Roma, 30 maggio 2020 – Quello che emerge in queste ore dalle intercettazioni sul caso Palamara rappresenta quel grumo nero fatto di interessi non sempre lineari che legano pezzi di giornalismo a pezzi di magistratura e altri poteri dello stato. – scrive in una nota l’associazione Lettera22 – Una vera e propria centrale di potere che ha inquinato l’informazione e la vita, non solo politica, italiana.
Come Lettera22 denunciamo l’imbarazzato silenzio del sindacato dei giornalisti e delle associazioni a questo affiliate. Di solito sempre sul chi va là ma, evidentemente, è difficile essere controllati e controllori. Amici degli amici e vestali della libera stampa…Noi invece cerchiamo sinceramente di essere, da sempre, liberi.
Da sempre profondamente preoccupati quando leggiamo su questo moderno strumento di tortura che rappresentano le intercettazioni questo spaccato imbarazzate del dietro le quinte della vita pubblica italiana. Per questo – conclude la nota – vogliamo gridare alta e forte la nostra indignazione e dire ai tanti colleghi di unirsi a questo grido. Per difendere la libertà di informazione, i diritti, il Diritto.
Mentre appare una bufala la teoria secondo cui l’“arma biologica” COVID-19 sarebbe stata creata nei laboratori cinesi, è del tutto reale la dimostrazione che a breve sarà fatta del nuovo caccia pesante cinese la cui integrazione nell’esercito è prevista nei prossimi 5 anni.
A maggio alcune fonti hanno riportato la notizia secondo cui il mezzo in questione potrebbe vedere la luce già in autunno anche a simboleggiare il fatto che il coronavirus non riesce ad ostacolare la difesa cinese e in risposta all’aumento di F-35 americani registrato nell’ultimo periodo nei Paesi adiacenti alla Cina. Quest’ultimo atteggiamento dei vicini non va per niente giù alla Cina. Inoltre, tra febbraio e marzo di quest’anno nell’area Asia-Pacifico si sono tenuti gli addestramenti Cobra Gold 2020 che hanno visto la partecipazione proprio di quei caccia che tanto indispongono la Cina. Chiaramente, la Cina sta costruendo bombardieri pesanti non per “abbattere” gli F-35 (banalmente, i bombardieri non sono pensati per questo). Questi mezzi sono necessari per completare la triade nucleare e, dato che abbiamo toccato l’argomento F-35, servono anche per dimostrare simbolicamente agli USA chi è il numero uno nella regione (e, probabilmente, anche al di fuori).
Stiamo parlando del bombardiere pesante Xian H-20 che, secondo le previsioni, verrà esposto a novembre al salone aeronautico AirShow China di Zhuhai.
I velivoli cinesi sono fermi agli anni ‘80 La creazione di un bombardiere strategico moderno appare come la logica continuazione verso uno sviluppo autonomo di tutte le tipologie di mezzi militari dell’Esercito popolare cinese di Liberazione. Il potenziale economico e tecnologico della Cina contemporanea, fomentato dalle ambizioni più tradizionali del Paese, rende possibile la realizzazione oggi di qualsivoglia programma di armamenti.
Tuttavia, proprio nell’ambito dell’aviazione di lungo raggio la Cina è rimasta bloccata agli anni ’80. Si ricordi che negli armamenti cinesi è presente la versione, più volte ammodernata, del bombardiere sovietico Tu-16 il quale viene prodotto in Cina dalla fine degli anni ’50 con il nome di Xian H-6. La più recente versione H-6K è entrata in servizio nel 2011 e per le sue caratteristiche si tratta di un velivolo al passo con i tempi, anche se l’impianto strutturale del suo vecchio predecessore è rimasto immutato: dunque, niente tecnologia stealth, niente viaggi di lungo raggio, niente materiali ultraresistenti. E cosa possiamo dire invece del nuovo mezzo strategico cinese? Le informazioni a disposizione sono poche, ma sufficienti per farne una prima analisi. Si sa che l’H-20 è stato messo a punto facendo ampio ricorso alle tecnologie stealth e al formato del tuttala, in maniera molto simile allo statunitense Northtrop B-2 Spirit il quale in sostanza rappresenta un punto di riferimento per questa tipologia di armamenti. L’utilizzo del formato tuttala consente al velivolo di vantare caratteristiche aerodinamiche di grado superiore: ossia, il velivolo, seppur con un carico utile elevato, può effettuare voli di lungo raggio. Il raggio d’azione si attesta a 5000 km e oltre, mentre la massa degli armamenti a bordo sarà inferiore alle 20 tonnellate. Chiaramente, un velivolo simile presenterà una velocità subsonica e fungerà da piattaforma per l’installazione di diversi sistemi missilistici da impiegare su obiettivi dislocati a distanza piuttosto elevata. Il velivolo comunque non penetrerà nell’area protetta da sistemi di difesa contraerea degli obiettivi, sebbene la sua modesta percettibilità ai radar migliorerà in maniera significativa le sue probabilità di sopravvivenza anche in caso di scontro con i più moderni sistemi di difesa contraerea.
Uno dei problemi principali della Cina sono le tecnologie per la creazione di motori turbogetto. È altamente probabile che sul nuovo velivolo vengano impiegati vecchi motori russi commercializzati in Cina previa concessione di licenza. Qui è probabile un’implementazione del modello di sviluppo iterativo ai velivoli. In una prima fase verranno impiegati motori che vengono già prodotti in serie, ma i quali presentano parametri meno interessanti in termini di rapporto tra trazione ed efficienza energetica. In una seconda fase, invece, dopo la creazione in Cina di un motore moderno ed efficiente, il velivolo sarà ammodernato con un aumento del suo raggio d’azione e un miglioramento di altre capacità di volo e di combattimento. Non vi è dubbio che prima o poi la Cina farà un balzo in avanti nella costruzione dei motori: infatti, la storia recente dell’Aeronautica militare cinese ne è la riprova.
