di Giuliano Foschini
Un rapporto dell’Ong Safeguard Defenders rivela che nel mondo ci sarebbero cento posti di polizia segreti per controllare cinesi. “Facciamo solo lavoro burocratico: passaporti e patenti” dicono da Pechino. Ma il sospetto è che cerchino, per arrestarli, i dissidenti scappati all’estero
Centodue “stazioni di polizia” in tutto il mondo. Undici in Italia tra Prato, Firenze, Milano, Roma, Bolzano, Venezia e la Sicilia. Un’indagine che va avanti, da circa un anno, della nostra intelligence per capire esattamente che lavoro svolgono: perché in tutti gli atti ufficiali è scritto che gli uffici che la Cina ha aperto in tutto il mondo, ma in Italia più che altrove, servono soltanto a velocizzare pratiche burocratiche (“facciamo patenti” hanno detto) ma il sospetto comune, anche ai nostri 007, è che quegli uffici servano anche ad altro. A spiare i cittadini cinesi all’estero. A controllare i flussi di denaro tra l’Asia e il nostro Paese. Ma in alcuni casi anche a convincere con metodi non legittimi i cittadini cinesi a ritornare in Patria, senza passare dai trattati di cooperazione. In almeno due casi, in Italia, due uomini che vivevano in Toscana sarebbero stati costretti a tornare in Cina perché erano pronti a prendere loro familiari. Da allora si sono perse le loro tracce. A far scoppiare il caso delle stazioni cinesi sparse nel mondo è stata la ong Safeguard Defenders che ha pubblicato nei giorni scorsi un rapporto – rimbalzato sulle pagine dell’Espresso in Italia e ieri del Guardian – per denunciare quello che da tempo era già esploso: soltanto nel nostro Paese due interpellanze parlamentari erano state presentate. “E aspettiamo ancora risposte” denuncia la parlamentare del Pd, Lia Quartapelle, che segnala come l’Italia sia il paese G7 maggiormente coinvolto in questa operazione. E come le nostre forze di Polizia abbiano firmato degli accordi ufficiali a differenza di quanto accade all’estero.
Una rete capillare
Ma che fanno questi uffici? Ufficialmente, si diceva, sbrigano pratiche burocratiche. Passaporti, patenti. Secondo gli accordi firmati è possibile anche che lavorino parallelamente con la Polizia italiana anche se questo non accade da prima del lockdown. Repubblica è venuta a conoscenza, però, che la nostra intelligence sta compiendo dalla scorsa primavera alcuni accertamenti perché troppe cose non tornano, in Italia come all’estero.
Tutto è nato con la massiccia campagna di Pechino per combattere le frodi da parte di cittadini cinesi residenti all’estero – grazie alla quale già 210mila cinesi sono stati “convinti” a ritornare in patria lo scorso anno – l’ong ha rintracciato l’origine di queste stazioni. Nome in codice: “110 Oltreoceano”, dal numero delle emergenze della polizia in Cina. Una rete presente ora in 53 Paesi. La stragrande maggioranza degli uffici è stata istituita a partire dal 2016: ben prima, dunque, del Covid. Tutte fanno capo a quattro dipartimenti di sicurezza di altrettante città cinesi: Nantong, Qingtian, Wenzhou e Fuzhou. Tra le persone costrette a tornare a casa ci sarebbero anche gli obiettivi dell’Operazione caccia alla volpe, la campagna lanciata nel 2014 dal presidente Xi Jinping per andare a riacchiappare i funzionari di Partito corrotti fuggiti all’estero. Undicimila le operazioni in 120 Paesi dal 2014 ad oggi. La maggior parte attraverso metodi di persuasione illegali. Nel 2018, su 1.335 rimpatri, soltanto 17 persone sono rientrate in Cina attraverso canali di estradizione.
Da Pechino è impossibile avere una risposta. I telefoni squillano a vuoto, per ore. Dall’altra parte della cornetta si resta in attesa a farsi tartassare le orecchie con quel suono che ricorda i vecchi modem 56k. Repubblica ha contattato quattro numeri del Ministero della Pubblica Sicurezza cinese chiedendo spiegazioni: in due settimane nessuna risposta ai nostri messaggi lasciati in segreteria. L’unica, sempre la stessa, l’hanno fornita i vari portavoce del ministero degli Esteri di Pechino in alcune conferenze stampa: “Quelle che sono state definite ‘stazioni di polizia’ sono in realtà centri per i servizi per i cinesi all’estero. A causa del Covid, un gran numero di cittadini cinesi non è in grado di tornare in Cina in tempo per servizi come il rinnovo della patente di guida. Così le autorità competenti hanno aperto una piattaforma online per il loro rilascio: i centri hanno lo scopo di aiutare i cinesi in queste questioni burocratiche. Le persone che lavorano in queste sedi sono volontari delle comunità locali. Non poliziotti”. Non si capisce però perché questo lavoro non possa essere svolto dalle ambasciate o dai consolati. Questo vale per l’Italia come per il resto del mondo.
Rimpatri forzati
Tra i casi riportati dall’Ong c’è, per esempio, quello di un cittadino cinese costretto a tornare da agenti che lavoravano sotto copertura in una stazione in un sobborgo di Parigi. E altri due esuli, rimpatriati con la forza dall’Europa: uno in Serbia, l’altro in Spagna. Indagini sono partite in almeno 13 Paesi. In Olanda due strutture, ad Amsterdam e a Rotterdam, sono state dichiarate illegali e chiuse. Wang Jingyu, un dissidente che vive nei Paesi Bassi, ha dichiarato di essere stato chiamato centinaia di volte nel febbraio di quest’anno da un numero che combacia con quello di una stazione istituita dalla polizia di Fuzhou. “Mi hanno detto di andare alla stazione di polizia di Rotterdam per consegnarmi e di pensare ai miei genitori in Cina”.
Nel Regno Unito di stazioni sospette ce ne sono tre: due a Londra, nei quartieri di Hendon e Croydon, e una a Glasgow. La prima è registrata come un’agenzia immobiliare, l’altra come un ufficio. Quella scozzese è invece ufficialmente un ristorante. Se ci si reca in quella di Hendon, l’agenzia immobiliare Hunter Realty condivide l’edificio con uno studio legale di nome “New World Law Associates”. Il responsabile di entrambe le agenzie, se si consulta il registro delle imprese britannico e se lo si incrocia con i curriculum su LinkedIn, è sempre lo stesso: Richard Huang, alias Shao Zhong Huang. Gli impiegati che vi lavorano confermano che Huang è il loro capo, ma allo stesso tempo negano ogni coinvolgimento in attività illecite. Non ci sono prove che si siano verificati episodi illeciti in questi siti sospetti, ma la polizia britannica è al lavoro. Anche dagli Stati Uniti c’è preoccupazione: il mese scorso il direttore dell’Fbi Christopher Wray ha dichiarato: “È scandaloso pensare che la polizia cinese tenti di insediarsi, per esempio, a New York, senza un adeguato coordinamento. Questo viola la sovranità e aggira i processi standard di cooperazione giudiziaria e di applicazione della legge”.
Fonte: Repubblica
