Allarme sulle navi da guerra: perché la Cina potrebbe superare la marina Usa

di Paolo Mauri

Con il National Defense Authorization Act del 2022, il Congresso Usa aveva autorizzato un finanziamento di 4,9 miliardi di dollari per la costruzione di cacciatorpediniere della classe Arleigh Burke e altri 4,7 miliardi per due caccia di nuova concezione, due navi da trasporto e un rifornitore di squadra.

La maggiore attenzione alle capacità navali statunitensi arriva dopo l’aumento delle costruzioni navali della Cina, i cui cantieri navali sfornano unità militari a un ritmo impressionante. Attualmente, la Us Navy è tenuta per legge ad avere almeno 355 navi, sebbene siano in atto piani per espandere la flotta tra 398 e 512 navi, che comprende sia piattaforme con equipaggio che senza, ma il numero di unità disponibili oggi è meno di 300.

Tutti i problemi della Marina Usa

Si tratta di un obiettivo ambizioso poiché il numero di cantieri navali privati e pubblici è diminuito in modo significativo con perdita di personale esperto, costi in aumento e cicli di crescita-declino nelle acquisizioni navali sempre più ravvicinati. Dal 1993, il numero di cantieri navali pubblici utilizzati dalla marina statunitense è sceso da otto a quattro, due si trovano sulla costa occidentale e due sulla quella orientale. Ciò si è verificato a causa delle dinamiche post Guerra fredda degli anni Novanta.

Tuttavia, questi quattro cantieri navali hanno bacini di carenaggio dalle funzioni limitate, attrezzature obsolete e ritardano regolarmente la manutenzione per le flotte di sottomarini e portaerei. Da quest’ultimo punto di vista, un rapporto del Gao (il Government Accountabilty Office) edito ad agosto del 2020 mostrava una situazione allarmante: il 75% dell’attività di manutenzione pianificata è stata completata in ritardo nel periodo 2015-2019, con un ritardo medio di 113 giorni per le portaerei e 225 giorni per i sottomarini. Per quanto riguarda, invece, i 22 cantieri navali privati che lavorano sulle altri navi di superficie e anfibie, i giorni di ritardo nell’attività di manutenzione sono stati ridotti di circa il 41% dal 2019.

Generalmente, però, la situazione è tutt’altro che rosea: tre cantieri navali hanno lasciato il settore e solo un cantiere navale è rimasto aperto dagli anni Sessanta. Sia Huntington Ingalls Industries che General Dynamics, i due maggiori costruttori navali statunitensi, hanno fatto segnare un nuovo record di ritardo nella costruzione durante il 2020.

Corsa contro il tempo per recuperare sulla Cina

I ritardi sono anche dovuti a un problema di straordinari del poco personale specializzato impiegato nei cantieri: troppo lavoro da svolgere porta a un calo della produttività, e quindi a un allungamento dei tempi di consegna. Ritardi causati, come si è visto, da problematiche strutturali che stanno vanificando i tentativi statunitensi di ingrandire la flotta: la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese potrebbe schierare fino a 400 navi nei prossimi anni, ha detto il segretario della marina Usa Carlos del Toro a febbraio di quest’anno, rispetto alle circa 340 attuali.

Come abbiamo visto il piano per arrivare a 355 navi entro il 2045 probabilmente fallirà se non verrà fatta una profonda ristrutturazione delle capacità cantieristiche statunitensi, e comunque prima di quella data, molte unità verranno ritirate dal servizio, quindi l’obiettivo resta molto lontano da raggiungere. Del Toro in quella occasione aveva anche affermato che i cantieri navali statunitensi non possono eguagliare la produzione di quelli cinesi, e anche in questo caso è una mera questione di numero. “Hanno 13 cantieri navali, in alcuni casi il loro cantiere navale ha più capacità: un loro cantiere navale ha più capacità di tutti i nostri cantieri navali messi insieme. Ciò rappresenta una vera minaccia”, aveva detto ancora il segretario della Us Navy.

L’ultima tegola sui piani navali statunitensi è arrivata più di recente: nonostante la spinta del Congresso affinché la marina inizi ad acquisire tre cacciatorpediniere classe Arleigh Burke flight III all’anno, la richiesta di bilancio per il 2024 svelata la scorsa settimana mostrava che solo due di queste unità erano previste. Questo perché i cantieri navali statunitensi stentano a costruire due cacciatorpediniere all’anno, figuriamoci tre.

All’ufficio per la valutazione dei costi e dei programmi del segretario alla Difesa non pensano che stanziare ulteriori fondi per un cacciatorpediniere aggiuntivo sia un uso saggio delle risorse che aiuterà i cantieri navali a consegnare le unità più velocemente: si tratta solo di uno spreco di soldi per un lavoro che si accumulerà in quanto ci saranno sempre gli stessi problemi fino a quando non verrà snellita la catena di approvvigionamento e sistemati i problemi della forza lavoro, quindi passare da due cacciatorpediniere/anno a tre, come da programmi, è irrealistico stante il perdurare delle difficoltà dei cantieri navali.