Si ricordi che in Cina sono già in servizio decine di caccia J-20 di quinta generazione, nonché il velivolo di trasporto pesante Y-20 e al momento è in fase di test il caccia leggero J-31 di quinta generazione. Negli ultimi 20 anni la Cina a livello di sviluppo degli armamenti e di mezzi militari si è saldamente affermata tra le prime tre nazioni al mondo.
La Cina arriva fino in Europa Quali armamenti trasporterà il nuovo bombardiere cinese e quali missioni porterà a termine? La Cina presenta in servizio missili da crociera di varia tipologia fra cui un analogo del missile sovietico X-55 a lungo raggio (più di 1500 km). È noto che in Cina si stia lavorando anche alla costruzione di missili ipersonici aria-superficie. Si pensa che i cinesi non scopriranno l’acqua calda in questo frangente e, di conseguenza, il velivolo sarà dotato di due pod per la dislocazione degli armamenti con piattaforme di lancio mobili. Questa configurazione consente di trasportare almeno 12 missili da crociera a lungo raggio simili agli statunitensi Tomahawk e ai sovietici X-55. I media riportano altresì che il velivolo potrebbe essere equipaggiato con 4 missili ipersonici aria-superficie di nuova generazione. Anche questo può essere possibile. Con questi sistemi di armamenti anche senza rifornimento in aria sarebbe possibile sferrare un attacco massiccio e di assoluta precisione contro obiettivi dislocati fino a 6.000-7.000 km dagli aeroporti cinesi. E, aspetto più importante, tutti questi missili possono essere testate nucleari.
Se dessimo uno sguardo alla cartina, scopriremmo che un velivolo simile consentirebbe alla Cina di tenere sotto controllo l’intera area occidentale del Pacifico: dall’Alaska alle Hawaii, Australia compresa. A nord-ovest sarebbero a rischio anche l’intera Russia e persino quasi tutta l’Europa. Inoltre, altrettanto minacciati vi sono anche l’India, parte dell’Oceano Indiano, l’intero Medio Oriente e l’area nord-orientale dell’Africa. E tutto questo senza la necessità di un rifornimento in aria. Prima l’Esercito cinese non aveva mai fatto potuto contare su capacità simili e, a mio avviso, un velivolo simile potrebbe mutare radicalmente il modo in cui i cinesi dispongono delle proprie forze armate.
Chi può contrastare un velivolo del genere? Solitamente si pensa che la Cina stia conducendo una corsa agli armamenti contro gli USA. Tuttavia, se ripercorressimo la storia, ricorderemmo che gli interessi politici cinesi possono mutare in maniera anche significativa, dunque non vanno dimenticati nemmeno gli altri poli geopolitici. Uno di questi potrebbe essere, ad esempio, l’India che con la Cina intrattiene da sempre rapporti frontalieri piuttosto tesi. L’India dedica grande attenzione allo sviluppo di forze militari aeronautiche e di sistemi di difesa contraerea propri, ma è ben lungi dall’armare la propria Aeronautica con caccia di quinta generazione. La Cina, invece, vanta già velivoli simili in servizio. Non ci resta che seguire l’operato del Partito comunista cinese per capire cosa succederà nel mondo.
Hanno superato la Russia? A che punto sono i lavori della Cina sul nuovo bombardiere? La creazione dell’H-20 è cominciata già nei primi anni 2000. Si ritiene che già nel 2013 il mockup del velivolo abbia effettuato il suo primo volo. Se corrispondono al vero i progetti per il 2020 diramati dalla stampa, allora la Cina diventerà il secondo Paese al mondo ad aver messo a punto un bombardiere stealth. In maniera dirompente il Paese ha saltato a piè pari un’intera fase nello sviluppo dei velivoli di questa classe, ossia quella dei bombardieri ipersonici multiruolo come, ad esempio, il Tu-160.
Considerate le capacità della Cina in termini di produzione di velivoli possiamo ipotizzare che i primi esemplari di H-20 saranno operativi già verso il 2025, ossia quando il russo PAK DA dovrebbe effettuare il suo primo volo secondo i piani. Si osservi, comunque, che il velivolo strategico russo Tu-160, che viene impiegato sin dalla metà degli anni ’80, non ha nulla da invidiare al nuovo cinese e al costosissimo statunitense B-2 limitatamente ad alcune caratteristiche quali il raggio d’azione e il carico utile. In altre parole, il Tu-160 può fare quasi tanto quanto un velivolo ipersonico. C’è da riconoscere però che pecca in termini di impercettibilità (infatti, non è dotato di tecnologie stealth), è piuttosto costoso a livello di produzione e di utilizzo e necessita di un ammodernamento dei radar e di altra strumentazione. Ad ogni modo, la presenza di un velivolo come il Tu-160 non rende meno necessaria un’accelerazione dei lavori sulla piattaforma di volo più moderna sopraccitata in quanto un velivolo concepito sin da subito con le più nuove tecnologie e materiali innovativi presenterà caratteristiche di combattimento e sistemi di navigazione e puntamento più all’avanguardia.
Il presidente Vladimir Putin ha incaricato i ministeri della Difesa e degli Esteri di avviare negoziati con le autorità siriane per dotare i militari russi di ulteriori strutture immobiliari e navali. La disposizione del capo di Stato è pubblicato sul portale ufficiale delle informazioni legali dello Stato russo.
