a cura di Salvatore Pagano
Questa è la storia del toponimo di Europa che definisce perfettamente la descrizione geografica appropriata di “Europastan” compresa nel triangolo tra Lisbona-Oslo-Istanbul nettamente separata dall’Asia minore del vicino oriente del “Muslimistan” compreso nel triangolo tra Ankara-Kabul-Sana e a nord dall’area zarista dell’ex-URSS o “Russistan” che confina a est con il cardine continentale di civiltà del “Kongfuzistan”, il quale pone a sud la civiltà di “Indostan”, un intero continente eurasiatico ben distinto da cinque civiltà poste alle cinque direzioni spaziali del Feng Shui, che in qualità di disciplina geomantica applicata alla geografia politica, permette di separare definitivamente le civiltà a scanso di equivoci ed errori, come quello comune nel gergo contemporaneo di considerare l’Europa come se fosse un continente a sé stante, mentre invece è soltanto una penisola eurasiatica. Il taglio di questa descrizione storica qui riportata di seguito ci permette di comprendere la reale portata definitiva del toponimo di Europastan.
Europa, figlia di Agerone re di Tiro, venne notata da Zeus, che si innamorò osservandola su una spiaggia insieme a delle ancelle con le quali raccoglieva dei fiori. Si trasformò in un toro bianco e rapì la principessa, attraversando il mare fino all’isola di Creta.
Zeus rivelò la sua vera identità e la possedette.
Per scusarsi dell’irruenza mostrata nei confronti della principessa, Zeus decise di farle tre grandi doni: Talo, il gigante di pietra; il cane Laelaps a cui nessuna preda poteva sfuggirgli; e un giavellotto che non sbagliava mai il bersaglio.
Successivamente ricreò la forma del toro bianco nelle stelle che compongono la Costellazione del Toro.
Europa, sposò poi il re di Creta Asterio e divenne la prima regina dell’isola greca.
Nel frattempo da Zeus aveva avuto tre figli: Minosse, Sarpedonte e Radamanto.
Minosse divenne poi re di Creta e diede vita alla civiltà cretese, culla della civiltà occidentale, e da quel momento in poi, con il nome di Europa si iniziò a indicare le terre poste a nord del Mar Mediterraneo.
Il geografo greco Ecateo di Mileto, nel V secolo a.C., sostenne che la Terra comprendeva due continenti divisi dal Mediterraneo, centro del mondo: da una parte l’Asia, nella quale erano compresi anche l’Egitto e la Libia e dall’altra l’Europa, confinata a nord dalle sconosciute regioni iperboree.
Filippo II il macedone fu il primo a definirsi “re d’Europa” mentre suo figlio, Alessandro Magno, riuscì a creare un Impero talmente vasto, da far divenire l’Europa una semplice appendice delle sue conquiste.
Una visione ancora più accentuata dal dominio di Roma, in cui il suo Impero si estendeva su ben tre continenti: Asia, Africa ed Europa, e col passare dei secoli, per i romani quest’ultimo continente perse sempre più di importanza, preferendo di gran lunga l’Oriente.
Fu grazie all’abate irlandese San Colombano, futuro fondatore dell’abbazia di Bobbio che citò Papa Gregorio Magno come capo di “tutius Europae” che il termine sorse (o risorse), e questo termine, stava ad indicare un continente non solo geografico, ma soprattutto religioso.
Nei secoli successivi alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, stava iniziando a delinearsi una nuova identità.
Un nuovo popolo stava per assurgere al ruolo di reggente d’Europa, continente che per oltre un millennio Roma aveva governato e civilizzato: i Franchi.
Ad Oriente, l’Impero Romano ancora sopravviveva, riuscendo a murare l’apocalittica avanzata araba verso Costantinopoli; mentre i Franchi, cristianizzati nella fede e latinizzati nella lingua e nella scrittura, si candidavano ad essere i sostituti dell’antica pars Occidentalis di Roma, e l’occasione di certo non mancò.
Dal VII secolo in poi, gli Arabi si erano spinti oltre la loro penisola e avevano conquistato un territorio vastissimo, annientando la Persia e spingendosi fino all’Indo-Cina, mentre ad Occidente conquistarono l’Africa ed approdarono in Europa impossessandosi della Spagna.