Una nave da guerra americana in cantiere al Norfolk Naval Shipyard in Virginia. Foto. Us Navy MCSN Steven Edgar

Cosa potrebbe cambiare

Però qualcosa sembra muoversi: Ingalls Shipbuilding ha dichiarato a Usni News che il cantiere è pronto a supportare la costruzione di tre cacciatorpediniere all’anno se la Us Navy dovesse seguire questa strada, ora che ha terminato la produzione di altre unità tra cui alcune per la Guardia Costiera statunitense. Anche Bath Iron Works ha fatto sapere che sta “lavorando per recuperare in modo aggressivo il programma” facendo “importanti investimenti in forza lavoro e strutture, sia per espandere la produzione di cacciatorpediniere sia per garantire che la capacità rimanga intatta anche in futuro”, ma gli effetti di questa piccola riforma si vedranno nel medio termine e soprattutto non toccheranno quello che invece, come abbiamo visto, è un problema strutturale generale che riguarda tutte le unità navali statunitensi, compresi sottomarini e portaerei.

Del resto, proprio dal punto di vista delle unità subacquee, le nuove costruzioni (gli Ssn classe Virginia) non si adattano a tutti i bacini di carenaggio disponibili negli Stati Uniti (12 su 17), quindi, in una prospettiva di medio/lungo termine, quei cantieri in grado di ospitarli vedranno accumularsi il lavoro se non verranno fatti importanti e diffusi miglioramenti strutturali.

Il Congresso ha esortato la marina a lavorare per l’acquisto di tre cacciatorpediniere all’anno e hanno aggiunto un terzo cacciatorpediniere in più rispetto alla richiesta di due fatta dalla Us Navy per quest’anno, inoltre ha anche incluso una disposizione nel disegno di legge che consentirebbe al servizio di firmare un multi accordo di approvvigionamento per un massimo di 15 cacciatorpediniere. Tuttavia, una situazione di grave insufficienza dei cantieri navali non si risolve dando alla Us Navy più mano libera, ma occorrerebbe un piano strutturale ben finanziato e coordinato.

Fonte: Inside Over

Allarme sulle navi da guerra: perché la Cina potrebbe superare la marina Usa
Allarme sulle navi da guerra: perché la Cina potrebbe superare la marina Usa

Prende forma l’ombra di una “Crimea asiatica”

di Federico Giuliani

La notte del 25 ottobre del 1949, un’armata dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese, composta da centinaia di imbarcazioni da pesca in legno, salpò verso l’arcipelago delle Isole Kinmen (o Quemoy, come sono conosciute in Occidente), controllate da Taiwan.

L’obiettivo della Cina, allora guidata da Mao Zedong, era duplice: sconfiggere definitivamente i nazionalisti del Kuomintang, che si erano rifugiati a Taipei dopo la sconfitta nella guerra civile contro i comunisti, e conquistare i territori da loro controllati.

I comandanti cinesi pensavano tuttavia che, per riuscire nella missione, fosse necessario prima prendere il controllo delle piccole isolette taiwanesi situate a pochi chilometri dalla costa cinese, come le Isole Matsu, le Wuqiu e le Kinmen, e poi sferrare l’assalto finale sulla roccaforte più grande, Taiwan appunto. Il Dragone cercò quindi di inghiottire l’arcipelago delle Kinmen, ma il piano di Mao, a causa di vari errori militari e operativi, fallì miseramente.

Nel 2014, e cioè 65 anni dopo questo episodio, dall’altra parte del mondo sarebbe andato in scena un blitz simile, con analoghi obiettivi di annessione territoriale, ma con un esito differente. Tra il 20 e il 27 febbraio del 2014 la Russia inviò in Crimea, senza dichiararlo pubblicamente, alcune sue truppe prive di insegne, che presero il controllo del governo locale.

In seguito, un nuovo governo di Crimea, filorusso, organizzò un referendum popolare; in caso di vittoria, le autorità avrebbero dichiarato l’indipendenza dall’Ucraina e chiesto l’annessione alla Russia. Il risultato della tornata elettorale, non riconosciuta da gran parte della comunità internazionale, vide la vittoria, con il 95,32% dei voti, di chi proponeva l’annessione alla Federazione Russa. La Cina potrebbe fare qualcosa di simile, seppure attraverso modalità molto più soft, a Taiwan?

Tra due fuochi

Il parallelo non dovrebbe essere ignorato. Se non altro perché, almeno in teoria, la Cina potrebbe fare qualcosa di simile con Taiwan. Ma non tanto con l’isola principale, e cioè quella che siamo abituati a riconoscere sulle cartine, bensì con gli arcipelaghi – controllati da Taipei – dislocati a pochi chilometri dalle coste cinesi meridionali. I riflettori sono quindi puntati sulle Isole Kinmen, a due chilometri da Xiamen, città della provincia cinese del Fujian.

L’isola più grande, Kinmen, ai tempi della Guerra Fredda era la sede di importanti riviste statunitensi come Life e ospitava i corrispondenti del New York Times. Come ha sottolineato il magazine taiwanese CommonWealth Magazine, era inoltre conosciuta per essere la “Berlino Ovest dell’Asia Orientale“, dislocata com’era a metà strada tra la Cina comunista e la Taiwan sostenuta dagli Stati Uniti.

