’Egitto seguono le civiltà greche e romane che rappresentano un momento centrale per la nostra vita spirituale. Dopo la caduta dell’impero romano si affermano le stirpi germaniche. All’orizzonte si profila un futuro periodo di civiltà in cui il baricentro spirituale dei popoli indo-europei si sposta in Russia.
Mentre la civiltà greco-romana aveva affermato l’anima razionale (si pensi alla Metafisica di Aristotele, all’etica degli Stoici), mentre la civiltà germanica afferma l’anima cosciente (il suo simbolo sembra essere lo scienziato-mago Faust nel suo dialogo interiore con Mefistofele) , la futura civiltà russa dovrebbe sviluppare il Sé Spirituale, ovvero un tipo di anima più aperta al mondo spirituale.
In un certo senso, il famoso “misticismo” dei Russi, i temi della letteratura di Dostoevskij e della teologia di Soloviev, come pure il fatto singolare che ancora al principio del XX secolo un potente taumaturgo come Rasputin affiancasse lo Zar possono essere considerati segni premonitori di una futura civiltà segnata da un destino diverso da quello delle società laiche d’Occidente. Il comunismo imponeva l’ateismo di Stato a un popolo con tendenze mistiche, soprattutto impediva la libera circolazione delle idee tra l’Europa Occidentale e l’Oriente proprio nel momento in cui cominciava a crearsi quella sinergia tra intelletto scientifico dell’Europa e dottrine sapienziali dell’Asia. Contro il comunismo Steiner ebbe parole molto dure (anche se alcuni suoi discepoli tendono a trasformare la sua dottrina in una sorta di progressismo rosé), e quando nelle scuole a orientamento antroposofico qualche scolaro si comportava in maniera inqualificabile Rudolf Steiner diceva: “Questo bambino è un bolscevico!”.
Nella Russia autentica, quella non corrotta dai falsi profeti del marxismo, Steiner vedeva la terra di elezione dove un giorno si sarebbe rigenerato il seme spirituale della dottrina di Zarathustra. La dottrina di Luce del Mazdeismo avrebbe avuto un nuovo inizio nella Russia.
Abbiamo citato le idee di Steiner con il loro sfondo di dottrina teosofica (l’Antroposofia nasceva come una variante tedesca della Teosofia anglo-indiana). Per chi nutrisse sospetti su questo genere di dottrine, potremmo fare un riferimento più intellettuale: quello ad Oswald Spengler.
Nel Tramonto dell’Occidente Spengler studiava le diverse civiltà come se fossero organismi viventi con le loro fasi giovanili (periodo della Kultur), e le loro espressioni della piena maturità fino al limite della decadenza senile (periodo della Zivilisation). Dopo le arcaiche civiltà immerse nella eternità come quella Egizia, veniva la civiltà greco-romana, dopo di essa la civiltà germanica che Spengler chiamava “faustiana”. Il dato interessante è che anche Spengler prospettava l’aurora di una nuova civiltà che si sarebbe sviluppata in Russia: l’immensa pianura russa sarebbe divenuta il “paesaggio” di una nuova “anima” diversa da quella occidentale e in un certo senso più contemplativa.
Per vie diverse, sia Spengler che Steiner, giungono quindi a prospettare un futuro legato alla Russia e all’integrazione tra l’Europa Centrale – latina e germanica – e l’Heartland, il continente-Terra, considerato dai maestri della Geopolitica come la roccaforte del mondo[2].
Forse qui non è fuori luogo ricordare come la Russia sia anche al centro di un fenomeno mistico contemporaneo: le rivelazioni di Fatima, con il celebre mistero mariano legato alla consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria. Sono segnali molto diversi che convergono su un punto: l’importanza cruciale di quella vasta terra posta tra l’Europa latino-germanica, il Vicino Oriente iranico, e il Vasto Oriente, con le civiltà dell’India e della Cina, oggi tornate ad essere protagoniste della scena storica mondiale.
