Soggetto Radicale e fenomenologia dell’Immanenza

di René-Henri Manusardi

A-teismo spirituale

     L’Immanenza è la prima forma di presenza diretta del Divino, che si manifesta inizialmente – e ciò può sembrare assurdo – nei connotati pragmatici esperienziali dell’Assenza del Divino stesso, con una vernice, una crosta, una sovrastruttura percettiva sottile ma altrettanto reale e intensa di a-teismo spirituale. L’Immanenza, dando luogo alla Consapevolezza come risultato finale, ossia al permanere spontaneo nel Hic et Nunc, nel Qui e Ora, dopo una serrata e costante pratica meditativa vien detta prima forma di “presenza diretta” del Divino, per diversificarla dai necessari preamboli dettati dalle forme di “presenza indiretta” del Divino che abbiamo trattato in articoli precedenti, quali appunto lo stato di silenzio, la discesa nel profondo, lo stato di immersione, lo stato di vuoto mentale.

     L’anima cosciente del Soggetto Radicale, nell’itinerario progressivo di percezione del Divino proprio della Via della Mano Vuota, dopo i suoi esordi in tale percezione avvertiti – a seconda della cultura spirituale di appartenenza – in modo impersonale o personale, ovvero in modalità monistica, panteistica o teistica correlata dallo stupore e da un momentaneo regime di consolazione spirituale, viene gettata dallo stesso Divino come oro da purificare nel crogiuolo, nella crudità, nell’arsura, nella prova a-teistica dell’Immanenza, prima che la stessa Immanenza infine diventi apertura al Divino stesso. Di questa prova ne troviamo numerose testimonianze nella Sacra Scrittura, anche per bocca dell’Apostolo Pietro: «Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà». (Prima Lettera di Pietro 1, 6-7).

     L’anima cosciente, in questo stato a-teistico privo di luce interiore, percepisce l’aspetto negativo della vacuità. Il vuoto che sente dentro sé è come un’orribile caverna senza fondo, viene percepito come la stessa sostanza della sua anima, un soffio materiale destinato all’estinzione, un senso della morte che non porta con sè nell’aldilà ma che fa crogiolare nell’agonia di un materialismo opaco fine a sè stesso. È un reale senso di finitezza che fa identificare l’anima cosciente con la materialità grezza del cemento, delle pietre frantumate, o con il divenire della talpa immersa nei tunnel scavati nel profondo della terra, oppure come un insetto che vive e s’alimenta nell’umidore scuro e nella penombra di una grotta. Immagini forti, queste, a cui se ne possono aggiungere molte altre, ma che rivelano lo stato di prostrazione dell’anima cosciente durante questa prova sperimentale di reale a-teismo.

     Il Grund eckhartiano e l’Urgrund heideggeriano, manifestano l’imago Dei dell’anima cosciente che, seppur creata, è così vasta che, al dir di Santa Teresa d’Avila, sembra infinita. Ma di questa infinità, l’anima cosciente stessa in questo stato di a-teismo spirituale ne sperimenta solo l’horror vacui, un terribile senso di vuoto umano ed esistenziale che la circonda da ogni parte, fine a sé stesso e senza sbocchi verso l’Alto, come se la stessa vita debba da lei essere vissuta nello scorrere della elementarità scollata degli elementi che la compongono con la conoscenza intima e arida della loro finità spaziale-temporale, e non invece nelle concatenazioni e nei collegamenti che ne danno senso come esistenza individuale aperta all’infinità e all’eternità.

     Questa prova di materialismo spirituale, trova origine e compimento nella purificazione (katharsis) e nello svuotamento di sé (kenosis), necessari per abbattere l’io avviluppato dai sette vizi capitali e dominato dal suo narcisismo egoistico. Il Divino stesso, attraverso questa prova di a-teismo educa l’anima cosciente a comprendere il senso di finitezza che l’attaccamento alla materialità porta con sé, nonché il terribile vuoto cosmico interiore di disperazione esistenziale che l’Assenza del Divino riesce a far emergere, come se l’anima cosciente fosse una monade persa e fluttuante in questo suo spazio siderale interiore tendente all’infinito.

     “Io sono Vuoto”, quindi, “Io sono Nulla”, come sensazione permanente e onnipresente interna al Soggetto Radicale che s’impegna nell’opus interiore, porta alla minimalizzazione del tessuto egoistico che lo avvolge, perché il senso di nichilismo a-teistico estremo che lo fa soffrire terribilmente agisce con la continuità di una serie di strappi violenti progressivi, che favoriscono lo sradicamento dell’io e la fuoriuscita del Sé, l’emersione dell’anima cosciente dal conflitto emotivo-razionale, che vede protagonisti mente e cuore i quali de facto rendono ordinariamente prigioniera la stessa anima cosciente. Questa componente negativa della vacuità, horror vacui, a-teismo spirituale, capace di smorzare nel silenzio assoluto e tormentato ogni attività mentale ed ogni impulso emozionale, in realtà rappresenta la fase purificatoria della futura percezione del Qui e Ora, della consapevolezza dell’Esser-ci (Dasein), la quale per essere diretta ed immediata deve prima venire liberata da tutte le scorie emotive-razionali del “cuore che domina” e della “mente che mente”.