In quattro decenni di intensa militarizzazione, e quindi dal 1949 alla fine degli anni ’80, gli abitanti di Kinmen hanno ricevuto un addestramento anticomunista e di controspionaggio per prevenire ogni possibile infiltrazione del Partito Comunista Cinese. I segni del passato sono visibili e tangibili ancora oggi sui muri di alcuni edifici. “L’anticomunismo avrà successo”, si legge sulla facciata di una struttura diroccata. In quelle stanze una volta sorgeva The Western Company, un’impresa privata utilizzata come base segreta dalla Central Intelligence Agency (CIA) e dal governo del Kuomintang durante la Guerra di Corea (1951-1953). Serviva come stazione per raccogliere informazioni sull’esercito cinese e per pianificare una possibile guerriglia lungo la costa sud-orientale della Cina.

Cicatrici del passato, visto che adesso a Kinmen si respira un’altra aria. Nel 2001, l’isola è diventata una città pilota per i cosiddetti “Tre Collegamenti” (trasporto diretto, posta e comunicazioni), una proposta varata nel 1979 dal Congresso nazionale del popolo della Repubblica popolare cinese con il fine di avvicinare la Cina continentale e Taiwan attraverso Kinmen, agevolando e fornendo servizi alle comunità isolane locali. In breve, l’intero arcipelago (abitato ora da circa 129.000 persone) si è trasformato nella contea più “pro Pechino” di tutta Taiwan.

La possibile “Crimea asiatica”

Nel gennaio 2020, il presidente cinese Xi Jinping ha citato esplicitamente Kinmen, sottolineando il pieno sostegno di Pechino per accelerare la creazione di “Nuovi quattro collegamenti”, e cioè elettricità, gas naturale, acqua e ponti. Da queste parti, insomma, l’influenza del Dragone è molto forte. I cittadini sembrano essere sempre più attratti dal miracolo economico cinese, tanto che è lecito supporre che Kinmen, agli occhi della leadership comunista, possa fungere da trampolino di lancio per le ambizioni della Cina su Taiwan.

Nel frattempo, l’ombra cinese, questa volta molto più minacciosa, si sta allungando anche in un altro arcipelago taiwanese. I cittadini delle Isole Matsu sono rimasti letteralmente isolati dal mondo dopo che alcune navi cinesi hanno – in teoria casualmente – danneggiato i due cavi Internet sottomarini che collegano le piccole isole a Taiwan.

Il primo cavo è stato tagliato il 2 febbraio, l’altro pochi giorni dopo, l’8 dello stesso mese. In base ai registri di spedizione risalenti a quella settimana, Taipei ritiene che negli incidenti possano essere stati coinvolti un peschereccio e un mercantile cinesi. Alcuni membri del Partito Democratico Progressista taiwanese ipotizzano tuttavia che questi atti non siano da ricondurre a semplici incidenti, ma che rientrino in probabile tattiche da “zona grigia” avallate da Pechino.

Anche perché, secondo le autorità di Taiwan, i cavi che collegano l’isola principale di Taiwan con le isole Matsu, le isole Quemoy, le isole Penghu e altre isole – e collegano anche queste isole tra loro – dal 2020 ad oggi sono stati danneggiati 30 volte a causa dell’attività umana. Si capisce che stiamo parlando di un numero sproporzionato di incidenti, se lo confrontiamo con i 100-200 casi di danneggiamento che ogni anno colpiscono cavi simili nel resto del mondo.

In ogni caso, l’effetto blackout, l’ideale per tentare possibili blitz sul modello Crimea, è stato assicurato. All’improvviso, i cittadini delle Isole Matsu non riuscivano più ad inviare messaggi, caricare video online, effettuare bonifici bancari o utilizzare carte di credito. L’interruzione di Internet ha insomma evidenziato una vulnerabilità critica della sicurezza di Taiwan, la quale non è attualmente in grado di salvaguardare le proprie comunicazioni in caso di guerra con la Cina.

“L’incidente di Matsu in realtà serve come segnale di avvertimento per Taiwan. Cosa faremo se i 14 cavi marittimi internazionali di Taiwan venissero danneggiati?”, ha dichiarato Lii Wen, capo della sezione Matsu del principale Partito Democratico Progressista, al Telegraph. Una domanda niente affatto banale, considerando che un’ipotetica interruzione di Internet di Taiwan, in caso di offensiva cinese, potrebbe ostacolare la capacità di Taipei di chiedere aiuto ad altre nazioni o anche semplicemente di informare i propri cittadini su quanto sta avvenendo.

Fonte: Inside Over

Prende forma l’ombra di una “Crimea asiatica”
Prende forma l’ombra di una “Crimea asiatica”

L’ideologia putiniana che vuole a riscrivere la storia è l’identità originaria della Russia

di Maurizio Stefanini

In un convegno sulle narrazioni strategiche filo-Cremlino in Italia, don Stefano Caprio descrive l’humus culturale e sociale in cui ha le radici la propaganda del regime: un revisionismo politico e anche religioso del passato.

Secondo gli ideologi di Vladimir Putin è colpa di quel materialista di San Tommaso e di quell’hippy di San Francesco se l’Occidente è precipitato in quell’abisso di depravazione per salvarci dal quale il suo esercito sta provando a spianare l’Ucraina.