Filippani, già allo scoppio della II Guerra Mondiale, parlava correntemente il russo. Dopo l’8 settembre, si sarebbe trovato a comandare un plotone in cui operavano anche Russi Bianchi. Erano Russi che avevano combattuto e perso la guerra civile di venti anni prima e che ora evidentemente non rispondevano all’appello di Stalin che, sopraffatto dall’Operazione Barbarossa, aveva cestinato l’internazionalismo proletario per rispolverare la “grande guerra patriottica”. Questi Russi si trovavano a combattere contro il sistema ideologico dell’Unione Sovietica, in nome della rinascita della Santa Russia.
Va detto che le autorità tedesche agirono ottusamente: avrebbero dovuto istituire Stati liberi in Ucraina, nella stessa Russia, nei paesi Baltici che accolsero i soldati della Wehrmacht come liberatori. Invece il regime di occupazione fu rigido così come il destino di coloro che avevano collaborato con i Tedeschi a fine guerra sarebbe stato penoso.
Furono i soldati russi del suo plotone a regalare all’Obersturmführer Filippani la “papaka”, il berretto militare, che era solito indossare come segnale che l’operazione militare del momento stava per avere inizio. Riguardo al battesimo ortodosso che avvenne nel dopoguerra, Filippani mi parlò una volta di un pope che lo celebrò e di un fiume, che – se ricordo bene – avrebbe fatto da fonte. Ma la mia memoria su questo punto si fa incerta.
Non si è trattato comunque di una conversione in fin di vita. Fin dal marzo 1996, quando lo conobbi, vidi Filippani farsi il segno della croce alla maniera degli ortodossi. E già da molti anni, insieme alla famiglia, egli partecipava alle celebrazioni domenicali del rito russo ortodosso in una piccola chiesa frequentata peraltro dalle anziane sorelle della regina Elena di Montenegro, rimaste in Italia anche dopo la fine della monarchia. Sia detto tra parentesi: seguire una funzione ortodossa è un bell’impegno … La sbrigatività non è una delle virtù preferita dai pii pope dell’Est.
La professione cristiana ortodossa di Filippani-Ronconi ricorda in un certo senso l’orientamento spirituale di due grandi personalità europee del Novecento: Ernst Jünger e Mircea Eliade.
Eliade praticò lo Yoga, fu il più grande storico delle religioni del XX secolo, studiò con intelletto d’amore tutte le tradizioni religiose e tuttavia si professò sempre cristiano ortodosso, particolarmente legato a quella forma che egli definiva “Cristianesimo Cosmico”, che si era sviluppata nel Medio Evo e che avrebbe conciliato il Vangelo con l’eredità ancestrale indo-europea ed euro-asiatica.
Ernst Jünger, uno dei principali sperimentatori dell’atmosfera spirituale del nichilismo contemporaneo, sul finire della sua vita si avvicinò al Cattolicesimo Romano. Chiesi una volta al germanista Marino Freschi come fosse possibile che un autore d’avanguardia, anarchico sperimentatore e intriso di nietzschianesimo, si fosse fatto cattolico in vecchiaia, accettando di ricevere le benedizioni per il suo compleanno dal Pontefice polacco. Freschi mi rispose che probabilmente Jünger apprezzava l’“universalità” della professione cattolica, la sua capacità di sintetizzare diversi orientamenti spirituali dell’umanità: il monoteismo che si riconduce alle rivelazioni semite, la dottrina della Trinità così simile alle speculazioni dei platonici, il politeismo implicito nel culto dei Santi. Una risposta che allora mi lasciò insoddisfatto e alquanto deluso. Più passa il tempo e più ne apprezzo lo spessore.
Nell’atteggiamento spirituale di Filippani indubbiamente l’influsso preponderante è dato dalla dottrina di Steiner. L’autore tedesco vide nel cristianesimo il naturale sviluppo delle dottrine misteriche dell’antichità: Gesù Cristo come incarnazione storica di ciò che era stato prefigurato in Dioniso, Adone, Osiride; e che era stato profetizzato da Zarathustra e Virgilio. Va detto che da duemila anni, la totalità dei rabbini e la totalità degli imam è concorde nel considerare il cristianesimo come una “paganizzazione” della Rivelazione (il tema del Figlio di Dio, del Dio fatto Uomo, della Morte sulla Croce essendo le principali pietre di scandalo per i monoteisti più rigorosi)
Nel volume collettivo L’orientalista guerriero. Omaggio a Pio Filippani-Ronconi si trova una bella intervista realizzata da Angelo Iacovella. Come sempre, quando Filippani parla, gli elementi divertenti si intrecciano a quelli che fanno riflettere.