La bozza del protocollo №1 all’accordo sul dispiegamento del gruppo aereo russo in Siria del 26 agosto 2015 è stato approvato dal governo. Dopo aver raggiunto un’intesa con la parte siriana, i dicasteri dovrebbero firmarlo a nome dello Stato russo. Al documento possono essere aggiunte modifiche che non sconvolgano la natura delle disposizioni concordate.
Il contingente militare russo in Siria è stato creato il 30 settembre 2015 per sostenere le forze governative siriane nella guerra contro i gruppi terroristici. Secondo gli accordi siglati da Mosca e Damasco, i militari sono dislocati sul territorio della base aerea siriana di Khmeimim a tempo indeterminato.
Nel 2017 la Russia e la Siria hanno firmato un altro accordo, in base a cui fino ad un massimo di 11 mezzi navali russi, comprese quelle dotate di propulsore nucleare, possono restare al porto di Tartus. È stato inoltre pianificato di espandere il potenziale per la manutenzione delle navi. L’accordo è stato pensato per 49 anni e si rinnova automaticamente per altri 25.
Dopo polemiche e minacce e l’accusa di essere filo-cinese, alla fine il presidente Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti cessano i rapporti con l’Organizzazione Mondiale della Sanità: “dobbiamo avere risposte”.
Nel corso di questi mesi di pandemia dopo aver accusato da una parte la Cina di non aver fatto nulla per fermare la diffusione del coronavirus e dall’altra l’Oms di non aver fatto pagare il conto a Pechino per la gestione sanitaria, Trump ha annunciato oggi che gli Stati Uniti rompono i rapporti con l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
“Dal momento che non sono riusciti a realizzare le riforme richieste e fortemente necessarie, oggi termineremo le nostre relazioni con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e reindirizzeremo questi fondi ad altri in tutto il mondo soddisfacendo i bisogni sanitarie globali urgenti”, ha dichiarato Trump nei commenti fuori dalla Casa Bianca. Gli Stati Uniti sono il principale elargitore di finanziamenti dell’Oms, fornendo all’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite tra i 212 e 513 milioni di dollari all’anno; lo scorso anno Washington ha trasferito all’Organizzazione Mondiale della Sanità 453 milioni $, secondo i funzionari dell’amministrazione americana.
Trump aveva annunciato lo scorso 14 aprile che la sua amministrazione avrebbe congelato i finanziamenti all’Oms fino a quando non sarebbe stata condotta un’indagine sulla gestione dell’epidemia Covid-19 nella città cinese di Wuhan all’inizio di quest’anno, anche se in seguito è emerso che gli Stati Uniti avevano già trattenuto i trasferimenti all’Oms prima della decisione di Trump.
“Avrebbero potuto chiamarla molto prima, avrebbero saputo, e avrebbero dovuto saperlo, e probabilmente non lo sapevano”, ha detto Trump all’inizio di aprile sull’Oms. “Si sono sbagliati su molte cose… sembrano essere focalizzati sulla Cina… esamineremo questo.” Il presidente ha sostenuto che “la Cina ha insabbiato i fatti sul virus a Wuhan ed ha permesso alla malattia di diffondersi in tutto il mondo, provocando una pandemia globale che è costata più di 100mila vite americane”.
“La Cina ha il controllo totale sull’Organizzazione Mondiale della Sanità nonostante versi solo 40 milioni $ all’anno”, ha affermato Trump. “Il mondo ha bisogno di risposte dalla Cina sul virus. Serve trasparenza.” Il vice direttore generale generale dell’Oms Stewart Simonson ha dichiarato all’inizio di questa settimana che l’uscita degli Stati Uniti dall’agenzia è “inimmaginabile”.
“Non riesco a immaginare una situazione in cui gli Stati Uniti non si troverebbero nell’Oms”, ha detto alla CNN, osservando che l’America ricopre un ruolo da leader nella sicurezza sanitaria dal 1902. Il funzionario dell’Oms ha inoltre respinto l’accusa di favoritismo da parte dell’agenzia nei confronti della Cina.
a cura di Sandro Consolato, da un estratto di Julius Evola
Rouen, 30 maggio 1431: muore sul rogo Giovanna d’Arco.
Premessa: riproduco quasi integralmente questo articolo, poiché, ancorché appartenga alle cose “minori” di Evola, esso illustra in modo veramente paradigmatico, attraverso un ben preciso fatto storico, quali fossero le sue effettive idee – spessissimo mal comprese – storico-politiche, e quali per lui i termini del rapporto tra sacro e politica.