Messa in questi termini estremi e semplificati sembra un po’ hard. Ma a spiegarlo è don Stefano Caprio: un personaggio che la Russia la conosce di prima mano, e in profondità. Nel 1985 ordinato sacerdote in rito bizantino-slavo e incardinato nella diocesi di Vallo della Lucania; dal 1985 al 1989 insegnante di patrologia e teologia all’Istituto di Scienze Religiose di Agropoli; dal 1989 residente a Mosca nel contesto delle aperture della perestrojka e per quattro anni cappellano dell’ambasciata italiana; dal 1991 collaboratore con l’arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz, appena nominato amministratore per i cattolici a Mosca; nel novembre 1991 uno dei fondatori dell’Istituto di teologia per laici “S. Tommaso D’Aquino” di Mosca, dove insegna patrologia e teologia dogmatica ininterrottamente fino al 2002; dal 2000 al 2002 assunto anche dall’Università Statale Umanistica di Mosca, dove tiene un corso di Storia della Teologia Cristiana; al servizio dell’Arcidiocesi di Foggia-Bovino, dove ha rivestito l’incarico di direttore del Servizio Ecumenico Diocesano dal 2003 al 2014; dal novembre 2005 insegna teologia all’Istituto di Scienze Religiose “Giovanni Paolo II” di Foggia, e continua a collaborare con il Pontificio Istituto Orientale di Roma, dove tiene corsi di storia, filosofia, teologia e cultura russa.

Autore di diversi articoli e pubblicazioni sulla storia e la cultura russa, ha esposto questa analisi martedì nel corso di un convegno organizzato dall’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici sul tema «Dezinformacija e misure attive: le narrazioni strategiche filo-Cremlino in Italia», ultimo di tre incontri.

«La verità è che la Dezinformacija è la identità originaria della Russia», è il suo punto di partenza, altrettanto provocatorio. Ma documentato. «La Russia nasce per portare una nuova narrazione. È l’ultimo Paese cristiano dell’Europa. Dopo la Russia vengono solo l’Ungheria e la Lituania, ma sono marginali. La Rus’ viene battezzata nel 988, quindi poco più di mille anni fa. E fin dall’inizio si concepisce come una nuova interpretazione, se volete. O una nuova incarnazione del cristianesimo, che deve superare quelle ormai decadenti della chiesa latina e della stessa chiesa bizantina che pure loro hanno scelto per la bellezza dei suoi riti. E qui non mi soffermo su questi testi antichi. E questa idea originaria della Rus’ di Kyjiv, che è nata in Crimea, dove il principe Vladimir sottomise al suo potere militare l’impero bizantino, e per questo si battezzò. È lì la terra sacra di questa nuova narrazione».

Secondo questa analisi, «la Russia ha poi perso più volte questa identità e la ha dovuta ritrovare. L’ha ritrovata in un certo modo dopo l’invasione tatara, dal 1200 al 1400. Poi dopo l’invasione di Napoleone, perché prima si era molto occidentalizzata e ha dovuto riscoprire la propria anima. Infine dopo il periodo sovietico e l’invasione nazista, che è l’evento a cui si richiama oggi la guerra di Vladimir Putin. Ogni volta la Russia ha cercato di riscoprire questa sua missione. L’ideologia putiniana si basa essenzialmente sulla rilettura della storia, con richiami a tutto il millennio e oltre della storia russa, cercando anche di rimettere insieme la storia sovietica con la storia russa precedente. E quindi la Dezinformacija assume qui toni apocalittici. Ecco, possiamo dire qui che apocalittica è la vera natura della Russia. Che quindi nasce proprio perché se la Russia non riesce a realizzare questa sua missione il mondo crolla».

Dunque, «secondo i russi proprio le fasi in cui la Russia è stata estromessa hanno ulteriormente aggravato la situazione, perché quando la Russia era sotto il gioco tataro, tataro-mongolo, l’Occidente si è ulteriormente pervertito introducendo il razionalismo a livello filosofico e religioso».

Insomma, senza la loro vigilanza, abbiamo combinato disastri. «I conservatori in Italia attribuiscono la secolarizzazione all’illuminismo settecentesco. La narrazione russa lo attribuisce alla Scolastica tomista del 1200. San Tommaso ha rovinato la vera tradizione Patristica, che si basava più sul platonismo, sulla mistica». Qui don Stefano Caprio cita Alexei Osipov, importante teologo che secondo lui sarebbe uno dei massimi ideologi di Putin. «Osipov ritiene che il primo santo occidentale che dimostra la natura pervertita dell’Occidente è San Francesco d’Assisi. Perché è colui che tira fuori dal convento la vita religiosa. Dall’unità del convento, quelli che noi chiamiamo ordini mendicanti. Quindi propone un modello di santità individualista. Già liberalista, allora».

