di René-Henri Manusardi
Una visione esistenziale
Il teschio, in forma sintetica è la rappresentazione della morte. Morte come evento esistenziale finale del nostro Dasein, del nostro Esser-ci nel mondo dei viventi. Morte come presenza di un essere angelico, nella contraddizione semantica di manifestarsi egli come estremamente vivo e onnipresente in alcune esperienze mistiche. Morte come pensiero, riflessione, meditazione discorsiva su ciò che ci aspetta dopo il fine vita e che alimenta il desiderio di immortalità, nel dubbio amletico se tale immortalità sia reale, realtà post mortem, oppure appunto solo un desiderio, il desiderio di chi si rifiuta di scomparire nel nulla. Morte come stato di sofferenza psichica che può condurre al suicidio o che ci fa vivere una vita spenta, senza stimoli, nel grigiore di un continuo tramonto, nell’anestesia di qualsiasi relazione umana e nel trascinare la propria esistenza come zombie. Tutto questo e molti altri significati sono racchiusi nell’immagine del teschio.
Il teschio, nell’itinerario esistenziale del Soggetto radicale rappresenta il simbolo efficace della sua visione del mondo, una weltanschauung che non si conclude con l’oscura morte ma con il ritorno solare della Tradizione. E che, nel simbolo del teschio, sostanzia sia l’adesione del Soggetto radicale usque ad mortem alla santa causa per la futura vittoria della Civiltà multipolare contro il mondialismo, sia il messaggio di morte che il Soggetto radicale vuole esplicitamente comunicare ai nemici della Tradizione, dichiarando con l’esposizione del teschio che la fine della loro Anticiviltà è ormai alle porte e sta per concludersi. Il teschio, quindi per il Soggetto radicale è vettore di morte per la Vita, sia nel proprio destino umano sia nella propria missione metapolitica sia nella radicalità delle sue battaglie quotidiane per l’affermazione di un nuovo ritorno alla Tradizione, per la ricostituzione dell’Ordine Divino nel mondo dopo i marosi plurisecolari dell’antropocentrismo che, partendo dal narcisismo del Rinascimento, si conclude nella cloaca maxima dell’anticiviltà del Postmoderno.
Contemplare il teschio per il Soggetto radicale non ha senso, essendo egli stesso, dopo la sua discesa agli inferi, vera immagine incarnata del teschio. Egli cammina nell’esistenza propria e altrui mettendosi e mettendo di fronte agli altri la terribile verità della scelta definitiva per la verità contro l’errore, del bene contro il male, del coraggio contro il terrore. Usando poi questo stesso terrore che il Potere mondialista esercita sulle coscienze per dominarle, inoculandolo nelle stesse coscienze per allontanarle dall’edonismo borghese e dal consumismo sfrenato attraverso l’immagine dell’Eroe primordiale e dei tempi ultimi, che quale profeta di sventura smuove, agita, scuote le coscienze obbligandole a scegliere e a prendere posizione. Questo è il senso che dà Aleksandr Dugin al Soggetto radicale quale impassibile assassino freddo e sanguinario, che usa questo provocatorio omicidio verbale di accusatore del Potere durante il periodo di pace e di esecutore del malicidio durante il tempo di guerra. Per questo Dugin afferma che il sostantivo guerriero è insufficiente e plebeo per identificare il Soggetto radicale, che egli definisce invece come Angelo distruttore e terrificante. Così, mentre la tradizione cristiana definisce i monaci alla stregua degli angeli e – aggiungiamo – angeli di pace, possiamo definire i Soggetti radicali non tanto angeli di guerra, quanto invece angeli dell’ultimo kali yuga, angeli dell’Apocalisse, angeli del Ragnarok, angeli del ritorno del Re immortale il quale: “Et habet in vestimentum et in femore suo scriptum: Rex regum et Dominus dominantium” (Ap 19,16).
Una questione antropologica
Il valore totemico del teschio si perde nella notte dei tempi del nostro DNA. Esorcizzare la morte con l’esposizione dei teschi, attrarla a sé come difesa collettiva quale totem del villaggio, incutere timore e terrore portando i teschi dei nemici già uccisi in battaglia, bere nel teschio dei propri nemici. Le civiltà tribali con questi e altri comportamenti, insegnano che il problema della morte non va eluso bensì va contemplato attraverso il teschio e le ossa umani e animali, come archetipo della provvisorietà della vita e come porta stretta verso una vita più vera, dove i membri della tribù potranno convivere con le entità spirituali e con gli dei, al di là della soglia e senza più i condizionamenti e gli ostacoli che questi spiriti pongono nella loro breve vita terrena. Nell’organizzazione tribale, la figura dello sciamano nella sua tripartizione tradizionale di uomo in contatto col divino, consigliere del capo e uomo di medicina, qualificano la sua importanza di mediatore e di ordinatore di un culto della morte e degli dei che, prefigurando le religioni storiche, si pone come mediatore ed intercessore di tutta la tribù con l’angelo della morte il quale diventa singolarmente una presenza viva e condizionante.