Ma ancora non era abbastanza.
Il loro impeto li spinse oltre i Pirenei, diramandosi anche in Gallia, dove il wālī (governatore della Spagna) si era spinto, attraverso l’Aquitania, verso la basilica di San Martino di Tours, per depredarla ed ispezionare il territorio per una futura e imminente conquista.
Oddone, duca della marca d’Aquitania, tentò di arrestare il passaggio dell’esercito musulmano ma fu sconfitto nella battaglia della Garonna.
Anche se ciò avrebbe minato la sua autorità, a suo malgrado Oddone chiese l’intervento del potente Major Domus di Austrasia (maestro di palazzo, equivalente a capo dell’esecutivo e dell’esercito) del re Merovingio, ovvero Carlo Martello.
Oddone accettò che Carlo assumesse il comando supremo dell’esercito, con un giuramento ufficializzato dalle reliquie dei santi conservati nella cattedrale di Reims.
Poi il Major Domus schierò la fanteria pesante franca alla confluenza di due fiumi, Clain e il Vienne, protetta così da entrambi i fianchi:
-La prima linea era composta soprattutto da uomini armati della tradizionale ascia (la francisca);
-La seconda linea aveva picche e giavellotti, per tenere a debita distanza la cavalleria avversaria;
La cavalleria di Oddone era invece mimetizzata per intervenire al momento concordato e attaccare il fianco destro della formazione avversaria.
Al contrario della formazione dei Franchi, compatta e quadrata, l’esercito musulmano aveva un assetto più dinamico, a forma di mezzaluna per chiudere l’esercito avversario in una manovra a tenaglia.
Gli eserciti si fronteggiarono per una settimana intera poi verso l’alba cominciò la vera e propria mischia.
Al tramonto l’esercito islamico, vedendo i franchi indietreggiare, si lanciarono all’attacco e caddero nella trappola di Carlo Martello che, con una leggera ritirata strategica, fece in modo che gli arcieri arabi si separassero dal resto dell’esercito che si scontrò e si infranse con quello che venne definito “muro di ghiaccio” dei Franchi, poi il Martello diede un segnale che fece sbucare dal bosco la cavalleria di Oddone che caricò il fianco destro dei musulmani e gli arcieri, travolgendoli e mettendolo in fuga.
I fanti musulmani, privi di corazzatura, non potevano reggere il corpo a corpo con i robusti guerrieri del nord, pesantemente armati.
Lo scontro divenne una vera e propria carneficina, che proseguì oltre il crepuscolo, quando anche il governatore ʿAbd al-Raḥmān venne ucciso da un colpo d’ascia, infertogli dallo stesso Carlo Martello.
L’esercito arabo si dileguò in modo estremamente rapido, lasciando sul terreno feriti, tende e il bottino conquistato durante tutte le razzie in Aquitania.
Gli islamici caddero in gran numero, tanto che i cronisti musulmani definirono il teatro di quella battaglia come “balāt al-shuhadā'” «il lastricato dei màrtiri».
Il monaco Isidoro Pacensis, per indicare i soldati che sotto la guida di Carlo Martello avevano combattuto a Poitiers disse:
“Prospiciunt Europenses Arabum tentoria, nescientes cuncta esse pervacua”
(Gli europei osservano le tende degli arabi, non sapendo che tutte erano vuote).
La battaglia aveva assunto infatti un grande valore simbolico: l’Occidente cristiano era idealmente rappresentato dall’Europa, che aveva fermato l’espansione araba. Isidoro aveva quindi usato l’aggettivo “Europeo” per attribuire un’identità collettiva ai guerrieri che avevano fermato gli invasori musulmani.
Il termine Europa divenne quindi una concreta e nuova realtà politica dove un giovane condottiero franco, nipote di Carlo Martello, adottò il latino come lingua scritta ufficiale, usò una sola moneta e professò una sola religione, unificando gran parte di quella gelida Europa orfana dei suoi Augusti.
Il suo nome era Carlo Magno, che la mattina di natale dell’anno 800 d.C., divenne Imperatore dei Romani.