Don Stefano Caprio ricorda il quadro del quindicesimo secolo, con la crisi del mondo occidentale diviso tra Papi e Antipapi e il tentativo di rimetterli assieme attraverso il Movimento Conciliarista. «Al Concilio di Firenze del 1439 anche i greci che avevano bisogno del sostegno dei latini hanno accettato l’unione. I russi hanno dunque considerato la definitiva perdita anche di Bisanzio. Nel 1439 il patriarca e anche i vescovi bizantini hanno firmato l’unione col Papa; nel 1441 la Russia di Mosca, la Moscovia, proclama la propria autocefalia, e si dichiara l’unica vera chiesa. E lì è nata questa estrema ideologia un po’ un sogno medioevale che poi si è precisata nella definizione di Mosca Terza Roma dopo Roma e Bisanzio. Che non è poi una grande novità, perché anche Roma era stata considerata a Terza Troia dopo Troia e Alba Longa. È una retorica molto antica».

A questo punto, «una curiosissima coincidenza porta agli inizi del 1500 due scrittori che sono consiglieri di principi a scrivere testi su cosa deve fare il principe. Uno è Niccolò Machiavelli a Firenze, secondo cui il principe, che era il principe di Firenze, deve diventare il Cesare. Il Cesare deve usare la religione come instrumentum regni. Negli stessi anni il monaco Filofej di Pskov scrive al principe di Mosca, dicendo che ci vuole un Cesare. Il Cesare di Machiavelli era poi riferimento anche a Cesare Borgia; l Cesare di Filofej è una nuova variante, dove il latino Caesar viene russificato in Zar. Si inventa la parola zar. Il nuovo Cesare, che non deve usare la religione ma deve guidare la Chiesa per la salvezza del mondo, salvando il mondo da tre pericoli. Uno è l’eresia, cioè appunto l’eresia latina a cui si sono sottomessi anche i greci. Il secondo è l’invasione degli Agareni, i musulmani figli di Agar e di Ismaele, che allora avevano invaso Costantinopoli. Il terzo pericolo è la sodomia, come modello dell’immoralità. Quindi quando il Patriarca di Mosca e tutti gli altri parlano delle parate gay, della omosessualizzazione dell’Occidente, fanno delle citazioni quasi medioevali».

Questa ideologia della Terza Roma vien per prima incarnata da Ivan il Terribile, che secondo Don Stefano Caprio ha molte somiglianze con Putin. «C’è una data in particolare: 1547. Ivan aveva diciassette anni. Il metropolita Makarij – non c’era ancora il Patriarcato – preparò la cerimonia secondo queste idee, e nella cerimonia parteciparono i legati di tutte le coorti europee, perché sembrava proprio una nazione che stava proponendo qualcosa di grande. Ma Ivan il Terribile rovinò tutto per eccesso di aggressività. Come Putin, Ivan il Terribile ha fatto il riformatore i primi dieci anni, ma poi ha creato la polizia politica, e ha fatto la guerra in Livonia. Dopo la sua morte il reggente, che era il capo della sua polizia politica Boris Godunov, decise di riequilibrare e realizzare fino in fondo quell’ideale della Terza Roma istituendo il Patriarcato di Mosca. Costringendo il Patriarca di Costantinopoli che era in visita a Mosca a stare agli arresti domiciliari finché non firmava il documento istitutivo in cui c’è scritto esattamente che Mosca è la Terza Roma e che deve liberare il mondo da questi pericoli. Sette anni dopo l’istituzione del Patriarcato di Mosca, che è del 1589, viene firmata l’Unione di Brest. 1596. Cioè, la scelta dei russi del Regno di Polonia, che non si chiamavano ancora ucraini, di non sottomettersi alla Terza Roma, ma di unirsi con la prima Roma. L’Unione di Brest, gli Uniati, e il Patriarcato di Mosca sono le due facce della stessa medaglia. La Russia verso Occidente, la Russia che vuole mettersi in alternativa a tutto il mondo. Non verso Oriente, perché la Russia non è mai stata Oriente: i valori induisti, buddhisti, cinesi, non sono i valori della Russia. I suoi valori sono quelli dell’Europa. Qualunque russo lo sa e lo riconosce. Quindi il conflitto ideologico religioso tra la Russia e l’Ucraina data dalla fine del 1500. Tanto è vero che nell’Unione di Brest ci sono effettivamente dei grandi agenti occidentali all’azione. Sono i padri gesuiti, che introducono il sistema gesuita delle scuole, poi adottato dai monaci a Kiev, che creano una Accademia basata sulla Scolastica gesuita, che è la madre di tutte le scuole ucraine e russe».

Anche l’Università di Mosca è fondata nel 1752 dal Leonardo da Vinci russo, Michail Vasil’evič Lomonosov, studente dell’Accademia di Kyjiv. «Per questo fino alla metà dell’Ottocento in tutte le università russe si insegna in latino. Per esempio la parola intelligentsia, usata dai russi per indicare gli intellettuali. Sono stati i primi a lanciare le parola anarchism e populism. E la parola nichilism, nel romanzo di Turgenev “Padri e figli”. Quella è la fase in cui si rilancia quella idea della identità russa, con una enorme discussione tra slavofili e occidentalisti. Anima orientale, anima occidentale della Russia. La polemica diventa anche molto aggressiva nella seconda metà dell’800, quando lo slavofilismo degenera in panslavismo, cioè nell’idea di unire gli slavi per riconquistare prima di tutto la Turchia e e Luighi Santi e poi tutta l’Europa. Era una idea condivisa e sostenuta ad esempio da Fedor Dostoevskij, che faceva articoli di tipo panslavista E lì lo zarismo aveva creato una nuova Triade: ortodossia, autocrazia e popolarismo (Narodnost). È lì un po’ il segreto, perché tra ortodossia e autocrazia si capisce: è la sinfonia bizantina dei poteri, che non prevede la separazione e neanche la sottomissione di uno dei due ma Pari dignità e collaborazione. Ma narodnost è in contrapposizione a populism, utilizzato dalla sinistra occidentalista. Rappresentata in letteratura ad esempio da Tolstoj. Voleva dire andare al popolo, gli intellettuali che devono andare dai contadini, per insegnare loro a vivere e usare le proprie libertà. Invece lo zar utilizza la Narodnost, che nella radice slkava e non latina indica l’unità del popolo con lo zar. Quindi il populismo è la classe elitaria che va verso il popolo, la narodnost o popolarismo è il popolo che viene elevato dalla figura dello zar. Unificato nella figura dello zar».