Filippani ricorda di quella volta che andò in Unione Sovietica con un gruppo di professori universitari. In aereo aveva una bella ragazza al fianco, classica spia del regime; e mentre raggiungeva in volo la Russia passava il tempo leggendo il prologo del Vangelo di Giovanni, in greco e anche in russo, tanto per evitare ogni equivoco. Filippani racconta poi di quando, a cena con una delegazione sovietica, gli fu chiesto di intonare una canzone: tipica richiesta che si fa a un italiano all’estero… Ma Filippani, con una certa indifferenza per le ragioni della “coesistenza pacifica”, intonò l’inno “Dio salvi lo Zar”!
Anni Duemila, se l’icona dello Zar Nicola è stata portata in processione verso gli altari evidentemente Dio non ha salvato l’Unione Sovietica. Al di là dei gustosi aneddoti reazionari, bisogna ricordare il valore fondamentale che il Vangelo di Giovanni aveva per Filippani. Il Vangelo scritto ad Efeso dal giovane discepolo prediletto da Gesù deve rappresentare una fonte di meditazione importante, se Filippani ne raccomandava la lettura quotidiana. La lettura in particolare dei primi versi del Vangelo: quelli in cui si parla del Logos che è presso Dio e che è Dio. Del Logos per mezzo di cui tutte le cose sono state fatte. Del Logos che è vita, che si incarna e che è Luce che splende nelle tenebre. Sono tutti i motivi sui quali Rudolf Steiner incentrò la sua soteriologia.
Evidentemente la Russia è il terreno adatto in cui può germogliare il seme del Cristianesimo giovanneo. Anche il taumaturgo russo Rasputin del resto racconta come nei lunghi inverni siberiani suo padre gli spiegasse il Vangelo di Giovanni, dopo aver bevuto un bottiglione di vodka, per essere sicuro di trovarsi nella condizione psicofisica più idonea all’esegesi[3]…
Vi è poi l’altro tema fondamentale, quello della Theotokos, che nel cristianesimo ortodosso trova ampio sviluppo: Maria come madre del Verbo Incarnato e come personificazione della Sofia.
Nel saggio Vak. La Parola Primordiale, Filippani fa un parallelismo tra lo scenario spirituale indù e quello greco-mediterraneo. In entrambi i popoli – per effetto del comune retaggio indo-europeo – troviamo culti di Divinità virili, patriarcali, uraniche che reggono la vita sociale e scandiscono l’esistenza degli uomini. E in un ambito più esoterico incontriamo i Misteri iniziatici che si svolgono all’ombra di grandi divinità femminili: la Shakti in India, Demetra nei Misteri di Eleusi.
L’equilibrato sviluppo delle civiltà e degli uomini evidentemente richiede il giusto equilibrio e l’integrazione tra il polo maschile e quello femminile. Sbagliarono in passato quegli esponenti del tradizionalismo o dell’ideologia arianista che attaccarono il matriarcato, manco fosse l’incarnazione del diavolo. Le grandi civiltà dell’emisfero boreale di volta in volta valorizzarono l’elemento maschile e quello femminile fino ad integrare i due aspetti: l’elemento eroico ed eminentemente politico legato a giovane Dei virili e l’elemento soterico incentrato sulla figura della Madre, di colei che era Iside in Egitto, Demetra in Grecia e senza soluzione di continuità è divenuta Maria Madre di Dio nell’Europa cristiana. Per Rudolf Steiner, la “Madonna Sistina” era Iside colta dal genio di Raffaello nella sua incarnazione storica in Maria.
D’altra parte la stessa devozione religiosa sembra trovare il giusto equilibrio tra i diversi archetipi. Nei popoli di tradizione cattolica e ortodossa la venerazione della Madonna ha larghissimo spazio. E tuttavia Maria è principalmente colei che ha generato il Salvatore, è una Madre la cui funzione fondamentale è quella di generare il Dio-fatto-uomo, sullo sfondo di una grande Divinità celeste, alla quale gli uomini si rivolgono come Padre attribuendogli una funzione provvidenziale.
