Rudolf Steiner nel 1917 parlava dei vaccini come un arma contro l’evoluzione spirituale, contro lo sviluppo dell’onda di coscienza. Notare come la manipolazione mentale del sistema informativo manistream sta ampliando la disinformazione generale e la paura riguardo presunte malattie, ormai debellate da moltissimi anni come se fossimo in uno stato di pandemia. Non hanno ancora il coraggio di provarci in Germania dove non vi sono vaccinazioni obbligatorie ma in Italia, uno stato fallimentare ed una classe politica corrotta in pura svendita hanno permesso al volo di trasformare l’intera classe d’età infantile della polazione italiana in una cavia per le vaccinazioni elaborate da Big Pharma.
Mentre in America il presidente degli Stati Uniti prende posizione pubblica contro il pericolo dei vaccini infantili (affermando la correlazione di vaccini ed autismo) ed affida una Commissione Nazionale di Studio al nipote di J.F. Kennedy, raccogliamo questa ulteriore e assolutamente preoccupante segnalazione da parte di amici antroposofi.
Ecco cosa dice Steiner:
“Ma gli Spiriti delle tenebre sono in mezzo a noi, sono qua. Dobbiamo restare in guardia in modo da accorgerci quando li incontriamo, in modo da comprendere dove si trovano.Perché la cosa più pericolosa nel prossimo futuro sarà abbandonarsi inconsciamente a tali influssi, che realmente esistono intorno a noi. Infatti, che l’uomo li riconosca o meno, non fa alcuna differenza per la loro reale esistenza.
Ma soprattutto, per questi Spiriti delle tenebre sarà importante portare confusione, dare false direzioni in ciò che si sta ora diffondendo in tutto il mondo e per cui gli Spiriti della luce continueranno a operare nella direzione giusta. Ho già avuto occasione di mettere in guardia su una direzione sbagliata, che è davvero tra le più paradossali.
Vi ho indicato che i corpi umani si svilupperanno in modo tale che vi potrà trovar posto una certa spiritualità, ma che il pensiero materialista, la cui diffusione è sempre più alimentata dalle indicazioni degli Spiriti delle tenebre, opereranno in modo da opporvisi con mezzi materiali. Vi ho detto che gli Spiriti delle tenebre ispireranno le vittime di cui si nutrono, gli uomini che abiteranno, persino ad inventare un vaccino per deviare verso la fisicità, fin dalla primissima infanzia, la tendenza delle anime verso la spiritualità.
Come oggi si vaccinano i corpi contro questo e quello, così in futuro si vaccineranno i bambini con una sostanza preparata in modo che attraverso la vaccinazione, queste persone saranno immuni dalla sviluppare in sè la “follia” della vita spirituale , follia, ovviamente, dal punto di vista materialistico.
(…) Tutto questo tende in ultima analisi a trovare il metodo con cui si potranno vaccinare i loro corpi in modo che essi non potranno dviluppare inclinazioni verso idee spirituali , ma crederanno per tutta la loro esistenza solo alla materia fisica. Così, come dagli impulsi, che la medicina ha tratto dall’inclinazione all’inganno [qui Steiner fa finta di sbagliarsi facendo un gioco di parole tra Schwindelsucht, parola che vuol dire all’incirca disposizione all’inganno e Schwindsucht, che significa tubercolosi ndT] – pardon, scusate, – ha tratto dalla tubercolosi, oggi vaccina contro la tubercolosi, cosi domani si vaccinerà contro la disposizione verso la spiritualità.
Con ciò si intende solo dare un accenno a qualcosa di particolarmente paradossale tra le molte altre cose che accadranno in questo ambito in un futuro prossimo e anche più remoto, in modo di creare scompiglio in ciò che deve fluire sulla terra dai Mondi spirituali grazie alla vittoria degli Spiriti della luce.”
“Gli spiriti delle tenebre sono in mezzo a noi, sono qua. Dobbiamo restare in guardia in modo da accorgerci quando li incontriamo, in modo da comprendere dove si trovano. Perché la cosa più pericolosa nel prossimo futuro sarà abbandonarsi inconsciamente a tali influssi, che realmente esistono intorno a noi. Infatti, che l’uomo li riconosca o meno, non fa alcuna differenza per la loro reale esistenza. Soprattutto, per questi spiriti delle tenebre sarà importante portare confusione e dare false direzioni in ciò che si sta ora diffondendo in tutto il mondo. Vi ho detto che i corpi umani si svilupperanno in modo tale che vi potrà trovar posto una certa spiritualità, ma che il pensiero materialista, la cui diffusione è sempre più alimentata dalle indicazioni degli spiriti delle tenebre, opererá in modo da opporvisi con mezzi materiali. Essi ispireranno le vittime di cui si nutrono, gli uomini che abiteranno, persino ad inventare un vaccino per deviare verso la fisicità, fin dalla primissima infanzia, la tendenza delle anime verso la spiritualità. Verrà affidato ai medici materialisti il compito di eliminare l’anima dall’umanità. Come oggi si vaccinano i corpi contro questo e quello, così in futuro si vaccineranno i bambini con sostanze preparate in modo da renderli immuni dallo sviluppare in sè la “follia” della vita spirituale, follia, ovviamente, dal punto di vista materialistico. Essi non potranno sviluppare inclinazioni verso idee spirituali, ma crederanno per tutta la loro esistenza solo alla materia fisica. Saranno estremamente intelligenti ma non svilupperanno una coscienza, il loro pensiero diverrá quello di un automa. E questo è il vero obiettivo di determinati circoli materialisti.” (Rudolf Steiner, 27 Ottobre 1917)
Il preciso e vigoroso intervento di Sara Cunial alla camera dei deputati, ha mostrato chiaramente cosa significhi parlare con coraggio, come ha fatto lei, invece che parlare ad alta voce, come fanno Salvini ed in particolare la Meloni.
Appare chiaro che ormai lo schema destra-sinistra sia usurato e sostenibile solo da chi ci guadagna sopra, da chi sbarca il lunario grazie ai giornali dell’una o dell’altra parte o con altre forme d’interesse da manutengoli.