“Giovanna d’Arco fu l’annunciatrice di un messaggio, che ai suoi tempi era rivoluzionario. Si trattava dell’idea, che una nazione e il suo capo – il Re – possono ricevere il loro crisma direttamente dall’alto, da Dio, e non più attraverso i rappresentanti della Chiesa o altri mediatori del sacro. In effetti Giovanna annunciava ad un monarca, al Re di Francia, una specie di mandato divino o di ‘elezione’, profetizzando l’avvento di ciò che ella chiamava le Saint Royaume de France. Al titolo che, a partire dal rivolgimento guelfo compiutosi nell’XI e nel XII secolo, si era attribuito il capo della Chiesa: ‘Rappresentante di Cristo’, venne a contrapporsi quello che GIovanna dette al Re: ‘Luogotenente di Dio – Lieutenant de Dieu‘. Rispetto a ciò, la guerra contro gli inglesi, la liberazione del territorio nazionale divenivano semplici conseguenze. Come già nell’antichità precristiana, qui si ebbe una interferenza, sia pur fugace, fra la storia e ciò che sta di là dalla storia. Per un momento, sembrò che la storia si facesse trasparente di un significato superiore, che essa si conformasse ad una decisione dall’alto (Dieu le veut!) annunciata dalle ‘voci’ che parlavano a Giovanna: quelle voci, con cui la Pulzella legittimava la sua missione e la sua azione, e per non sconfessare le quali ella affrontò il martirio.L’accennata concezione rivoluzionaria della regalità sacra, ha relazione con quella di una specie di prova. Il Mirgler [è l’autore di una biografia di Giovanna da cui JE trae occasione per il suo articolo – ndr] indica in modo giusto il senso che sempre hanno avuto le vere profezie e i veri oracoli.Non si tratta del semplice annuncio di qualcosa che, in ogni caso, avverrà. Si tratta piuttosto della indicazione enigmatica, spesso cifrata, di una possibilità, alla quale si legherebbe un significato superiore, non soltanto umano. In casi del genere, a chi deve agire nella storia si pone una alternativa: egli può seguire o non seguire la direzione indicatagli in forma profetica dall’annuncio dall’alto. E vi sono momenti storici in cui da questa alternativa dipende l’elezione o la condanna di un popolo. Nel caso positivo,prende forma una vicenda non soltanto umana, tutto riceve una invisibile consacrazione, un carattere – diciamo così – di fatidicità. Nel caso negativo, la profezia non si verifica, i due ordini si dissociano, cioè: la storia resta semplicemente storia, non è illuminata da nessun significato superiore, è determinata da forze lasciate a sé stesse.Ebbene, secondo il Mirleger con l’apparire di Giovanna d’Arco alla Francia era stata offerta una possibilità del genere, la possibilità non solo di risollevarsi dell’estremo pericolo, bensì anche quella di incorporare la dignità di un Saint Royaume. Ciò che senza rendersene ben conto Giovanna annunciava avrebbe dunque potuto avere conseguenze incalcolabili nell’insieme delle idee politiche del tempo e della cristianità. Invece tutto si ridusse ad un brevissimo balenamento, ad una carica magnetica che subito si esaurì. Come si sa, il re, Carlo VII, abbandonò Giovanna d’Arco, ne tenne il messaggio per una fisima, cercò di barcamenarsi sul piano della politica concreta. Dopo di che, come nota giustamente il Mirgeler, la Francia doveva seguire quella direzione verso lo stato assolutistico che si era già preannunciata con Filippo il Bello e che costituisce l’antitesi della idea del Saint Royaume: sebbene i re di Francia per un certo periodo continuarono a chiamarsi ‘cristianissimi’.Da qui, anche le deformazioni proprie all’utilizzazione nazionalistica e sciovinistica della figura di Giovanna d’Arco. In genere,è importante veder bene la differenza esistente fra il caso in cui la ragion politica e l’orgoglio nazionale si fanno l’estrema istanza, fino a forme semi-divinificate (e seguendo cotesta tale linea si giunge fino al ‘totalitarismo’ e alla statolatria dei tempi ultimi), e l’altro caso, in cui un Monarca, ‘luogotenente di Dio’, nella impersonalità e nell’ascesi che implica una tale dignità, sa portare un popolo sulle vie di una grandezza non soltanto temporale, superando ogni particolatismo e ogni oscura volontà di potenza.La Francia prese dunque la prima direzione e non dovette più conoscere che una gloire priva di vera luce, per cui a nessun francese – né a un Luigi XIV, né ad un Napoleone, né ad un Clemenceau – la vittoria ha giovato a qualcosa, e ancor meno essa si è risolta in un contributo positivo ad un saldo ordine europeo. […]Non è dunque azzardata la tesi del Mirgeler: al tempo di Giovanna d’Arco la Francia si trovò dinanzi ad una alternativa che non fu compresa, e che avrebbe potuto essere di gran momento per lo sviluppo successivo dell’Europa. Prescindendo dalla Francia, ci si presenta poi, in generale, l’idea di una specie di sensibilità metafisica che fa percepire un cenno invisibile ad un capo, nel momento giusto, e gli permette di assumere un mandato superiore a tutto ciò che è politica in senso ristretto: in quella impersonalità, in quella grandezza non soltanto temporale, in quel prestigio che ovunque furono inseparabili soprattutto dai simboli della regalità. Può darsi che la misura in cui una idea del genere non sia da considerarsi peregrina e ‘superata’ ma tale da conservare una perenne vitalità, sia anche la misura per ciò che domani potrà ancora crearsi di veramente saldo di là da un mondo in crisi.”
(Julius Evola, La Pulzella d’Orleans e il “luogotenente di Dio”, art. del 13.11.1958, in J.E., I testi del Roma, a c. di V. Campagna, Ar, Padova 2008)
I governi sono “costretti” a intervenire per salvare gli istituti di credito e a sostenerne i costi sarà la popolazione, in termini di bilancio statale, perdita di posti di lavoro, impoverimento generale e azzeramento della fiducia, che preclude a futuri investimenti. A questo punto viene ricercata una giustificazione delle ragioni che hanno portato al crollo, si prospettano soluzioni volte a impedire che possa ripetersi, senza però mai affrontare il nodo principale che genera tali corsi e ricorsi economici. Viene ignorato il movente di natura morale, che è il fulcro dell’etica del capitalismo e la rincorsa al maggiore profitto, che sfida ogni rischio e si avvale di qualsiasi mezzo. Da chi sono mossi, infatti, i banchieri, se non dai loro interessi?
