di Yukio Mishima
“L’allenamento del sole e dell’acciaio era dunque un’attività in grado di produrre quel genere di scultura fluida, e poiché il corpo così plasmato apparteneva strettamente alla vita, tutto il suo valore doveva essere riposto in ogni attimo di quello splendore. Perciò la scultura che rappresenta il corpo umano celebra con marmo imperituro l’essenza effimera della carne. Ne consegue che appena oltre, un attimo dopo, preme già la morte.
Se in un corpo la solennità e la dignità risiedono unicamente nell’elemento mortale latente in esso, la scorciatoia per raggiungerlo doveva condurre segretamente allo spazio che sta dietro alla sofferenza e alla sua accettazione, allo spazio che sta dietro al perdurare della coscienza quale prova inconfutabile della vita.
Se anelavo a ogni costo alla lotta, nel campo dell’arte dovevo difendere la fortezza, fuori dal campo dell’arte dovevo lanciarmi all’assalto. Era necessario che nell’arte fossi un valido difensore e al di fuori dell’arte un audace guerriero […] A mano a mano che incominciavo ad apprendere dal sole e dall’acciaio il segreto per modellare le parole con il corpo e non soltanto il corpo con le parole, i due poli cominciavano nel mio intimo a mantenersi in equilibrio, e ad una corrente continua si sostituì una corrente alternata […] Fare coesistere in se stessi questi poli opposti, l’equilibrio e la contraddizione sempre in conflitto, era il mio concetto di unione della letteratura e dell’arte marziale.”