Lo schema reale, l’unico esistente, è Sistema contro anti-Sistema. Nel sistema ci sono anche Salvini e Meloni, eredi di Bossi e Fini, usati dal sistema grazie alla loro mancanza di spessore e poi gettati via come pezze usate, come accade a tutti i servi. L’opposizione serve al Sistema così come l’attore che fa il cattivo in una sceneggiata è funzionale alla finzione. Serve simulare differenza, che può essere anche reale per questioni di poca importanza, ma non certo, ad esempio, per il principio usurocratico che domina tutto e che consente la dittatura psichica, scientista e sanitaria.
L’intervento della Cunial, se vera opposizione, l’avrebbero dovuto fare Salvini e Meloni.
Salvini e Meloni avrebbero dovuto e potuto chiedere, con una proposta di legge, visto il momento tragico, aiuti per gli italiani con moneta nazionale versata dallo Stato direttamente ai cittadini, senza creare debito, né pubblico né privato. Non lo hanno fatto perché il Sistema del quale loro fanno parte è basato sull’usurocrazia, e quindi loro non possono parlare contro la dittatura bancaria, semmai proporre come presidente del consiglio dei ministri un usurocrate tipo Mario Draghi, come ha fatto Salvini o proporre varie forme di debito per Stato e popolo, come ha fatto la Meloni.
Naturalmente quando parliamo di anti-Sistema, non parliamo di ghetti storico-ideologici, steccati anch’essi utili alla neutralizzazione, a volte nemmeno pilotata e masochisticamente auto-imposta.
Se tanti militanti pieni di belle speranze capissero che tra Salvini e Giorgia Meloni e un qualsiasi politico del PD non c’e nessuna differenza sostanziale, capirebbero che la loro propria azione militante si svolge solo DENTRO il Sistema, è funzionale al Sistema, rinforza e sostiene il Sistema.
Ma la grande pasionaria, dicono con soddisfazione i suoi militanti, ha portato il partito al quattordici per cento. Certo, ci era riuscito anche Gianfranco Fini, che dopo aver tradito tutto e tutti ora è occupato a tempo pieno a portare il cane a pisciare.
I profeti della “nuova normalità” procedono ormai dritti come un treno, totalmente incuranti degli sviluppi della questione “pandemia”. Nonostante siano ormai emerse decisive evidenze che offrono una nuova luce sulle questione (adesso si sa che la maggioranza delle morti sono avvenute nelle case di cura, che le prognosi iniziali furono totalmente sbagliate, e che corrette le quali la mortalità si è quasi annullata; nuove cure si sono rivelate efficaci, il virus ha perso la sua carica infettiva, e presto sarà del tutto estinto, come tutti i coronavirus stagionali), nonostante tutte queste evidenze le misure ritenute essenziali nel culmine dell’emergenza continuano ad essere in vigore.
Si preannunciano mascherine obbligatorie nelle scuole a partire da settembre, corsi universitari del prossimo anno accademico verranno svolti in modalità online, si prospetta una estate all’insegna dei controlli nei luoghi di vacanza, si suggeriscono vaccini obbligatori per i bambini in autunno, concerti e manifestazioni pubbliche vengono rimandate alla seconda metà del 2021, i sindaci vogliono imporre una stretta sugli “assembramenti” permanente – la “movida” è diventata il nuovo nemico – , addirittura si prospetta la chiusura dei locali in orari anticipati, non più come misura temporanea.
Il tutto mentre il virus è praticamente scomparso, ed è diventato innocuo, a detta anche dei virologi più mainstream (come il presidente della Società italiana dei virologi).
C’è quindi tutta una serie di nuove evidenze, ribadite dai dati, che viene completamente ignorata.
E’ importante notare che in tutta questa vicenda è stato nuovamente confermato, in maniera clamorosa, che per quanto riguarda la diffusione delle informazioni la televisione, e i telegiornali in particolare, godono ancora di un primato incontrastato.
Tutte le informazioni che abbiamo a disposizione, e che ormai offrono una visione della questione totalmente diversa da quella propagandata, divengono del tutto superflue finchè non vengono fatte proprie dai notiziari televisivi. La prima notizia del telegiornale della sera sarà sempre quella che delineerà il sentimento della maggiornaza della popolazione. La televisione gode ancora del diritto supremo di giudice e validatore ultimo della realtà. Se la prima notizia del tg1 o del tg5 insiste sulla immutata gravità della situazione, quella diventerà la realtà.
Tutti i principali virologi potrebbero asserire che l’emergenza è passata e pubblicare articoli a riguardo, con migliaia di condivisioni sui social network, potrebbero anche scriverne nelle riviste specializzate, ma basterà un Burioni qualsiasi che compare in prima serata ad avvertire che “non bisogna abbassare la guardia”, oppure un ministro che dichiara che “non potremmo stare tranquilli finchè non ci sarà un vaccino” e la preoccupazione della maggioranza della popolazione sarà sempre massima.
Non a caso, ancora adesso l’88% degli italiani dichiara che anche dopo la fine delle misure d’emergenza continuerà “ad evitare assembramenti” (dati riportati oggi anche da “il fatto quotidiano”).
Si tratta di quasi la totalità delle persone, ormai totalmente paralizzata mentalmente ed incapace di osservare la situazione razionalmente (c’è stato un virus, si è diffuso, ha fatto dei morti, ora gli infetti stanno sempre diminuendo, sono tutti curabili, il virus si sta indebolendo, è tempo di tornare a vivere come essere umani, come abbiamo sempre fatto).
Ma il solo concetto di “assembramento” ormai genera un riflesso condizionato di terrore. Nell’assembramento cova il virus, pronto a scatenarsi più letale che mai. Una volta si chiamava “passeggiata in centro”, “festa del paese”, “concerto”, “gita al mare”, “serata con gli amici”. Ora tutte queste attività umane sono diventate “assembramento”, hanno assunto una valenza malefica, terrificante, oscura, tanto che l’88% dei nostri connazionali dichiara che vorrà evitarle ancora a lungo. La demonizzazione del termine è stata scientificamente portata avanti ed ha raggiunto il massimo successo.