L’amore irrazionale per il denaro
Nella sua opera Breve storia dell’euforia finanziaria, l’economista statunitense John K. Galbraith analizza i maggiori crack finanziari della storia e rileva come i fenomeni speculativi si verifichino a intervalli più o meno regolari, con premesse e risultati pressoché identici. Essi si presentano come il frutto dell’avidità e della stupidità umana, i cui effetti sono bruschi arresti della vita economica e impoverimento generalizzato. L’iter è il seguente: dapprima si individua una novità sulla quale focalizzare l’interesse del pubblico –i tulipani, l’oro della Louisiana, il concetto di società per azioni-, qualcosa che possa alimentare grandi aspettative o possa essere presentato come un’innovazione capace di generare ingenti profitti per periodi infiniti. I capitali cominciano così a riversarsi su tali prodotti, gonfiando i corsi delle azioni o i prezzi delle merci, che smettono di rappresentare il valore oggettivo del bene e incorporano l’aspettativa dei guadagni futuri; per rincorrere l’investimento si fa largo uso della leva finanziaria, generando situazioni di forte indebitamento. Quando il processo smette di autoalimentarsi, i prezzi calano vertiginosamente, i debiti contratti diventano inesigibili e si assiste al fallimento dei finanziatori, ossia delle banche.
Possiamo dare a questa domanda una risposta di tipo macroeconomico e una di tipo psicoanalitico, scomodando i padri delle rispettive materie. Keynes avrebbe addotto tale comportamento a “un amore irrazionale per il denaro”, mentre S. Freud lo avrebbe ricondotto alla cosiddetta pulsione di morte. Secondo il fondatore della psicoanalisi, nel profondo dell’individuo si nasconderebbe “la pulsione umana di aggressione e di auto-distruzione” (thanatos, o pulsione di morte), in perenne lotta contro la pulsione di vita (eros), che invece spinge gli individui ad accoppiarsi, assicurando la sopravvivenza della specie. […] M. Keynes, grande conoscitore ed estimatore di Freud, cambia la visuale e gli strumenti di analisi, adottando quelli propri della scienza economica, ma giunge a conclusioni per molti versi analoghe. La pulsione di morte diventa per l’economista inglese l’amore per il denaro, che rappresenta “il problema morale dei nostri tempi”. Attraverso il micidiale meccanismo della concorrenza sfrenata, sia fra diversi Paesi che fra classi sociali, si metterebbe in moto una guerra interminabile, capace di minacciare la sopravvivenza non solo dell’essere umano, ma della stessa natura. Per dirla con le sue testuali parole:
“Saremmo capaci di spegnere il sole e le stelle perché essi non producono dividendi”.
Egli riprende il mito di re Mida, il re che aveva ottenuto dal dio Dionisio il dono di trasformare in oro tutto ciò che toccava, ma si accorse presto che, pur potendo possedere moltissima ricchezza, sarebbe a breve morto di fame, poiché anche il cibo da lui toccato diventava d’oro, e quindi non commestibile. Secondo Keynes le società opulente, vittime del desiderio di accumulare, con la loro avidità distruggono la produzione, bloccano l’economia e finiscono appunto come re Mida per annegare in un mare d’oro. Il mito offre una profonda analisi della dottrina monetarista dominante e della sua ideologia, dimostrando come la moneta non coincida col valore, che invece deriva dal lavoro e dall’economia reale. La moneta e la tendenza al suo accumulo sono alla base dei principali problemi e squilibri economici, tra cui la disoccupazione involontaria. Nonostante il valore assoluto che le viene comunemente e universalmente attributo, essa è in realtà un mero intermediario di scambio. Per l’essere umano il possesso di denaro svolge il compito di mitigare la propria inquietudine più profonda e il premio che viene chiesto per separarsi da esso non sarebbe altro che la misura del suo grado di inquietudine.
Nel giugno 1996, in occasione dell’International Labour Conference, Jacques Chirac pronunciò un discorso che oggi pochi ricordano: The Economy Must Be Made to Serve People. Espresse tutti i suoi dubbi sulla globalizzazione, preoccupato che non stesse affatto migliorando «la vita di coloro che hanno maggiormente bisogno dei benefici che essa aveva promesso».
Non solo i timori del leader conservatore francese erano fondati, ma è successo di peggio: della globalizzazione si sono giovati proprio coloro che non avevano bisogno di migliorare la propria condizione. Oggi, “grazie” alla pandemia da Covid-19 e alle sue conseguenze, quasi tutti hanno capito che qualcosa è andato terribilmente storto. Era ora.
La globalizzazione non ha ridotto la povertà mondiale, l’ha aumentata e re-distribuita tramite le ondate migratorie controllate delle ONG e caldeggiate dal buonismo radical chic. Essa non ha nemmeno assicurato la stabilità del capitalismo finanziario – nel frattempo fattosi “turbocapitalismo” neoliberista – visto che le crisi dell’Asia e dell’America Latina sono poi arrivate, con i loro effetti negativi, anche in Europa e in Nord America.
Non va meglio se consideriamo la globalizzazione come fattore propulsivo di passaggio all’economia di mercato per quelle “in transizione”: l’Occidente era persuaso che il nuovo sistema economico avrebbe portato una prosperità senza precedenti. Senza precedenti, invece, è stata la povertà in cui tutti siamo sprofondati. Sotto molti aspetti, per gran parte della popolazione, l’economia di mercato si è dimostrata addirittura peggiore di quanto avessero previsto i leader comunisti: il contrasto fra la transizione della Russia, manovrata dalle istituzioni economiche internazionali, e quella della Cina, gestita invece internamente, lo conferma. Nel 1990 il PIL cinese era il 60% di quello russo; alla fine del decennio le cifre si sono invertite. La povertà in Russia è dilagata, in Cina è scesa a livelli senza precedenti.