Ma adesso c’è una nuova Triade: «Erede di tutte queste idee un po’ medievali, un po’ moderne e un po’ più sovietiche. Al posto di democrazia, potere del popolo, oggi si usa un termine che è stato molto trattato dagli slavofili: l’unione del popolo con la chiesa e lo zar per creare una nuova unione universale. Sobornost: il termine con cui nella teologia e filosofia russe si traduce la cattolicità. Cioè l’universalità. Ecco perché non si può definire l’ideologia russa come una superiorità della loro nazione sulle altre. Loro vogliono l’unione di tutti i popoli del mondo ispirata dalla Russia. Chiamatelo imperialismo, chiamatelo universalismo ideologico: la sobornost è il primo termine. Il secondo termine è l’identità. Anche questo secondo una definizione molto usata dagli slavofili, soprattutto dai poeti, per esempio da Puskin, che è il padre della letteratura russa. Vuol dire contrastare l’ecumenismo e il multiculturalismo. Anche appunto fare invasioni, per affermare una identità capace di attrarre. È questa la forza capace, l’ideologia del Russky Mir, del mondo russo, che vuol dire il mondo della Russia dove stanno i russi, il mondo degli altrui Paesi dove stanno i russi, il mondo di quelli che sono amici dei russi, il mondo di quelli che hanno capito che i russi sono i migliori del mondo. Quindi non ha confini».

L’espressione Russky Mir si trova per la prima volta in un romanzo di Dostoevskij, “L’idiota”. «Il principe Myškin che viene dalla Svizzera a predicare come un nuovo Gesù Cristo la riscoperta dell’anima russa, a un certo punto in una animata discussione dice: mostrate ai russi il mondo russo. E loro sapranno mostrare a tutto il mondo la verità del cristianesimo, anche se il resto del mondo ci considererà degli invasori e degli aggressori. Lo diceva nel senso della rivoluzione cristiana un romanzo meraviglioso di Dostoevskij. Ed è esattamente l’ideologia putiniana di oggi. E il terzo termine, lo sapete, l’antiglobalismo, che viene spesso identificata nel termine Eurasia, Eurasismo».

Ma c’è un paradosso, che al religioso è estremamente evidente. «Una delle principali Dezinformacije, riuscita ai russi negli ultimi anni, è stata l’incontro dell’Avana tra il Patriarca di Mosca Kirill e il Papa Francesco. Che sembrava proprio la riconciliazione storica. Perché in tutte queste ricerche dell’identità russa, che voleva presentare un nuovo cristianesimo universale, tutti i papi in varie epoche hanno provato a dire ma allora facciamo l’Unione. Proviamo. Hanno mandato dei cardinali a Vladimir di Kiev, a Aleksandr Nevskij, a Ivan il Terribile. Hanno mandato gesuiti. Hanno fatto tutto il possibile per cercare l’unione coi russi. Ma lì all’Avana quello che serviva a Kiril era arruolare il Papa nella crociata contro la degradazione dell’Occidente e alla difesa dei valori tradizionali. Perché i russi sanno benissimo che se non li aiuta qualcuno non sono molto credibili. È il Paese dove va meno gente in chiesa in tutta Europa. 2-3 per cento. E sapete tra l’altro qual è il Paese dove va più gente in chiesa al mondo? Gli Stati Uniti d’America. La Russia è il Paese che ha più divorzi e aborti del mondo. La legge sul divorzio fu fatta da Lenin a marzo 1918. Si poteva divorziare per lettera senza informare il coniuge. La famiglia in Russia non esiste. Esiste soltanto per i russi che la possono mostrare nelle loro ville in Occidente. Ma in Russia non c’è una tradizione della famiglia dopo ottant’anni di comunismo. Vanno alla chiesa per far benedire il panettone, ma non entrano in chiesa. Non c’è una vera religiosità».

Battuta finale. «È una parata che ha analogie con certi richiami a ideologie religiose da parte anche di partiti e movimenti politici in Occidente. Ma qui, per carità cristiana, mi fermo e evito di fare nomi».