E davanti a questa fobia, instillata con modalità che sfiorano il condizionamento mistico, nessun “fatto” sarà mai forte abbastanza.
La crisi determinata dal Coronavirus ha messo allo scoperto il piano dell’Elite transnazionale di utilizzare la pandemia per ottenere il controllo totale delle popolazioni e dei governi sotto il pretesto dell’emergenza sanitaria. Dietro le quinte si muovono i grandi protagonisti della finanza e della politica internazionale dettando le loro direttive e, in qualche circostanza, manifestando apertamente le loro intenzioni.
È il caso di George Soros, il vecchio finanziere, speculatore e cinico promotore di migrazioni e di scardinamento degli stati nazionali, il quale non si è trattenuto ed ha voluto dire la sua. Nel corso di un’intervista rilasciata l’11 maggio, Soros ha detto che la pandemia apre la strada a cambiamenti sociali ritenuti impossibili, definendo questa come “un’opportunità rivoluzionaria per completare i nostri obiettivi”.
Naturalmente altri si muovono con discrezione per comunicare le direttive ad organismi come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il FMI, il WTO, la Banca Mondiale, la BCE e consimili dove sono presenti i fiduciari dell’Elite.
Ci sono però resistenze di alcuni governi che vedono nella crisi l’occasione per riaffermare la sovranità dello stato nazionale e allentare i vincoli dell’Unione Europea, abolendo l’apertura delle frontiere e affermando la preminenza delle proprie costituzioni rispetto alla UE. È il caso dell’Ungheria e della Polonia, che sfidano le regole imposte dalla UE e sono insofferenti delle intromissioni di questa.
Più preoccupanti per la elite sono i tentativi di ribellione di gruppi di cittadini verso la stretta messa in atto dai governi con le misure che sospendono le libertà costituzionali e impongono uno stretto controllo dei movimenti. Queste misure suscitano una reazione di rivolta di settori della popolazione a causa, fra l’altro, di una crisi economica che sta portando all’impoverimento di una massa di persone.
Tutto questo rende la gente dipendente dagli aiuti di stato e quindi maggiormente ricattabile dalle classi dominanti che possono imporre i loro provvedimenti sulla base degli interessi dei grandi gruppi economici a scapito delle comunità nazionali. Il tutto viene favorito dal clima di paura alimentato dai media facendo balenare l’idea di una nuova ondata di contagi in autunno.
Isolare le persone, prevenire gli assembramenti e dare un senso di precarietà è un fattore importante per condizionare possibili tentativi di resilienza da parte dei soggetti più critici.
Già da tempo nelle riunioni ristrette dei club della Elite (Bilderberg, Trilateral, Davos, ecc. ) si paventava un possibile “risveglio globale” (“the Global Awakening”), come un rischio reale. Tale fenomeno potrebbe avvenire (ed è avvenuto) non soltanto nei paesi in via di sviluppo ma anche nei paesi occidentali, vista la situazione di impoverimento di massa.
Da qui la necessità di controllare il fenomeno, censurare le pagine di controinformazione nei social ed isolare i fautori della dissidenza. Uno scenario a cui ci stiamo avvicinando sempre più con casi eclatanti come la censura di Facebook, di You Tube e l’internamento di personaggi come Julian Assange.
Non bisogna farsi illusioni: il sistema sta progressivamente stringendo la morsa del controllo e si stanno perfezionando strumenti di sorveglianza quali algoritmi su pagine web, app di tracciamento, braccialetti elettronici, microchip sottocutanei. Ci stiamo avviando verso un sistema sociale dominato dallo scientismo dogmatico per instaurare il Nuovo Ordine Mondiale, quello che rende superflui i governi nazionali, obsolete le costituzioni.
Soltanto una sana sollevazione dei popoli, pacifica ma determinata, può evitare questa deriva.
Le difficoltà spezzano alcuni uomini ma rafforzano la volontà di altri.
In un libro sui miti e le fiabe degli aborigeni è riportata una storia che fa riferimento ad uno dei miti di fondazione di quel popolo, una storia estratta dal “Tempo del Sogno”, il luogo della coscienza dove si assiste alla creazione del mondo da parte di esseri ancestrali. Quando la lessi la storia mi colpì perché traduceva in termini diversi qualcosa che viene raccontato un po’ da tutte le culture e da tutte le religioni, qualcosa quindi che appartiene all’umanità tutta. Allora non tentai di tradurne il senso, lasciai che si sedimentasse tanto che con il tempo produsse in me una immagine chiara del percorso che la coscienza compie nel suo viaggio, immagine che può essere di stimolo alla riflessione in questo momento di passaggio, di sbandamento delle coscienze ma anche ricco di opportunità.
Gli aborigeni raccontano che in un remoto passato la coscienza era imbrigliata in una rete, un reticolo che univa le innumerevoli parti dell’universo, un Tutto nel cui grembo ella sonnecchiava. Questo Tutto risultava agli occhi della coscienza come una nebbia di cui lei stessa faceva parte.
Era una dimensione senza nemici in cui il bene e il male ancora non erano presenti perché non c’era un io a cui riferirne l’esistenza. L’uomo aveva un ruolo passivo, egli non aveva la libertà di decidere né per sé né per le cose perché era sottoposto ad un destino sovrapersonale che poteva solo assecondare, senza poterne cogliere la traiettoria. Un tale riconoscimento, quello del proprio destino, poteva avvenire solo se la particella di vita in questione avesse preso le distanze dal Tutto per sviluppare le sue capacità latenti.