La globalizzazione che avrebbe dovuto creare un “nuovo mondo” fatto di solidarietà, cooperazione e sviluppo si è invece risolta in una dittatura internazionale dei mercati. Gli egoismi finanziari delle élite finanziarie hanno fagocitato la nobile mission della politica, quella di intervenire per sanare gli squilibri attraverso interventi correttivi che sono stati, ovviamente, demonizzati dai “meccanismi di stabilità”. Deregulation da una parte (quella finanziaria) e vincoli rigidi ai bilanci nazionali hanno reso le banche le “braccia armate” di questo sistema. Quelle occidentali, infatti, hanno tratto vantaggio dall’attenuazione dei controlli sui mercati finanziari in America Latina e in Asia, ma queste regioni hanno subito un contraccolpo quando improvvisamente si è interrotto l’afflusso di capitali vaganti provenienti da operazioni speculative a cui certi Paesi erano abituati. Il brusco deflusso di denaro ha provocato il tracollo di alcune valute e l’indebolimento dei sistemi bancari che ha finito per interessare anche i Paesi non abituati a questi shock.
Tutto ciò – e molto altro – è successo col benestare delle tre principali istituzioni che hanno governato la globalizzazione: il FMI, la Banca mondiale e il WTO. Nessuno dei loro leader – pur essendo esse “istituzioni pubbliche” – è stato mai eletto dai cittadini di nessun Paese. Nessuno alla loro guida, insomma, ha mai dovuto rispondere all’opinione pubblica internazionale o nazionale dei Paesi di provenienza. Ciò, invece di garantire a tali organismi una certa “apertura”, ha spinto nella direzione diametralmente opposta, rendendo la loro azione sempre meno “trasparente”.
Questa troika avrebbe dovuto sovrintendere i processi dell’ultimo trentennio similmente a quanto fecero i governi nazionali guidando quelli di nazionalizzazione. Ma non lo hanno fatto, anzi. Hanno realizzato un sistema di governance globale nel quale poche istituzioni e pochi protagonisti – la finanza, il commercio e i ministeri del Commercio, strettamente legati a interessi finanziari e commerciali ben precisi – hanno dominato incontrastati la scena, mentre molti di coloro che ne subiscono le decisioni non hanno mai avuto voce in capitolo.
L’unico ambito in cui la globalizzazione non ha fallito, dunque, è stato quello di aggirare ogni forma di rappresentatività – linfa vitale ogni democrazia che possa definirsi come tale – soprattutto se letta nella concezione elaborata dal fondatore del diritto pubblico italiano, Vittorio Emanuele Orlando. Secondo il giurista, infatti, ogni elezione avrebbe dovuto essere «una designazione di capacità: un gruppo ristretto di elettori indicava quelli che riteneva capaci di gestire problemi collettivi. Chi votava sceglieva non solo kratos, ma anche aretè ed episteme, non solo forza, ma anche virtù e competenza».
La globalizzazione, de facto, ha reciso ognuna di queste radici. E non è stato certo un caso.
“Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo. L’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo.
Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell’illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco.
Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di avere vinto.
Gli Esseri Divini vegliano sulla gestazione della terra e alcuni nascono qui per aiutare gli umani a comprendere che la trasformazione dipende dal loro risveglio.
L’uomo non è cattivo, è solo infelice. È la sua piccola mente la causa della sua infelicità.
Ho lottato, è già tanto, ho creduto nella mia vittoria. È già qualcosa essere arrivati fin qui: non aver temuto morire, l’aver preferito coraggiosa morte a vita da imbecille.
Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia. Tutte le cose sono nell’universo e l’universo è in tutte le cose. In questo modo tutte le cose si uniscono in una perfetta armonia. Tutti gli esseri viventi, sono fenomeni diversi di un’unica sostanza universale.”
Del dopo-virus. Se ne parla con 1.preoccupazione, 2.incertezza,3.fiducia, 4.curiosità
La crisi economica che seguirà quella sanitaria sarà più dura di quanto il virus e le politiche della sua gestione abbiano imposto.
Non sappiamo a cosa stiamo andando incontro. Sarà tutto diverso o riprenderà tale e quale? Cosa cambierà?
Ce la faremo e presto ripartiamo per recuperare il tempo perduto. È stato solo un tunnel. Finirà.
Vediamo se la lezione fisica e metafisica imposta dallo stop forzato corrisponde a un passo evolutivo.
Quattro posizioni, non certo tutte, ma sufficientemente emblematiche di quattro psicologie, sentimenti e quindi realtà.Si tratta di modelli, tutti autoctoni, tutti con radici occidentali, già presenti nella nostra cultura:
La paura deriva da un dio a noi esterno che per noi sceglie e provvede. Senza però mai anticiparci cosa farà per noi, nonostante le preghiere. È il retaggio del cristianesimo. La morale occidentale ne è pregna. Di base, nessuno può sfuggirle. Chi ritiene di essersi svincolato dalla vischiosa religione, a mio parere l’ha solo sostituita con l’elezione della ragione a supremo e solo riferimento della buona vita e dell’espiazione – nel senso di assoluzione – dai peccati commessi in nome del business.
L’incertezza invece, sebbene con forti parentele con la paura, ha più un valore che esprime l’individualismo quale solo riferimento per il pensiero ormai di tutti. Senza la comunità solo i pazzi e gli eroi possono fare i conti con se stessi.