Nel protestantesimo, una volta respinto come pagano il culto mariano, l’equilibrio tra le figure si infrange, Dio Padre assume connotati più simili a quelli di Iahvè e Allah.
Nel mondo russo-ortodosso la venerazione per la Madre si arricchisce di interessanti valenze teologiche. La venerazione per la “Sophia” si esprime in autori come Soloviev in una visione teologica profondamente intrisa di platonismo. Nei commenti al precedente articolo su Filippani, si notava giustamente l’estrema vicinanza tra la teologia trinitaria dell’Ortodossia e la triade plotiniana: En-Nous-Psychè.
Fino a ieri queste teologie erano schiacciate dal rullo compressore dell’ateismo di Stato comunista, ma oggi gli ex-colonnelli del KGB baciano le sacre Icone della Ortodossia nella fortezza del Cremlino…
Alla sala degli Angeli del convento Suor Orsola Benincasa, sede di un famoso istituto universitario di Napoli, Filippani teneva spesso dei seminari, di solito organizzati dal professor Chiodi. I suoi discorsi erano un piccolo evento: Filippani spaziava dall’India all’antica Roma, e il suo fascino non era quello di un semplice professore universitario. Era a metà tra un aristocratico passato indenne attraverso i patiboli delle ultime due o tre rivoluzioni di massa dell’Occidente e un dotto che insegnava molte cose e altre ancora se le teneva per sé. Quando uscì dal convento del Suor Orsola per incamminarsi verso l’Hotel Britannique, una piccola processione lo seguiva sotto il Sole del tramonto per godere ancora un po’ del piacere della sua conversazione. Sulla via Vittorio Emanuele che si affaccia dall’alto sul golfo di Napoli c’era una cappellina molto naif, una delle tante che la devozione popolare partenopea dissemina nei vicoli brulicanti di persone. L’ingenuo dipinto raffigurava la Vergine con Gesù in braccio. Filippani si fermò e guardò quel ritratto come se fosse l’opera di un grande artista. Poi si fece il segno della croce, con assoluta serietà: anche in quel disegnino coglieva l’archetipo della Madre e quello del Logos Salvatore del mondo.
Un ultima considerazione riguardo al tema della tradizione. Filippani era eminentemente uomo della Tradizione se per questa si intende l’eredità dei nostri padri che si perpetua e si rinnova nel presente. Non era però un tradizionalista. E la sua adesione al cristianesimo ortodosso era quanto di più lontano possibile dalle preoccupazioni di stampo guenoniano riguardo alla “regolarità iniziatica”. Diceva anzi: “i guenoniani sono i comunisti dell’iniziazione”. Accusa pesantuccia, che stava ad indicare come la preoccupazione tipicamente guenoniana per la “regolarità” dell’affiliazione fosse un sostanziale ostacolo per la realizzazione di una esperienza spirituale genuina, vivente.
In accordo con Steiner, Filippani riteneva che ogni epoca avesse la sua impronta spirituale, ogni epoca riservava agli uomini prove da superare e frutti da raccogliere. Per questo il giorno più bello era sempre il presente. Citando l’autorità di importanti yogin dell’India ribadì una volta il concetto che il Kaly-Yuga, l’epoca della massima materializzazione, era anche quella che rendeva possibile il conseguimento dei traguardi più alti di liberazione.
Le ultime epoche storiche sono state caratterizzate da una progressiva discesa nella materia, ma questa discesa nella materia rappresenta per l’uomo nobile una singolare prova d’ardimento.
[1] Consultabile su questo sito: http://www.lacittadella-web.com/forum/viewtopic.php?f=15&t=703. Da confrontare con l’articolo pubblicato sul “Roma” da Julius Evola e presente nel sito del Centro Studi La Runa.
[2] Cfr. Haushofer.
[3] Cfr. Geminello Alvi, Uomini del Novecento.
Fonte: Centro Studi La Runa