L’uomo, quindi, doveva diventare “libero” e abbandonare quel luogo per porre l’attenzione solo su di sé in modo da sviluppare l’individualità necessaria che gli avrebbe consentito di riscoprire alla fine, attraverso il libero arbitrio, la dignità che gli proviene dall’essere figlio, una particella della Vita. È a questo punto che il suo io separato diventa il centro del mondo, il riferimento principale della coscienza. E’ il passaggio che nella nostra tradizione viene descritto come il momento in cui Adamo coglie il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Il proprio io diventa la misura con cui l’universo viene giudicato e interpretato, e questo io, che riferisce tutto a sé stesso, crea ora un suo universo fatto di piacere e di dolore, di bene e male, di bello e brutto, di utile e inutile. In questo nuovo mondo l’interesse personale viene messo al di sopra di tutto e l’io di ogn’uno, pur cercando di condividere una visione comune della realtà, ineluttabilmente, ne dà una lettura che si scontra con quella degli altri io. Da qui un conflitto diffuso da cui sembra non se ne possa uscire.
È questa la condizione di caduta in cui versa l’uomo, una condizione di separazione che, ancorché necessaria, è stata però portata oltre il limite del suo sviluppo. Ora è venuto, per noi, il momento di risalire la china, di ritrovare il proprio luogo di origine, la propria condizione di unità, quell’essere una particella ma anche espressione integrale di quel Tutto. La strada per risalire, per il ritorno a casa del figliol prodigo, è stata mostrata dal Cristo: essa consiste in un Amore, integrale e senza riserve, che ci riporta a noi stessi, a quel Tutto da cui ci siamo separati.
Quello che è accaduto in Medioriente con l’azione di orde demolitrici di tagliagole al soldo dell’”Occidente politicamente corretto”, ci ha mostrato chiaramente l’intenzione malsana di cancellare, anche le tracce, di quelle antichissime civiltà patrimonio di tutti, per scrivere un futuro senza radici, senza identità. La crisi in cui ci dibattiamo è nata soprattutto dall’influenza che ha avuto sulla coscienza di ognuno l’ideologia postmoderna che ha accompagnato la globalizzazione liberista.
La nostra società, così pronta all’accoglienza e pronta a demonizzare ogni confine identitario, ha una concezione della natura dell’essere umano caratterizzata da un assoluto individualismo, dove è l’interesse personale a primeggiare; dove l’affermazione del proprio io e la sua soddisfazione diventano gli elementi principali del canovaccio del politicamente corretto; dove tutto viene svuotato di senso perché, appunto, “esistono solo gli interessi”. Se prendiamo ad esempio quello che accade al sistema americano, vediamo che la società multirazziale, ora profondamente in crisi, era tenuta insieme dalla prospettiva che la salvaguardia dell’interesse personale, che veniva prima di ogni altra cosa, fosse garantita dal mercato a ogni atomo del corpo sociale.
“Ognuno per sé e il mercato per tutti” è stata la logica che ha intessuto il Sogno Americano. La finanziarizzazione del sistema poi ne ha portato alla luce la natura di luogo eminente di una selezione darwiniana basata sui principi di forza e spregiudicatezza. Così è diventato a tutti palese che Il mercato risulta, in realtà, fatto per concentrare il potere in pochissime mani. In precedenza, anche se l’interesse di ogni individuo confliggeva con quello degli altri, il fatto di credere che la somma degli interessi individuali potesse essere regolata dalla sua mano invisibile portava a credere di avere tutti le stesse opportunità e questo faceva sì che il sistema, apparentemente, reggesse.
Quello che abbiamo ottenuto è, in realtà, un ritorno all’uomo ferino, uno stato che tutti temono ma di cui additano la colpa a un presunto conflitto identitario o confessionale, anche questi però ben orchestrati da chi, da tempo, ne ha teorizzato l’avvento. In una società sì fatta l’apertura dei confini non serve a creare inclusione ma serve a trasmettere ad altri l’isolamento e la chiusura in sé stessi come un’infezione da diffondere. Lo svuotamento in cui siamo indotti è funzionale a una democrazia di facciata che ci porta a sostenere i piani di una ristretta oligarchia. L’idea dell’interesse personale ci ha reso schiavi delle logiche del mercato, ci ha fatto accettare senza resistenze la diffusione di un capitalismo finanziario senza regole e una prassi politica che si muove fuori dalla logica giuridica sia a livello locale che internazionale. Da qui la tendenza generale ad accettare una politica che sappiamo non essere in grado di rappresentarci e ad accettare supinamente di essere governati da entità sovranazionali che poco sanno di noi e di ciò che ci serve veramente.
La nostra società atomizzata ha svuotato di senso ogni rivendicazione sociale e istanza di cambiamento, tanto da non riuscire più a dare una risposta al perché dell’impegno sociale, alla domanda sul perché lottare e per che cosa. Ecco, quindi, la necessità di “ricompattarsi” e far sì che questi atomi partecipino di nuovo alla formazione di un “nucleo” che è la ragione per cui esistono. Per questo bisognerà ricominciare dalla famiglia, il primo nucleo preso di mira perché sta a fondamento della società, per passare poi al quartiere, alla comunità cittadina, nazionale, fino ad arrivare poi a pensare a una comunità internazionale che rispetti l’identità e la sovranità di ogni paese.
Quindi bisognerà fermare la globalizzazione capitalistica che sfrutta le risorse delle nazioni sottraendole ai popoli che vi abitano, portando a questo scopo guerre economiche e diffusione del terrorismo per destabilizzare intere aree, causa dei massicci flussi di immigrati-rifugiati. Bisognerà permettere a queste persone di tornare nelle proprie terre aiutandole nella ricostruzione e favorendo la loro autodeterminazione. Ogni nazione europea deve ritrovare la sua sovranità abbandonando la UE e la NATO e deve sostenere la creazione di un ordine internazionale multipolare che, come dice Putin, dovrà avere come valori di fondo il rispetto della sovranità, della cultura, dell’identità e delle linee di sviluppo che ogni paese si dà.
Si dovranno ricostruire le comunità perché la ricchezza e il progresso nascono dalla collaborazione, dallo stare insieme, perché lì vi è la condivisione di idee, competenze, creatività, impegno. Quando si collabora si cresce, ed è così che si è prodotta l’evoluzione nel genere umano. Nella nostra società atomizzata, invece, ci si mette insieme in uno spirito di competizione, fatto per aggredire e non per costruire. Tutto quello che la “nostra” civiltà postmoderna ci propone è contrario e ostacola questa connessione che è alla base di ogni vero progresso, quindi sarà necessaria una radicale rivoluzione dell’idea di Umanità e dell’organizzazione che questa si dà.