Dai giovani arriva l’afflato di speranza e fiducia. Quale momento migliore di una crisi radicalee per rinnovare il mobilio, i programmi, le attenzioni, il futuro.
Chi invece si sente in attesa degli eventi per capire come stanno davvero le cose non può che essere ronda di se stesso mentre passa in rassegna tutti gli stati d’animo che lo attraversano. Punti cospicui, di guardia, garitte dalle quali tutti gli orizzonti precedenti si affacciano ad ogni angolo del fortino col quale vorremmo comunque proteggerci e trovare le sicurezze di prima, al momento traballanti anche per il curioso.
Ma c’è un quinto modello di pensiero forse ancora poco presente e considerato. Lo si può vedere, diciamo chiaramente, appena si acquisiranno le doti per la muta. Appena si riuscirà a svestirsi dai drappi in cui alloggiamo dalla nascita. In parte una morte simbolica è necessaria, per accedere a nuova vita, spesso più ricca, nel senso di più adatta a noi. E in generale più adatta a comprendere le dinamiche delle relazioni, della realtà, del mondo. Lo si può vedere a causa della solita prospettiva che ora – gioco-forza, o quasi – ha ruotato il suo sguardo. Fino a ieri aveva sempre puntato a Ovest ora si è girata e guarda a Est. Da una parte c’era sempre stato il cestino pieno del ben di dio, dall’altra solo stranieri gialli senza dignità. È il modello confucianista che si sta prendendo uno spicchio crescente nel giro d’orizzonte. E se lo è preso nonostante l’egemonia occidentale che fino a ieri affermava il suo diritto di prelazione per tutti i posti a sedere in sala. Se la testa d’ariete è economica, ad essa seguiranno modelli di pensiero. Al momento non pare cosa di poco conto. Hollywood cessarà di diffondere i suoi standard di pensiero. E in poco tempo ¬avremo a che fare col confucianesimo. L’uomo è duttile e accetterà di far sopravvivere la propria azienda con il nuovo ordine. Confucio, il confucianesimo è il primo riferimento culturale per gran parte della cultura cinese.
La dimensione individualista, e le sue derive predatorie, non fanno parte del confucianesimo, così come non c’è un dio col quale instaurare rapporti personali. Non c’è neppure la frammentazione del Tutto. Spirito e materia non trovano separazione e gli opposti non sono che indicatori dell’alternanza di tutte le cose della vita. La ragione non ha il presunto privilegio che le diamo noi di discernere il varo dal falso, il bene dal male. Essa è solo uno strumento non portante di niente se non di se stesso. La tendenza all’equilibrio, alla non prevaricazione, alla disponibilità di vedere sempre la complementarità degli opposti è nello spirito confuciano. Non servono filosofi concettuali per sapere come dirigere la vita e la società perché ognuno ha la responsabilità del proprio ruolo in famiglia, tra amici, tra genitori e figli, verso lo stato e gli altri. E chi dovesse cercare i guadagni personali sostituendoli alla rettitudine, avrebbe i suoi inconvenienti secondo un criterio assai meno tollerante di quello al quale siamo abiti. Non è una religione in senso occidentale ma una serie di indicazioni comportamentali intorno alle quali evidentemente ruota gran parte del pensiero dei cinesi. Sia la Rivoluzione maoista di ieri, che il galoppo capitalista di oggi, pare ne esprimano l’essenza.
I precetti individuati da Confucio – 551-479 a.C. – sono fina dalla sua concezione destinate al miglioramento sociale. Per lui era necessario educale i singoli uomini per realizzare la migliore società. Erano e sono infatti dedicati ai doveri più che ai diritti, sebbene con una accezione organica più che gerarchica. Ognuno sentiva – e sente? – la responsabilità di tutto il contesto sociale. Sommariamente, riguardano la famiglia, l’autorità, lo stato. Tre punti fermi di tutte le relazioni di ogni individuo. Organica in quanto rispettando le gerarchie che ogni relazione comporta si realizza la miglior società. Nessuno si sente escluso dal risultato finale. Una specie di opposto dell’individualismo. Ma detto così, il discorso si presta a facile critica. L’assolutismo cinese è inaccettabile per il pensiero democratico. Bisogna infatti aggiungere i cinque riferimenti che presiedono alla concezione confuciana:
Ren (benevolenza), Yi (rettitudine), Li (lealtà), Zhi (conoscenza), Xin(integrità).
Ognuno, di loro, parla da sé. E ognuno, di noi, volendo, purché con la medesima responsabilità confuciana per la buona riuscita della società, vi troverà spunti di riflessione o rivisitazione di ciò che ha condotto le nostre vite finora. 5 punti che forse ora, pur coniugati attraverso la nostra provenienza superiore, non permettono più di ridere dei cinesi. Forse ora sembrano affascinanti e – perché no?– adatti a fare da quinto modello. Se quanto hanno fatto i cinesi in questi ultimi decenni dovesse proseguire – e vista la pericolante situazione americana, potrebbe essere giusto pensarlo, magari anche moltiplicato –, iniziare a familiarizzare con le abitudini del nuovo padrone potrebbe tornare utile alla sopravvivenza. E, perché no? a valori nuovi o dimenticati.
L’Italia si avvia a diventare un regime totalitario temperato dall’inefficienza e dal ridicolo. Con la scusa della salute è stato introdotto il divieto di sbarco agli italiani in piazza, al bar, al ristorante, sulle spiagge; ora mitigato da libertà provvisoria, con la condizionale. I veri clandestini sono gli italiani, sorpresi a consumare all’aperto il più losco dei crimini: il reato di vivere. L’eversione ha un nome preciso: movida. Acchiappatelo, fa la movida. È pericoloso, ha un’arma in pugno, lo spritz.
