a cura di Andrea Terenzi
tratto da Alessandro Zanconato, Il morso che spezza. I Ching: figure della Tradizione per sopravvivere alla modernità (Passaggio al Bosco, aprile 2018)
Tempo di perdere; devi avere fiducia; grande è la fortuna e nessuna colpa. Si può essere risoluti, utile avere qualcosa da fare. Che fare? Usare due ciotole per il sacrificio
“Un tempo per cercare e un tempo per perdere” (Ecclesiaste 3:6)
SACRIFICIO
“Sacrificio” è una parola che il nostro tempo non ama affatto: la sua etimologia latina deriva da sacrum e facere, ovvero “rendere sacro”. Il sacrificio, da sempre, è un atto religioso attraverso il quale l’uomo rinuncia ad un oggetto che gli è caro o addirittura ad una persona, per consacrarlo alla divinità: l’esempio più nobile e sublime del “dono”. Per questo la civiltà liberal-plutocratica del XXI secolo rifugge dall’educare i suoi figli al senso del sacrificio: avendo oscurato – dopo l’Illuminismo – la dimensione trascendente e sacrale dell’esistenza, soffocata dai ritmi e dalle pretese tiranniche di un mondo laicizzato, essa obnubila piuttosto le giovani generazioni – e non solo – mediante l’assuefazione edonistica e consumistica, che non accetta dilazioni al piacere e vuole “tutto e subito”. La dimensione mercantile dell’esistenza sotto il liberal-capitalismo non tollera la gratuità e il disinteresse del dono, ma unicamente la transazione della compravendita, estesa dal mondo delle merci a quello dei rapporti umani, dei sentimenti e delle aspirazioni individuali e collettive. Tutto è acquistabile sul mercato, persino la verginità di una diciottenne.
Le “due ciotole per il sacrificio” del testo di Suén contenevano un’offerta di riso, il cereale più tradizionale, ma anche il più prezioso per il nutrimento dei contadini cinesi: un dono apprezzato dagli dei, perché simboleggia l’offerta della propria vita, mediante ciò che ne garantisce la prosecuzione. Si tratta certamente di una “diminuzione”, di una “perdita”, ma essa è funzionale al mantenimento di un rapporto di venerazione e di rispetto nei confronti della divinità: è un “perdere per mantenere”! Inoltre, quest’aspetto della perdita risulta in forte contrasto con la mentalità attuale, tesa all’accumulo e allo spreco ingiustificati.
Molto interessante è il commento di Confucio alla sentenza: il tempo di Suén è un’epoca nella quale i subalterni perdono e i superiori guadagnano, proprio come la nostra, nella quale una minoranza di oligarchi della Borsa possiede la grande maggioranza delle ricchezze globali. Le disuguaglianze tra sudditi e dominatori sembrano destinate ad acuirsi, ma Confucio suggerisce – nel commento all’immagine – un’attitudine calma e misurata: il Saggio è capace di dominare la collera e limitare i desideri (messaggio suggerito dal trigramma superiore Chen, l’Arresto, il Monte). Nella consapevolezza che pieno e vuoto, povertà e ricchezza, si alternano l’un l’altro, e che – quindi – quest’età di diminuzione e di perdita è destinata a trasformarsi in un’altra di accrescimento e di pienezza. Occorre, dunque, coltivare la nobiltà d’animo ed il dominio dell’ira, quest’ultima risultando finalmente improduttiva ed inefficace contro le ingiustizie. Ciò non equivale – però – alla rassegnazione fatalistica, estranea al Libro dei Mutamenti, il quale non crede in un destino ineluttabile, ma alla costanza del cambiamento, regolato da una Legge superiore (il Tao), nei limiti della quale è possibile all’uomo comprendere il presente per progettare concretamente l’avvenire. Vi sono fasi cosmico-storiche nelle quali la perdita e la diminuzione preparano e preludono a vantaggi e compensazioni future: si tratta di perdere per guadagnare, cedere per avanzare, ritirarsi per procedere: “Ciò che è piegato, diventa intero; (…) Colui che possiede poco, acquista”.
Fonte: Azione Tradizionale