L’umano essere primordiale, oltre ad essere il riferimento arcano di un tempo perduto posto all’alba della civiltà originaria di quel divino giardino terrestre che era il nostro pianeta, è un umano che conosce sé stesso e si distingue virtuosamente nell’integrità del suo istinto collimato all’orizzone arcaico dell’eterno ritorno, tale che vive ancora all’oggi in mezzo al deserto tecnologico della postmodernità nonostante tutto.
Egli è un umano che riconosce il valore trascendente, immanente e continente della natura, poiché essa contiene tutta la realtà del Creato Cosmico quale atto di Creazione Cosciente del Creatore Unico il quale, attraverso le sue Creature Terrestri, ma anche extraterrestri di infiniti mondi e ultraterrestri di infinite dimensioni, riesce a gestire l’Armonia Cosmica della Vita attraverso l’Amore e l’Onore di tutto il cosmo, la matrice divina e la semenza divina di tutte le forze visibili e invisibili che mantengono in piedi la struttura e la funzione di ogni agente vibrante, di qualsiasi regno biologico esso appartiene, poiché il rispetto per la vita parte dall’assunto che la vita è un valore sacro in sé stessa.
Il tempo ciclico e ritornante di vorticose convergenze crescenti generano degli eventi che nello spazio siderale, virtuale e reale investono l’uomo e la donna primordiale che riconosce il valore del limite verso la propria opera accordata all’Armonia Sociale, all’Armonia Terrestre e all’Armonia Cosmica nel rispetto di tutte le leggi divine, accostando questo Uomo Primordiale e questa Donna Primordiale ad una divinità terrena che ha cura di sè, degli altri e del mondo intero, con ogni mezzo disponibile, riproducibile e realizzabile.
Questa coppia di esseri spirituali vivono qui, ora e in nessun luogo la eterna pace dei sensi ogni giorno come se fosse l’ultimo, un clima siderale in cui è primavera tutto l’anno poiché il Cielo disporrà l’ordine cosmico del pianeta rimettendo a suo posto l’asse terrestre di quei famosi 30° rispetto alla perpendicolare dell’orbita del pianeta intorno alla stella Solaris, quel nostro Sole che ci illumina ogni giorno, e che insieme alla stella Polaris segna nel Cielo Cosmico un segmento ideale su cui passa una retta cosmica che tiene allineata la nostra galassia: la Via Lattea.
Questi uomini e queste donne primordiali vivono pertanto come agli esordi della vita dell’umanità sul pianeta Urantia, che noi chiamiamo volgarmente Terra, e che nonostante tutte le difficoltà che riscontrano nella società materialista del globalismo liberale, oramai posto sul punto di una via di autodistruzione mondiale, hanno ben chiara la visione di un Sacro Ordine Imperiale quale soluzione sostitutiva e antagonista alla visione del Nuovo Ordine Mondiale imposto dalle potenze oscure dei Poteri Globalisti attraverso i massmedia, e che cercano nella resistenza attiva e passiva al sistema globale, nella resilienza concreta e ideale di fare comunità, nonchè nella residenza locale e nazionale di essere uniti in spirito, il baluardo di azione concreta alla vita quotidiana mediante forme di aggregazione sociologica della politica, di aggregazione psicologica della coscienza e di aggregazione spirituale della religione, accettando ogni tipo di conseguenza che il sistema globalista pone di fronte all’uomo e alla donna primordiale.
Poichè la transizione in atto permetterà all’uomo primordiale di emergere come passo successivo di evoluzione sociale, in cui nessuno può rimanere indietro previa la morte instillata dal sistema mondiale attraverso stratagemmi di guerra come il recente caso inerente alla diffusione del COVID19 e dei suoi enigmi politici internazionali.
L’Umano Primordiale pertanto è un essere che vive la sua vita biologica e riconosce nel personale sforzo cosciente, consapevole e coerente di vivere in coppia tra un uomo e una donna nel rispetto reciproco e nel riguardo accurato dell’altro, e di formare insieme un elemento cardine dell’uomo presente e futuro: la radice comunitaria della famiglia, senza dimenticare la prossimità sociale della comunità locale e senza dimenticare il ruolo della aggregazione sociale politica ed economica di purezza e di mutuo aiuto, nonchè di lotta al sistema della corruzione, del crimine e della cooptazione che cerca sempre nuove strade di coercizione sociale e di imposizione metapolitica sui popoli.
Quindi l’Umano Primordiale, non è più soltanto il ricordo di una vita pregressa che tradizioni etniche, culturali e religiose ci ricordano a loro modo, ma è l’atto costante della nostra rivoluzionaria evoluzione di sviluppo sociale verso un mondo diverso e soprattutto umano, che mette Dio Altissimo al centro del proprio cuore nell’Amore e nell’Onore per compassione verso la vita sul nostro amato pianeta, dove la Legge Divina di Dio e del Cielo è insita nella coscienza collettiva e, consapevolmente con coerenza, la applica soggettivamente alla propria vita quotidiana in questo sforzo collettivo di un divenire segnato dal destino di essere angeli terrestri sul nostro pianeta vivente.
L’Uomo e la Donna Primordiale: i futuri angeli terrestri.
Roma, romanità, civiltà romana, grandezza romana sono oggi, in Italia, parole d’ordine. Sotto segno romano sta la rinascita dell’Italia operata dal Fascismo. Celebrazioni grandiose ricordano i fasti romani, mentre i simboli che per Roma antica furono più significativi – l’Aquila e l’Ascia – sono divenuti insegne dello stesso regime. Vasti lavori intendono portare alla luce le mute vestigia della città cesarea e delle sue stesse colonie, quali si spinsero fino ai limiti estremi del mondo antico.
Roma, dunque, ritorna. Ma quale è la Roma che ritorna? E come, che cosa, (di) essa ritorna? Che cosa ci significa, realmente, oggi, la romanità?