Gli unici che hanno diritto di sbarco sulle nostre coste senza dover prenotare lo scoglio né il tavolo o stare a distanza regolamentare, sono i migranti, che è reato chiamare clandestini. Appena sbarcano ricevono la mascherina vanamente cercata dagli italiani per mesi. Difatti hanno ripreso a sbarcare in massa, incoraggiati dalle aperture dell’Italistan e dall’imam che si professa papa. In omaggio ai nuovi arrivati le nuove mascherine promesse dal floppista Commissario agli Interventi Immaginari, detto Arcuri, saranno burqa o chador; ma in virtù della parità dei diritti non saranno riservati alle donne ma estesi pure ai maschi e agli asmatici che così potranno soffocare liberamente per strada, nella loro anidride carbonica.
Dopo un’ottantena di reclusione ci è stata concessa l’ora d’aria, che è poi la tregua in corso. Gli italiani clandestini per strada sono stati regolarizzati dalla legge Bruttavecchia (simmetrica alla legge Bellanova sui migranti); ma col preciso avvertimento che saremo controllati, limitati, dovremo prenotare tutto, dal prete allo scoglio, dal barbiere al bar, fare i turni per respirare. Dovremo vivere separati, mai riuniti, il sesso solo se lo prescrive la Guardia Medica; c’è divieto di associazione come nei regimi totalitari, salvo quelle di stampo mafioso. Purché in bonafede. Il permesso provvisorio di vivere concesso ora potrà essere revocato da un giorno all’altro e comunque si sta già predisponendo il comitato accoglienza del covid-20, il nuovo virus annunciato per l’autunno, molto atteso dagli addetti ai lavori (forzati). Allora ci sarà una nuova stretta, appena varano il vaccino e il 5G, secondo i dettami di Colao-Tse-tung.
Intanto allo scopo di perseguire il reato di vivere, è stata istituita la Guardia del popolo, la guardia civile reclutata dai 5Stelle & Bandiera rossa tra i pasdaran del regime; il Servizio d’Ordine del Partito Grillo e Martello vigilerà sugli italiani come l’Ovra, Organizzazione Vigilanza Repressione Asintomatici.
Siamo diventati una succursale di Hong Kong, mitigata dalla nostra incapacità di pianificare la violenza di Stato (neanche quella funziona) in cui il dissenso in piazza è proibito, naturalmente per ragioni di salute; e una piccola, innocua manifestazione tricolore viene dispersa con uno spiegamento di forza che manco a Piazza Tienanmen; l’opposizione è perseguitata da associazioni di stampo mafioso e da magistrati collusi col potere ed è accusata a sua volta di agire per conto di potenze straniere e clan mafiosi. Si può tenere in cattività un popolo di 60milioni di italiani per più di due mesi ma non si può tenere su una nave, con tutti i comfort, alcune decine di scappati di casa, per una decina di giorni. Questo è sequestro di persona, quella è profilassi sanitaria.
Nella Repubblica Impopolare Filocinese la gente non ha soldi ma la verità, somministrata dell’Istituto Nazionale Propaganda Sociale, detto Inps, afferma tramite il suo satrapo chiamato Tridico perché ha tre narici, di aver “riempito di soldi gli italiani”. Ci governa un’imitazione scadente di totalitarismo prodotta in Cina e venduta a Zingaretti a prezzi gonfiati. L’emergenza a ogni livello – sanitario, previdenziale, giudiziario, ministeriale – viene guidata da un gruppo di persone d’estrazione grillosinistra, che risultano asintomatiche al test sull’intelligenza. Non ci sono neanche i più vaghi sintomi d’intelligenza, forse ne sono immuni. E sono così puri da avere spesso il curriculum immacolato, senza una voce, almeno decente. La tv di regime rispecchia perfettamente i requisiti indicati e offre l’immagine di un Paese felice di vivere sotto questa cappa totalitaria, che porta la foto di Conte nel portafoglio, adora la divinità Kasalino e segue gli ordini del regime, con poche infrazioni represse nel sangue delle multe. Seguono a ruota i giornaloni conniventi col potere per tirar su i profitti dei loro padroni anche sotto i pechinesi della Repubblica impopolare. Avallano le peggiori incompetenze, tacciono le peggiori nefandezze, appoggiano il peggior venditore di fumo al governo. Un po’ come fa, nel suo piccolo, Renzi.
La Lombardia è il loro Tibet, da reprimere e sradicare; all’uopo è stato allestito pure un giornale, la Piccola Vendetta Lombarda, che si occupa ogni giorno di spostare l’attenzione sul duo Fontana-Gallera, reputati la causa di tutti i mali.
Gli Stelle & Coronas guazzano nell’emergenza perché sospende ogni libertà e riduce il Paese a un asilo infantile per grillini; sospende i luoghi del sapere, dando un chiaro impulso all’estensione universale dell’ignoranza come prevede la loro costituzione; dispone dei cittadini come se fossero pupazzetti nelle mani del Pagliaccio, riduce la democrazia e la scuola, il lavoro e la vita a un video-collegamento con la Piattaforma del Grande Fratello o della Grande Sorella col rossetto (tipo Azzolina, per capirci).
Ridendo e scherzando abbiamo un regime comico-totalitario che per nostra fortuna funziona male. Appena aprono le frontiere ce ne andiamo. Oppure finiamola in fretta, dateci di corsa il Mes, ma a una condizione: che ci annetta all’Austria o alla Svizzera, alla Germania, alla Scandinavia o ai Paesi Bassi (e Loschi). La troika è troppo poco.