Il Distacco

     Nella fenomenologia dell’Immanenza, il secondo passaggio, la conseguenza di questo orribile vivere nell’a-teismo dell’horror vacui, è la viva sensazione di sterilità, transitorietà e finitezza di qualsiasi rapporto umano, amicizia, relazione col mondo e con le cose di appartenenza o con gli strumenti di uso comune. L’anima cosciente sente profondamente questa finitezza in relazione al problema e alla realtà della morte. La morte infatti appare come il limes, il confine oltre il quale l’accumulo di affetti umani e di beni materiali, ossia “il tutto” che fino ad ora ha sostanziato e ha identificato in modo unico ed esclusivo l’individualità dell’anima cosciente e la sua presenza nella società, il suo particolare Esser-ci nel mondo, andrà lasciato per sempre.

     Davanti a questa verità metafisica di distacco, l’anima cosciente, dopo una dura lotta con sé stessa, è come risvegliata da un sogno, percepisce la vanità ossia l’inutilità di porre il suo cuore nel desiderio eccessivo di possesso delle creature e dei beni materiali e opera un salto – potremmo affermare – ontologico verso l’apàtheia della condizione angelica, la quale la fa atterrare nel regno dell’indifferenza e del distacco totale da ogni affezione terrena, conducendola ad amare cose e persone con giusto mezzo senza bramosia e attaccamento:

     «Allora presi in odio la vita, perché mi era insopportabile quello che si fa sotto il sole. Tutto infatti è vanità e un correre dietro al vento. Ho preso in odio ogni lavoro che con fatica ho compiuto sotto il sole, perché dovrò lasciarlo al mio successore. E chi sa se questi sarà saggio o stolto? Eppure potrà disporre di tutto il mio lavoro, in cui ho speso fatiche e intelligenza sotto il sole. Anche questo è vanità! Sono giunto al punto di disperare in cuor mio per tutta la fatica che avevo sostenuto sotto il sole, perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male. Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!». (Dal Libro di Qoèlet 2,17-23).

     Per il perfezionamento spirituale del Soggetto Radicale nella Via della Mano Vuota, tale passaggio di distacco affettivo risulta essenziale e decisivo per intraprendere una lotta metapolitica vincente sul piano dell’azione, in quanto la sua indifferenza, la sua apàtheia angelologica, creano insensibilità verso il dolore individuale, tenacia nella prosecuzione della lotta senza mai cedere, mancanza di coinvolgimento emotivo ed autocontrollo durante le asprezze nello scontro contro gli avversari politici o contro i nemici in guerra. A questo dobbiamo aggiungere un distacco incondizionato nei confronti del senso di proprietà personale a favore della sua dilatazione comunitaria, nonché una totale assenza di dramma esistenziale nei confronti della perdita degli affetti più cari, sia quelli familiari sia quelli di amicizia. A causa della sua nuova condizione di apàtheia angelologica, per ogni perdita che lo riguarda, il suo motto resterà sempre invariato: “C’est la guerre!”.

La nascita della Consapevolezza

     Da questo crogiuolo esistenziale fatto di Assenza del Divinoa-teismo spirituale e apàtheia angelologica, si ha una profonda purificazione del tessuto emotivo-razionale e uno svuotamento dall’egocentrismo e dal radicamento proprio dei vizi capitali, che durerà tutta la vita e si alternerà nell’anima cosciente agli stati spirituali consolatori (gaudium) e tranquillizzanti (quies) propri dell’Immanenza, della Trascendenza e della Presenza del Divino. In particolare, nella tematica dell’Immanenza come prima forma di presenza diretta del Divino trattata nel presente articolo, la Consapevolezza nasce e si sviluppa dall’Assenza del Divino come non-altro-da-sé. Nella materialità, nella fisicità e nella corporeità dell’ambiente circostante, l’anima cosciente in modo diretto e immediato intuisce spiritualmente e percepisce sensorialmente come esperienza dell’Essere, uno stato di non separazione, di unità e di identità con ciò che lo circonda, un’energia invisibile che tutto lega ed unisce. Questa esperienza primordiale dell’Essere, rappresenta la radice sperimentale che ha dato origine alla Metafisica e alla sua successiva elaborazione, così come è stata strutturata ed esposta da filosofi classici come Platone, Aristotele e, successivamente, Plotino e Dionigi l’Areopagita.