Questo problema deve essere affrontato a pieno: ancor oggi esso attende di esser vissuto. E nel punto attuale dello sviluppo della concezione fascista, che ha fatto sua l’idea della razza epperò anche quanto, di tale idea, è logica conseguenza e corollario, questa esigenza si presenta in modo particolarmente preciso. Bisogna che ogni sospetto che, nel riguardo, ci si accontenti di semplici nomi, sia positivamente allontanato. Un filosofo, quale Giovanni Gentile, non ha forse fino ad ieri potuto deridere come cosa fastosa da teatro il concetto di romanità, per affermare che la vera, concreta «tradizione italiana» è quella di un paio di eretici e di filosofi «immanentisti» e che il Fascismo altro non deve esser che lo sviluppo dell’Italia del ‘70, cioè di quella certa Italia laica e democratizzante più o meno in combutta con la massoneria?
Ma anche nei riguardi di chi ci guardi d’oltre le Alpi il problema è necessario. Il problema della razza è inseparabile dal problema delle origini, delle tradizioni primordiali, e poiché, al riguardo, il nostro punto di riferimento può esser solo la romanità, bisogna che questa giunga ad aver per noi la potenza di una visione del mondo e di una idea trascendente nel senso più stretto del termine, che la libera dal riferimento ad un dato, particolare punto della corrente della storia per conferirle una perenne validità. Bisogna dare ad ogni osservatore il senso che noi possediamo un tale patrimonio vivente e spirituale entro il simbolo romano.
Sennonché, per venire a tanto, bisogna partire da presupposti generali metodologici, che da noi sono ancor ben lungi dall’aver avuto un adeguato riconoscimento. Come premessa, si deve cioè partire dall’idea, che in tutto ciò che prende forma lungo la storia, e soprattutto in quei momenti e in quelle civiltà, che nella loro grandezza e potenza fan pensare quasi a qualcosa di fatidico, esiste un doppio aspetto: un aspetto anima e un aspetto corpo.
L’aspetto corpo è quello che si riferisce all’insieme dei fattori politici, sociali, economici, militari e perfino, in senso ristretto, etici. L’aspetto anima è invece quello interiore, è la tradizione intima di una stirpe, è la sua particolare visione del mondo, il suo particolare modo di concepire il sovrasensibile e di entrare in contatto con esso; aspetto «anima» è anche il «mistero» di un dato sangue e, infine, tutto ciò che di più sottile e di non semplicemente umano può esser apparso fra la trama della realtà storica, e in ordine al quale il mito e il simbolo sono vie così certe e positive di conoscenza, quanto i documenti e le cronache lo sono nei riguardi del lato «corpo» delle civiltà. E’ da aggiungersi, che se nelle civiltà di tipo moderno questi due aspetti appaiono in una certa misura dissociati, tale non è il caso delle civiltà antiche e tradizionali, a partire da quella romana.
In tali civiltà l’aspetto anima costituiva effettivamente il centro, ciò che conferiva a tutto il resto il suo più alto significato. La vita antica, in tutti i suoi aspetti tangibili – giuridici, etici, politici – resta effettivamente incomprensibile senza il riferimento al suo lato interiore, spirituale.
Questa è dunque la premessa. Non ammettendola, il nostro stesso problema – cioè: che cosa comprendiamo quando si rievoca Roma? – non si pone. Esso dunque non si pone per tutti coloro che ancor oggi vengono considerati come «competenti» e «specialisti» e, fregiati da vari titoli accademici, seggono con sussiego là dove si fabbrica l’educazione della gioventù e la cultura spicciola da servire per la classe media benpensante, per perpetuare metodi e concezioni, che sono esattamente gli stessi della cultura «positivistica» e razionalistica dell’epoca prefascista o di quella che tuttora impera nei paesi non-fascisti o antifascisti.
Le persone qui accennate hanno confezionato una storia tutta loro, fornitissima di alibi di ogni genere, la quale mira essenzialmente a questo: ad escludere, trascurare o svalutare in modo così sistematico, che si potrebbe supporlo addirittura intenzionale e rispondente ad una parola d’ordine, tutto ciò che in una civiltà trascende il suo aspetto grossolanamente tangibile. Siffatta storia si vanta di esser «positiva», ed è effettivamente la controparte esatta delle scienze naturali moderne, di cui partecipa le limitazioni e i pregiudizi, però con questo aggravante: che si può non chiedere a tutti di ammettere forze invisibili dietro a tutto ciò che è fenomenologia fisica, ma a nessuna persona, che non si senta un animale da soma o un automa economico, dovrebbe far dubbio, che la storia non è fatta solo dalla materia, che la storia è fatta dall’uomo integrale, cioè da un uomo, che è essenzialmente spirito e fede, e rispetto al quale tutti i principi esplicativi vigenti per la «positiva» esteriorità non saprebbero mai esser sufficienti.
Certo, vi è qualcosa che, se non giustificare, può almeno spiegare i metodi storici qui accusati: è il fatto, che il simile cerca di riconoscersi nel simile. La mentalità moderna, narcotizzata da secoli di cultura profano e laica, va a ricostruire il mondo antico più o meno ad imagine e somiglianza di quello d’oggi, o almeno di ieri, cioè ad imagine di un mondo, in cui effettivamente le forze della materia, dell’economia, della «storia» nel senso più ristretto ed umanistico, sembravano esser davvero quelle decisive, e tali, da far considerare il resto come semplice «superstruttura».
Ciò porta ad un secondo punto, che mette in relazione il problema già posto col seguente: A chi si deve domandare, che cosa ci significa la romanità? Questo «chi» per noi non è dubbio: è colui che veramente, in senso superiore, e non soltanto come membro fedele e militante del partito, può chiamarsi fascista. Ora, che il punto di vista fascista, a tale, riguardo, non sia e non voglia essere quello materialistico e positivistico, risulta da dichiarazioni ufficiali di inequivocabile significato dello stesso Duce e Artefice del Fascismo. «Il modo generale del Fascismo di concepire la vita è spiritualistico – ha detto Mussolini. – Tutte le concezioni dello spirito, a cominciare da quelle religiose, vengono al primo piano».