Fonte: LINKIESTA

L’ideologia putiniana che vuole a riscrivere la storia è l’identità originaria della Russia
L’ideologia putiniana che vuole a riscrivere la storia è l’identità originaria della Russia

ERCOLE IL BUDDHA

di Andrea Sartori

Cosa ci fanno il Buddha e Ercole insieme a faticare?
Spider Man (grandi poteri, grandi responsabilità)

Arte del Gandhara: Eracle vicino a Buddha. Due personaggi diversissimi, a prima vista agli antipodi. Da una parte un altissimo filosofo e mistico, dall’altra la versione greca di Conan il barbaro. Ma come mai?

Lo studioso dirà che in realtà la figura vicino a Buddha è il dio indiano Vajparani che, dopo la conquista dell’India da parte di Alessandro Magno venne identificato con Eracle. Ma in realtà il mito di Ercole ha un sottotesto che ben si concilia col Buddhismo.

Eracle è la personificazione stessa della forza. Una forza divina, essendo figlio di Zeus. Ma chi possiede la forza, e una forza divina, deve saperla “guidare”

Il giovane Eracle non sa padroneggiare la forza terrificante che possiede. Uccide il suo maestro di musica, Lino. Soprattutto, in un accesso d’ira, uccide la moglie Megara e i figli. Per questo motivo deve sottoporsi alle Dodici Fatiche.

In primo luogo deve sottostare ad Euristeo, un re codardo e dappoco. Questo è il primo insegnamento: tu, l’Eroe divino, per un certo tempo devi sottostare agli ordini di un omuncolo: lo potresti schiacciare con un dito, ma non devi farlo.

Le fatiche hanno un significato profondo. Le prime fatiche (Leone Nemeo, idra di Lerna, cinghiale di Erimanto, cerva di Cerinea, toro di Creta, gli uccelli del lago di Stinfalo) riguardano l’uccisione o la cattura di un animale o un mostro: domare la parte ferina della propria anima. Eracle usa la forza bruta, come una bestia. Deve imparare a guidare la sua forza che deve diventare “divina”. Si riveste della pelle del Leone Nemeo, che diventa un po’ il suo animale-totem come il ragno per Spiderman, il pipistrello per Batman o la tigre per Naoto Date: assume la caratteristica principe del leone, la forza. Ma, allo stesso tempo il leone è morto: la mente diventa quella umana, razionale. Gli animali più mostruosi come l’idra o gli uccelli dalle piume di piombo, sono i mostri interiori.

Poi abbiamo le stalle di Augia: l’Eroe deve imparare la gloria di imprese umili, come pulire una stalla colma di letame. Questo può significare anche la purificazione interiore, un “ripulirsi”. Soprattutto qui Eracle impara ad usare la testa, perché la soluzione arriva grazie al deviare un fiume: non più solo forza, ma forza al servizio dell’intelletto.

Poi abbiamo fatiche legati a “furti” (Il furto delle cavalle cannibali di Diomede, il furto del cinto di Ippolita, il furto dei buoi di Gerione, il furto dei pomi delle Esperidi) che hanno vari significati: le cavalle cannibali domate sono i demoni interiori, il cinto della regina delle Amazzoni è il non lasciarsi vincere dalla passione amorosa, i buoi di Gerione sono il ricavare qualcosa di utile (Il bue) dal mostro interiore (Gerione dai tre corpi) e le mele d’oro delle Esperidi sono il premio dopo la fatica immensa di aver sorretto il mondo intero col suo carico di male (E qui Eracle è cristologico).

L’ultima fatica è la cattura del cane di Ade. Diventa la vittoria sulla porta del supremo spavento. La vittoria sulla paura della morte e quindi sulla morte stessa: Eracle conquista l’immortalità dell’anima. Chi non crede all’anima immortale e teme la morte muore per sempre (cfr. Il marxista Berljoz ne “Il Maestro e Margherita”) chi la affronta e la doma conquista l’immortalità e verrà accolto tra gli dei. Anche qui abbiamo anticipazioni cristologiche.

A questo punto Eracle ha vinto il mondo e può emanciparsi da Euristeo, che rappresenta la miserabile autorità terrena che non ha più potere sull’Eroe Divino (anticipazione di Pilato?). E un giorno l’umanità, come Eracle, sarà in grado di autogovernarsi e potrà fare a meno di Cesari, re e presidenti, e vedere la miseria di queste figure: dietro ogni Napoleone si cela un Euristeo o un Ponzio Pilato.

Buddha dice che il vero conquistatore è colui che vince se stesso: Eracle ora ha vinto se stesso, e ha imparato a guidare la sua Divinità. Non mi stupirebbe che i saggi indiani, dopo aver sentito raccontare il mito di Eracle dai conquistatori greci, non ne abbiamo subito intuito il profondissimo significato. Ma anche nel pensiero greco troviamo qualcosa di simile: il platonico mito dell’auriga che deve essere in grado di domare i cavalli dell’anima.

In Jurassic Park di Michael Chricton c’è una bellissima pagina sul potere: il matematico Ian Malcolm dice che il potere deve essere preceduto da un’educazione: un maestro di arti marziali può uccidere una persona a mani nude, ma non lo farà, perché ha fatto un percorso. E quindi il potere deve essere preceduto da un percorso “spirituale”. Malcolm non si riferisce solo al potere politico, ma anche al “potere scientifico”: un miliardario ha avuto in mano un potere scientifico spaventoso e lo ha usato per creare un pericolosissimo parco divertimenti, giocando a fare Dio.

