di Roberto Siconolfi
Lo studio della storia (almeno quella del novecento), della scienza politica, o anche la stessa esperienza politico-militante, dovrebbero essere dei capisaldi nel mondo delle cosiddette forze anti-sistema o almeno nella loro forma mentis base.
E’ impossibile costruire una trasformazione radicale dello status quo, andando sostanzialmente a chiedere, ad edulcorare, o a ripristinare lo Stato liberale, o meglio quello che è rimasto di esso e anche in versione peggiorata.
E soprattutto se ci si dichiara contro il liberalismo o il neo-liberismo, ecc.!
In Russia, prima del ’17, le basi popolari della rivoluzione (i Soviet), che erano basi produttive e militari, erano già pronte, coordinate e autogestite.
Furono messe a regime attraverso il “dualismo dei poteri”, che prevedeva da un lato i Soviet e dall’altro lo Stato, muovendosi a geometria variabile: laddove c’era bisogno di più Stato centrale si aveva più Stato centrale, laddove i Soviet avevano bisogno di meno Stato centrale c’era meno Stato centrale.
E ancora, prendiamo ad esempio la meno politicamente corretta Germania degli anni ‘20/’30. Il popolo era già organizzato in organizzazioni produttive e militari come il movimento völkisch, i freikorps, o più tardi le SA.
E allo stesso modo che nell’Unione Sovietica, furono messe a regime dall’NSDAP, il quale, parole proprio di Hitler nel Mein Kampf, prese i modelli e i metodi di azione e organizzazione dai bolscevichi.
Ma di esempi ne potremmo fare a bizzeffe di leghe bianche, cooperative, ecc., che di marca cattolica o socialista, organizzavano e producevano da sé quanto avevano bisogno.
Sulla necessità o meno dello Stato centrale da parte di tali strutture si è articolata poi la dialettica storica di tali esperienze.
C’erano gli intransigenti che non volevano alcuna ingerenza, pensiamo ai trotzkisti, alla sinistra del movimento comunista, ai socialisti rivoluzionari ecc. che volevano “solo” Soviet e niente Stato.
C’erano le SA che non volevano la Wermacht, e divenire così loro l’esercito nazionale.
Questo per dire che solo quando un popolo, e tra l’altro bisogna rivedere pure il concetto di “popolo”, si “auto-organizza” fa davvero paura e può avere il centro nel gioco politico.
In alternativa tutto si riduce ad una mera corsa all’elezione in parlamento e nei posti chiave della nazione da parte di una casta burocratica calata dall’alto e chiamata “partito”, la quale non farà gli interessi del popolo perché non ha collegamento con esso.
Non lo conosce!
Un simile livello politico va ricostruito anche oggi, in Italia, con autonomie territoriali e tematiche (produzione, servizi, difesa, ecc.) che nascano, si sviluppino e si mettano in collegamento, e che abbiano o meno a che fare con lo Stato centrale in base a quanto sia necessario.
Tutto ciò considerando che è finita l’epoca delle masse, dei movimenti e dei partiti di massa, è finita la modernità e dunque la concezione moderna, liberale e borghese dello Stato.
L’Occidente postmoderno è fluido, atomistico e tribale allo stesso tempo.
L’organizzazione della comunità, se così la si può definire, nel XXI secolo deve tenere conto di questo!