«Il mondo del fascismo non è questo mondo materiale che appare alla superficie – ha precisato il Duce. – Il fascismo è una concezione spiritualistica sorta anch’essa dalla generale reazione del secolo nostro contro il fiacco e materialistico positivismo dell’Ottocento. Noi agitiamo valori morali e tradizionali».
Ma se questa è la premessa, come si potrebbe evitare la conseguenza? Cioè: sia pur essa «ufficiale», sia pur protetta, autorizzata e insediata in scuole e in università e, d’altra parte, creda pur essa in buona fede di esser sezione attiva e utile nei quadri dello Stato fascista, ciò nondimeno quella scienza, che ancor oggi continua placidamente a far la «storia positiva», ossia una storia considerante come tutto quel che del tutto è solo parte dipendente, esteriore e documentaria, gettante sul resto a piene mani disprezzo o discredito, o almeno professante, per esso, una agnostica rinuncia, tale scienza è da dichiararsi senz’altro antifascista. E noi diciamo con intenzione antifascista, perché noi potremmo ben considerare, per essa, una certa ragion d’essere al titolo di una ricerca estremamente specializzata e limitata, quando, a completarla e a compensarne e renderne inoffensive le limitazioni, vi fossero anche, ben visibili e adeguatamente riconosciuti e legittimati, i rappresentanti e i cultori di un’altra scienza.
Ma non è questo, purtroppo, da noi, il caso. E chi sia iniziato alle camarille universitarie e simili sa bene che esiste una vera e propria combutta, con metodi adeguati per discreditare, far apparire frivolo e non serio, «non scientifico» o, infine, per uccidere col silenzio o con l’ostracismo tutto ciò che non si lasci ricondurre ad un certo metodo ed a certi pregiudizi del tipo già indicato. In tali termini, e a parte ogni intenzione diretta, politica, si tratta dunque non di semplice a-fascismo, ma di vero antifascismo: e pur non volendo abusare, come molti, di formule d’occasione, ci viene effettivamente di pensare, nel riguardo, a quel lavoro impercettibile di avvilimento e corrosione di ogni valore superiore, di cui soprattutto lo spirito ebraico si è dimostrato maestro.
Dal Forges-Davanzati è stato detto, una volta: «Il Fascismo è un modo d’essere». Estendiamo: «fascista» è un modo generale di vedere, di comprendere, di valutare. Questo modo quando si applica al piano politico dà per risultato la concezione fascista dello Stato, la nuova comprensione e giustificazione spirituale di esso e l’ideale trascendente della nazione. Quando questo modo lo si applica ad una realtà storica – lo si applica per esempio a Roma – il risultato dovrebbe logicamente essere una visione della stessa altezza e qualità, una visione antipositivistica e antimaterialistica fondata da un intuito e da una sensibilità spirituale. Ebbene, è questo che oggi noi possiamo constatare in Italia?
Non si può rispondere che negativamente. La rivoluzione non è ancora penetrata nei settori più importanti della cultura. Permane, di massima, il pregiudizio, che esista la Scienza, e non si sospetta che questa presunta scienza al singolare – per sua natura agnostica e limitatrice – di un ideale totalitario e tradizionale di scienza non è che la caricatura. Per quel che riguarda poi la romanità vogliamo esprimere in modo ben preciso il nostro pensiero. Che dei giornalisti politici di mestiere mettan mano alla romanità ogni volta che gli usi quotidiani e la chiusa brillante di un articolo lo esigano, questo possiamo ben concepirlo: il mestiere è il mestiere, ha le sue esigenze e le sue naturali limitazioni, per quanto eccedere, in questo campo, non sia privo di pericoli. Abbiamo citato il caso del Gentile, e persone pronte a prender pretesto da certe assunzioni retoriche e povere di contenuto per muovere un processo anche contro la validità dell’idea, malgrado tutto, ve ne sono ancora, e non poche, fra noi.
Nemmeno vogliamo riferirci propriamente al piano, in cui un ente, come l’«Istituto Superiore di Studi Romani» sviluppa essenzialmente la sua attività: è un piano essenzialmente accademico, che noi, con tutto il rispetto paragoneremmo volentieri al luogo che, nella teologia, ha il limbo, la zona di ciò che non è né paradiso né inferno e che in tedesco si potrebbe ben dire degli Ahnungslose. Tutte quelle belle ed erudite dissertazioni in fatto di archeologia, di storia antica e medievale da museo, di bibliografia e di cronologia, e simili, di cui quell’Istituto soprattutto si diletta, così come i lavori delle sue varie commissioni e sezioni, sono infatti da considerarsi più o meno a questa stregua, dal punto di vista in cui noi ci poniamo. E nemmeno proporremmo un potenziamento ad hoc dell’attività di questo Istituto; date le sue origini, i suoi elementi direttivi, il suo spirito, ciò vorrebbe quasi dire, quanto ricrearlo ex novo. Per cui, ci sembra inopportuno che tale Istituto, recentemente, per aggiornarsi, abbia creata una sezione nuova di conferenze, sotto il titolo a «La civiltà di Roma e i problemi della razza».
Affrontare sul serio un simile ordine di problemi significherebbe infatti poter mutare di mentalità, dall’oggi al domani, venire a studi, per i quali in quest’ambito manca senz’altro l’adeguata preparazione, soprattutto quella psicologica. Meglio dunque che tale Istituto resti quel che fino ad oggi è stato. Sennonché bisogna anche non trascurare il fatto, che per un osservatore, il quale volesse sapere che cosa esista, oggi, ufficialmente, in Italia, in tema di studi romani, non si potrebbe indicare che questo Istituto: e il senso che ne avrebbe, non sarebbe certo quello di un seminario, in cui, sistematicamente e organicamente, non in senso di erudizione e di cultura accademica, bensì di vivente evocazione, si cerchi di penetrare quanto al simbolo romano si connette su quello stesso piano in cui, per esempio, nelle due principali nazioni a noi alleate, la Germania e il Giappone, si coltiva il simbolo nordico-ario o quello solare imperiale.
