a cura di GIuseppe Aiello
Corano, sura 95:
“Per il Fico e per l’Ulivo,
e per il Monte Sinai,
in verità abbiamo formato l’uomo nel modo migliore,
poi lo abbiamo declassato tra gli ultimi degli ultimi:
si salvano sono coloro che sono rimasti fedeli [a Dio] e hanno compiuto il Bene, per il quali vi saranno ricompense senza fine…”
Nel cercare di comprendere e interpretare il Corano, quasi nessun sapiente musulmano, nel corso dei secoli, ha guardato fuori dalla tradizione giudaico-cristiano-islamica. Non fa eccezione questa sura: immediato l’accostamento del Monte Sinai a Mosè e alla tradizione ebraica, ma il Fico e l’Ulivo?
E’ così ardito pensare al “Fico” (di cui l’albero di Bodhi è un esemplare) sacro a induisti, giainisti e buddhisti?
La Bodhi indica il risveglio, l′illuminazione spirituale, il modo di vedere le cose che va al di là delle apparenze, per cui essere stato illuminato significa essere riusciti a vedere con chiarezza della verità e in modo intelligente la vita, scardinando ogni forma di illusione e di ignoranza, che tenderebbero a oscurarne la comprensione.
Ciò è perfettamente in linea con il messaggio divino del Corano, e del versetto in questione.
Nella tradizione greca, l’ulivo è l’albero della civiltà per eccellenza. Secondo il mito più diffuso, l’Ulivo sarebbe stato introdotto in Grecia, e in particolare in Attica, durante il regno del primo re di Atene, Cecrope, un essere metà uomo e metà serpente sorto dalla terra: a quei tempi le divinità si spartivano l’influenza sulle varie città ed il primo ad arrivare in Attica fu Poseidone, dio del mare, che piantando il suo tridente sull’acropoli di un Atene ancora senza nome, fece sgorgare una fonte d’acqua salata.
Ma Atena, contendendogli il possesso del luogo, fece spuntare il primo Ulivo conficcando la propria lancia nella Terra; Cecrope (o secondo altre versioni un’assemblea di Dei) fu chiamato a dirimere la questione, ed egli scelse Atena, a causa della grande utilità del dono ch’essa aveva fatto alla città, la quale prese il nome della Dea.