     La Consapevolezza è, quindi, un’esperienza dell’Essere in radice e la forma positiva della realizzazione dell’Immanenza nel suo graduale passaggio dalla negativa Assenza del Divino alla Presenza del Divino non differenziata. La fenomenologia del non-altro-da-sé coincide con la presenza dell’Essere in tutte le cose come loro fondamento, ma che essendo appunto immanente ad esse non può essere ancora percepito come altro-da-sé. Infatti, il senso fenomenologico dato dall’esperienza di Consapevolezza è la simbiosi profonda con tutto ciò con cui l’anima cosciente viene a contatto tramite il silenzio e l’osservazione, considerando nel non-altro-da sé i caratteri intuitivi e percettivi della sua esperienza che è sostanzialmente uno stato di identità non differenziata.

     Nella pratica della Consapevolezza, il silenzio funge da “ambiente” sostanziale e dinamico per il suo compimento, mentre l’osservazione rappresenta il “movente” sostanziale e dinamico della sua realizzazione immanentistica. Il silenzio permette il raccoglimento dell’anima cosciente, mentre l’osservazione ne favorisce l’identità simbiotica. Non è difficile intuire oltremodo la necessità improcrastinabile d’immersione nell’immanenza della natura, per acquisire un corretto stato consapevole e per realizzare una corretta pratica della Consapevolezza. Infatti, la Consapevolezza si nutre e viene nutrita dall’immersione nella natura. Lo stato consapevole è la manifestazione dell’esperienza dell’Uno con gli elementi della natura che si esprimono nell’affermazione dello Io sono. Sentirsi ed essere: io sono aquila, lupo, orso, foresta, roccia, oceano, lago, fiume, vento, tempesta, uragano, tsunami. Rivivere nel proprio microcosmo tutti gli elementi minerali, vegetali, animali e spirituali di cui l’essere umano è composto. Vivere nell’Immanenza di una pura simbiosi tutti gli istanti della creazione, dal fiore che si schiude alla vita, all’ape che ronza impollinando nel chiostro, al volo selvaggio del falco in picchiata, al fruscio della foresta agitata dal maestrale, tutto questo è vivere nella Consapevolezza, tutto questo è vivere con Consapevolezza:

     «O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza, con la bocca di bambini e di lattanti: hai posto una difesa contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli. Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi: tutte le greggi e gli armenti e anche le bestie della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci del mare, ogni essere che percorre le vie dei mari. O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!». (Dal Libro dei Salmi 8, 2-10).

     L’esercizio costante della Consapevolezza, può creare infine una abitudine permanente, uno stato costante di Immanenza che non è comunque una condizione incessante di identità simbiotica con il reale circostante, ma alterna momenti di quieta beatitudine a momenti di totale Assenza con questa identità, per cui l’anima cosciente è presente solo a sé stessa nella aridità più assoluta. La pratica e lo stato di Consapevolezza infatti sono costituiti da questa alternanza esistenziale di consolazione spirituale e aridità spirituale. Ma saranno proprio questa aridità dalle tinte solipsistiche e la stessa condizione limitativa di esperienza dell’Essere non differenziata, che creeranno un corto circuito che spingerà l’anima cosciente ad una nuova ultima fase della Consapevolezza immanente.

     Nell’angosciato tentativo antropologico di superare i limiti della propria condizione spirituale, l’arido e asciutto limite dell’Immanenza, del non-altro-da-sé, si trasformerà nella sete e nella ricerca della completezza con un Altro-da-Sé. Così l’anima cosciente del Soggetto Radicale realizzerà l’apertura della sua Immanenza alla Trascendenza, si aprirà alla seconda forma di presenza diretta del Divino, al Totalmente Altro, infatti:

     «il Soggetto Radicale è sempre centro, anche laddove non è possibile averne uno. È una forma di trascendenza immanente». (Aleksandr Dugin, Evola, il populismo e la Quarta Teoria Politica, in Attuali e inattuali, blog di Andrea Scarabelli su «Il Giornale.it», 25 giugno 2018).

Questo sarà il tema del nostro prossimo articolo. Sursum corda!

Fonte: Idee&Azione

16 marzo 2023

Soggetto Radicale e fenomenologia dell’Immanenza
Soggetto Radicale e fenomenologia dell’Immanenza

Pubblicato da vincenzodimaio

Estremorientalista ermeneutico. Epistemologo Confuciano. Dottore in Scienze Diplomatiche e Internazionali. Consulente allo sviluppo locale. Sociologo onirico. Geometra dei sogni. Grafico assiale. Pittore musicale. Aspirante giornalista. Acrobata squilibrato. Sentierista del vuoto. Ascoltantista silenziatore.

Lascia un commento