Il problema da noi sollevato trascende dunque sia la pratica spicciola dello stile giornalistico, sia quello di riesumazioni eruditiche. E’ del piano spirituale che si tratta, e di ciò che di esso è suscettibile di una superiore assunzione politico-spirituale e razzistico-spirituale.
Il problema, in tale piano, è: E’ possibile, oggi, rievocare Roma e la romana grandezza – e prescindere da tutto quell’insieme di credenze, di tradizioni, di simboli, che dal Romano antico furono intensamente vissuti e che perfino in momenti di estremo pericolo politico furono parti integranti della sua vita e della sua storia? In altri termini: è possibile separare Roma dalla visione romana della spiritualità, anzi del «sacro»? E’ possibile valutare ed esaltare la prima, la Roma-corpo, ma simultaneamente ignorare e mettere in discredito la seconda, la Roma-spirito, specie presso al fatto incontestabile, già rilevato, del carattere unitario e organico di tutte le antiche civiltà tradizionali?
A tali domande non si può venir meno: e sono domande, che conducono a quest’ultima: come, [in] che cosa è compresa oggi la visione romana della spiritualità, del sacro? Quale è stata la sua essenza, quali sono state le sue lotte per conservarsi contro l’influsso di idee e di culti propri a razze estranee, quali sono state le sue trasformazioni, quale fu la sua fine? Volgiamoci intorno: desolazione e devastazione. Nei riguardi di questi problemi, due fronti opposti convergono paradossalmente in una unica parola d’ordine, il fronte di quelli che fanno la «scienza seria» e un certo fronte d’ispirazione cattolica. Tale parola d’ordine, più o meno, la seguente: come religione il Romano antico non stava troppo più in alto della superstizione delle tribù selvagge. Puro naturalismo, ingenua personificazione di fenomeni e di forze naturali, usanze e riti che tradiscono la più bassa magia, cerimonie prive di vera intimità religiosa, poi estetismo ellenizzante, infine idolatrie asiatiche raggruppate intorno all’aberrante culto dell’imperatore divino.
Questo è, ad un dipresso, il verdetto che, con parole più o meno esplicite, si ritrova anche nei libri di testo che dovrebbero istruire i nostri figli sulla nostra grandezza passata. Che una simile razza di «selvaggi» in fatto di religiosità, poi, sia quella che poté creare una grandezza, la quale ha resistito ai secoli e si è innalzata al disopra di essi come un simbolo perenne a cui la religione successiva, secondo la parola dello stesso Mussolini, dovette la sua universalità, questo è un curioso enigma, a cui non si presta attenzione. Cioè: gli spiriti positivi, anche se non sono stati proprio alla scuola dell’ebreo Karl Marx, sanno bene che le credenze sono solo «superstrutture», nebbia, irrilevanza, mentre la realtà vera riceve la sua legge solo dai fattori materiali, economici, geografici, politici ecc. Quanto poi agli altri, essi di fronte a Roma antica non sanno venir meno a quella loro infelice tattica, per via della quale – secondo la parola del Gioberti – essi finiscono col dare alla loro fede, spesso, «gli andari di una setta». Intendiamo parlar della tattica di denigrare sistematicamente ogni diversa tradizione o concezione della spiritualità per esaltare la propria e assicurarsi il monopolio dello spirito.
Senza mezzi termini, e in parole chiare, la situazione da constatare è proprio questa.
Noi domandiamo: è possibile accettarla come ultima parola? È possibile considerarla come salutare e come conforme alle più alte evocazioni romane del Fascismo?
È possibile che questo problema non sia sollevato? Il mondo antico, alla stessa vigilia del suo crollo, pensò che fuori di Roma non vi è salvezza, che fuori di Roma può esservi solo caos o rovina. Se, nei riguardi di tempi nuovi, ciò può non valere per altri popoli, tornati alle loro proprie origini, ciò resta però dogmaticamente certo per la razza italiana. Solo Roma può dare alla razza italiana la visione del mondo e della vita che le è conforme, può costituire quel punto di riferimento, in funzione del quale può avvenire, nella profondità dell’essenza italiana, un risveglio, una discriminazione, una riaffermazione.
Che cosa fu Roma – non politicamente, giuridicamente o eticamente ma sacralmente? Che senso ebbe veramente la visione romana del sovrasensibile, cardine della vita romana fino a che Roma ebbe forza di virile grandezza? In che misura si ha in essa una chiara testimonianza dello stesso spirito che informò il ciclo delle grandi civiltà ariane e nordico-ariano? E quale fu, in relazione a ciò, la storia «sotterranea» della Città Eterna, il mistero delle sue origini e della sua vera «razza»: razza che, staccandosi da un insieme di popoli apparentemente ad essa più o meno simili, seppe creare un mondo nuovo, enigmaticamente affine a quel che fu proprio alle origini di civiltà anche remote e lontane? E, infine, su questo stesso piano, che cosa fu l’anti-Roma, ossia ciò, che dall’avvento della città dell’Aquila e dell’Ascia fu soggiogato e che nella sua segreta azione corrosiva e nella sua insurrezione finale chiuse il ciclo della nostra antica civiltà in un crollo?
Tutto un nuovo ordine di studi, da intraprendersi con una mentalità parimenti nuova, con mentalità rivoluzionaria, in Italia dovrebbe prender per oggetto d’esame proprio tali problemi, superando le limitazioni, di cui si è detto. Proporre la creazione di nuove cattedre o pensare a delle riforme, non è l’elemento decisivo, giacché questa, per la sua stessa natura, non è una via che si possa percorrere partendo dall’esterno. Le riforme lasciano il tempo che trovano quando prima non si sia creata una generazione che, per vocazione, e non per mandato o compito assegnato, sappia seguirne i principì. Proprio il recente rivolgimento razzista ci segnala il pericolo, che si creino sì cattedre nuove e nuove discipline, ma che, per il fatto che non si sappia trovare chi presenti la necessaria mentalità e preparazione, si finisca col raggiungere un risultato opposto, vale a dire, col pregiudicare la portata e la importanza di tali discipline.
Tratto da “La Vita Italiana”, CCCXVII, luglio 1939, pp.33-40