Nel Soggetto radicale si pone la questione antropologica della sua frequentazione abituale con la morte come seconda pelle, come presenza e quasi come guida silente della sua anima. In realtà, la discesa esistenziale nel Chàos primordiale che il Soggetto radicale compie non di sua volontà ma per mezzo degli eventi della vita (a differenza della discesa negli inferi che resta una successiva scelta di adesione volontaria e di conferma), lo porta a vivere confusamente e a stretto contatto con una serie di forze elementari e primarie proprie del Chàos stesso, di cui la morte stessa è uno dei principali elementi come istinto di distruzione prefigurazione della sua futura antropomorfizzazione come Thanatos, insieme all’istinto di conservazione prefigurazione della sua futura antropomorfizzazione come Venere, nonché all’istinto di sopravvivenza prefigurazione della sua futura antropomorfizzazione come Marte.
La questione antropologica si risolve nella necessità biologica e mentale di un rapporto interpersonale da parte del Soggetto radicale con un’entità esistenziale, che se non sempre si rivelerà come essere spirituale angelico, tuttavia lo condizionerà a riferirsi ad essa costantemente, in un momento in cui sia gli esseri umani sia il Divino sembrano averlo abbandonato al suo destino. Da questo momento, il teschio come onnipresenza invocata e come simbolo di appartenenza diventa per il Soggetto radicale anche modalità d’azione metapolitica e stile di vita personale. Uno stile di vita basato sul distacco affettivo e sentimentale che non diventano più condizionanti rispetto agli eventi della vita. Una modalità d’azione metapolitica che, in questa fase chàotica, raffina le motivazioni intellettuali della lotta multipolare, perfezionandosi con la successiva discesa negli inferi ad una percezione ontologica della Tradizione che spinge il Soggetto radicale verso una scelta metafisica e spirituale di dominio della “realtà morte” sulla propria vita, dominio che crea fecondità d’azione per il bene della causa, a favore della guerra santa per la Civiltà multipolare.
Un problema sociologico
La simbologia del teschio ha percorso integralmente la storia dell’umanità e con accenti differenti la storia del continente europeo. Da ostentazione tribale per lo più celtica e nordica a culto pagano greco-romano della morte; da contemplazione cristiana sul teschio e sul senso della morte a meditazione massonica sulla bara; da simbolo dell’arditismo e dei corpi speciali all’arenamento attuale dei tattoo nel nichilismo postmoderno quale affermazione distruttiva di taglio consumistico pseudo tribale. Oggi si ostenta il teschio come culto satanico, come gothic cultuale dell’oltretomba o come glamour firmato, ma è comunque sempre legato al senso nichilistico e autoimplosivo della società liquida contemporanea. Sembra certo che la pervasività dei social media, sia stata in grado di creare tribù pseudo ideologiche virtuali il cui credo è basato su aspetti immaginifici o aberranti del culto della morte legato al teschio, dalla mutilazione degli arti alla pedofilia di tipo omicida per finire ai selfie in situazioni architettoniche borderline ad alto rischio d’incolumità personale.
In questo magma postmoderno, si crea quindi il problema sociologico di comunicazione della realtà ancestrale e simbolica del teschio da parte del Soggetto radicale, che di fatto corre seriamente di venire inghiottito dai parametri cultuali della morte presenti nella liquidità sociale contemporanea, impedendogli l’annuncio e la testimonianza delle verità di Tradizione, compresa la verità sulla morte. Tale problema sociologico può venire però facilmente bypassato, in quanto la realtà del Soggetto radicale è così antinomica rispetto al vivere sociale attuale, che la sua stessa presenza è uno shock che provoca il risveglio delle coscienze addormentate o assopite dal consumismo. La sua testimonianza e la sua parola feroce, inoltre segnano una condanna e un monito al vivere postmoderno, capace di invocare il vero senso della morte nel sentire comune, provocando infine una reificazione ossia un rendersi concreto del simbolismo del teschio che porta alla percezione del gelido afflato della morte, capace di svelare l’insignificanza del vivere il miraggio del consumismo, il quale porta appunto alla morte dell’anima e della società.
