di Carlo Giuliano Manfredi
L’eretico non accetta che gli venga imposto un nemico, poiché sa scegliere autonomamente avversari e compagni di viaggio e lo fa scrutando nel profondo dei loro occhi.
Non ha paura d’usare la spada: ne stringe forte l’impugnatura sormontata dall’elsa delle proprie convinzioni.
Sa dove dirigere la lama.
Egli «è libero di spirito e di cuore: perché la sua testa sarà soltanto il viscere del suo cuore; il suo cuore tuttavia lo spingerà verso la rovina» (Nieztsche).
Brucia sul rogo ogni giorno, l’eretico, scontrandosi con le alte mura che l’invisibile demiurgo (armato di codici, schermato da giacca e cravatta) ha posto nella costruzione del labirinto, facendo sfoggio del più rassicurante dei sorrisi.
L’eretico è colui che nasce postumo; è l’inattuale per eccellenza, non è figlio del suo tempo, ma di un tempo che fù e che deve ancora venire; non si riconcilia con il presente, perché questa è la scelta più difficile. Egli «spreca la propria anima, […] non vuole ringraziamenti, […] non restituisce nulla: perché egli dona sempre e non vuole conservarsi» (Nieztsche) , è «il rifugio di tutte le idee sradicate dall’ignominia moderna» (Dàvila).