A proposito dello shock sociale dato dalla presenza nella società di Soggetti radicali, così ci insegna Aleksandr Dugin: “… il Soggetto radicale cerca di affermare qualcosa di assoluto e di radicale in sé, non legato interamente alle condizioni paradisiache in cui la sua natura regale era evidente. In altre parole, egli intende mostrare la propria natura superiore non sul trono regale ma nelle vesti di un contadino, di uno spazzacamino, di un mendicante, di un mostro”. Infatti, il Soggetto radicale è Uomo d’abisso e Uomo ancestrale, è Uomo di vetta e Uomo liminale, è predicatore del Chàos che precede il Kosmos ossia il ritorno dell’Ordine Divino nel mondo, annuncia a questo mondo la morte stessa di questo mondo, agita il simbolo del teschio contro l’orizzontalità del vivere postmoderno e a favore della verticalità, frutto di quel Chàos ordinatore che discende dal Divino e riempie l’umano. Infatti, come insegna Dugin: “Noi non vogliamo restaurare alcunché, ma far ritorno all’Eterno, che è sempre fresco, sempre nuovo: questo ritorno è dunque da intendersi come un procedere in avanti, non a ritroso”. Da qui, la nascita di un’urgenza e di un’emergenza sociologiche decretate dal furore e dall’intensità della lotta, ossia la necessità assoluta per i Soggetti radicali di creare, vivere e ruotare attorno a Comunità Organiche di Destino che diano un orientamento sicuro nella lotta al mondialismo unipolare e mettano in comune quelle risorse umane, spirituali, intellettuali ed emotive in grado di edificare la Civiltà multipolare, come piccole Abazie territoriali che operano fattivamente per il ritorno dell’Impero d’Europa Sacro e Romano.
Un interrogativo psicologico e una soluzione spirituale
Al di là del problema della morte psichica, trattato profondamente dalle psicoterapie e sinteticamente esposto nel nostro precedente articolo Thanatos e Odysséus, resta il fatto che l’evanescenza dei rapporti interpersonali e sociali nella società contemporanea – legati come un filo al lumicino virtuale dei social media –, la disgregazione della famiglia e dei corpi intermedi, nonché la trasformazione di questo essere umano postmoderno ormai solo ed atomizzato in “individuo consumatore”, ci rende coscienti dello stato di agonia sociale e, in tanti casi, di morte sociale ed individuale vissuto dalle persone in questo periodo storico quasi finale del kali yuga. Ad esempio, il numero di omicidi familiari come infanticidi, femminicidi, maschicidi, gerocidi, patricidi, matricidi, figlicidi, ha raggiunto vertici impressionanti. Questo denota che lo spirito postmoderno della trasformazione della società da persone sociali a individui isolati, sta raggiungendo il suo scopo come rifiuto ontologico satanico della bontà della natura umana, della sua struttura e dei suoi equilibri. Ed è evidente che il contenuto tanatologico legato alla simbologia del teschio così spesso ostentata dalla società liquida del postmoderno, sia proprio un annuncio chiaro di questi propositi di annientamento diabolico della natura dell’essere umano e, con l’affermarsi del melting pot, anche delle sue specificità genomiche, razziali e culturali.
L’interrogativo psicologico che può sorgere rispetto alla presenza del Soggetto radicale nella società liquida postmoderna cultrice di morte per la morte, è dato dalla sua natura di cultore della morte per la Vita. E qui denotiamo lo scontro inevitabile che avviene a livello umano e sociale, tra la virtualità edonistica e fashion antitradizionale dell’individuo postmoderno e la cruda realtà del Soggetto radicale, quale persona che afferma la consistenza metafisica della lotta per la Tradizione. L’interrogativo riguarda appunto il chiedersi se la violenza di questo scontro, sia verbale sia di abitudini antitetiche in una antisocietà sostanzialmente babilonica, possa inficiare l’equilibrio umano e la stabilità emotiva e razionale del Soggetto radicale. Questo interrogativo è legittimo e pone il Soggetto radicale in sofferenza tra due poli psicologici esistenziali di tipo estremo, quello di rinunciare alla lotta e di sparire ingoiato nel liquido postmoderno coi suoi vizi, oppure quello di passare dall’intransigenza verbale alla violenza puramente fisica e alla crudeltà psicologica nei rapporti sociali.
L’interrogativo psicologico di tale nodo gordiano può essere sciolto solo a condizione che il Soggetto radicale, dalla iniziale permanenza nel Chàos primordiale, si risolva di fidarsi del Divino che lo chiama a compiere il grande salto della purificazione nella discesa degli inferi della materialità liquida del postmoderno, attraverso un generoso combattimento contro i vizi capitali. Vizi questi, figli della caduta primordiale e seminati dal veleno satanico, vizi che attanagliano tutta la struttura della sua natura umana ossia anima, mente, corpo. Vizi che, se generosamente combattuti, permettono allo spirito – luogo dell’incontro col Divino nel centro dell’anima – di ascoltare il Divino stesso e di ricevere la forza dall’Alto, in questa immane grande guerra santa interiore che la possono vincere solamente i violenti con sé stessi perché: “… il Regno dei Cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono”. (Mt 11, 12). In questa dimensione di lotta spirituale, di violenza verso sé stessi per sradicare i vizi capitali unita alla pratica quotidiana della preghiera profonda e/o della meditazione apofatica transoggettivale ossia della meditazione silenziosa, il simbolo del teschio trova così, per il Soggetto radicale, la sua più nitida comprensione e il suo più profondo compimento.
Fonte: Idee&Azione
25 novembre 2022