D’altronde “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. E qui posso dire che un fumetto di supereroi, l’Uomo Ragno, riassume in una battuta tutto il mio pippone sulle Fatiche di Ercole.

ERCOLE IL BUDDHA
ERCOLE IL BUDDHA

Banche e Borse a picco, tutti contro Lagarde: leader Ue infuriati con la Bce

a cura della Redazione

Christine Lagarde finisce sotto accusa da parte di diversi leader presenti al Consiglio europeo. La numero uno della Bce e la sua politica monetaria, fatta di una grande rigidità nell’alzare i tassi di interesse per contrastare l’inflazione, è stata pesantemente critica da Italia, Spagna, Portogallo e Grecia nel giorno nero delle Borse e del crollo dei titoli delle banche europee. “Sono stati sottolineati gli effetti sull’economia dei ripetuti interventi sul costo del denaro. Un’esortazione ‘diplomatica’ a correggere la traiettoria dei tassi” la ricostruzione di Repubblica sul momento difficile dell’economia dell’Ue.

Le difficoltà di Deutsche Bank si sono allargate a macchia d’olio e anche i paesi del nord Europa, Germania compresa, hanno infilzato Lagarde sulla tenuta del sistema bancario, chiedendo garanzie sulla solidità e sui rischi incombenti, cercando di sventare un’altra crisi come quella del 2008. “Lagarde ha confermato che la necessità di puntare verso l’alto il tasso di sconto deriva dal dovere statutario di tenere sotto controllo l’inflazione. L’obiettivo è riportarla al 2%. Ha quindi ribadito che non ci saranno altri aumenti automatici. Che si terrà conto della situazione e soprattutto di quel che accadrà sui mercati. Finché, quindi, si registrerà una tensione, la Bce non agirà con nuove decisioni lungo la linea tracciata. Poi ha voluto rassicurare i governi sulla solidità del sistema bancario ‘Il settore bancario della zona euro è resiliente perché ha posizioni solide in termini di capitale e liquidità’” il resto del riferimento del quotidiano al discorso di Lagarde al Consiglio, in cui ha assicurato che la Bce sarebbe pronta ad iniettare liquidità nella banche in caso di necessità. Da entrambi i fronti in ballo sono tutte mosse volte a rasserenare i mercati.

Fonte: Il Tempo

Banche e Borse a picco, tutti contro Lagarde: leader Ue infuriati con la Bce
Banche e Borse a picco, tutti contro Lagarde: leader Ue infuriati con la Bce

Gli Stati Uniti perdono l’Asia: in fuga dal debito americano per 400 miliardi di dollari in un anno

di Giuseppe Timpone

L’Asia molla il debito americano e in un anno ne riduce le detenzioni di circa 400 miliardi di dollari. C’entra la guerra in Ucraina?

Sul piano delle relazioni geopolitiche, non è un buon momento per gli Stati Uniti d’America in Asia. Lo scontro con la Cina si fa evidente ogni giorno che passa. Troppi i capitoli aperti: dalle tensioni commerciali al sostegno sottobanco di Pechino alla Russia nella guerra in Ucraina, per non parlare del caso Taiwan e dei desideri di egemonia militare dei cinesi nel continente asiatico. Ma i fronti di crisi si stanno moltiplicando. L’Arabia Saudita sta avvicinandosi sempre più all’orbita cinese anche dal punto di vista della sicurezza, un fatto impensabile fino a pochi mesi fa soltanto. La stessa India non si è schierata sulla guerra tra Russia e Ucraina, mentre l’Iraq segnale di guardare più a Pechino che a Washington. I dati sul debito pubblico americano confermano che il problema esisterebbe.

Nel gennaio di quest’anno, i creditori stranieri degli Stati Uniti possedevano più di 7.400 miliardi di dollari in titoli di stato.

Una cifra in calo di oltre 250 miliardi su base annua. Nel complesso, quindi, il debito americano è stato venduto all’estero, al netto dei nuovi acquisti. Sono variazioni per certi versi fisiologiche, che risentono anche della congiuntura economica e del dollaro. Questo si è rafforzato al punto da avere indotto molte banche centrali a difendere i tassi di cambio vendendo titoli del debito americano o cessandone gli acquisti. Il Giappone ne è l’esempio più lampante.

Asia in fuga dal debito americano

Tuttavia, proprio l’Asia lancia segnali di allarme. Nel complesso, a gennaio deteneva meno di 3.400 miliardi di dollari contro i 3.380 miliardi di un anno prima. Il calo è stato di 386,8 miliardi (-10,2%), come segnala il grafico di sotto.

E con l’eccezione di Emirati Arabi Uniti (+20 miliardi), Iraq (+17,8 miliardi), India (+33,4 miliardi) e Hong Kong (+1,2 miliardi), tutti gli altri stati hanno ridotto la quantità di debito americano posseduta. E così, l’incidenza dell’Asia è scesa dal 49,4% al 45,8% dei T-bond complessivamente detenuti dai creditori esteri (-3,5%).

Interessanti i dati di Giappone e Cina. Insieme, hanno ridotto di 370 miliardi il possesso dei titoli del debito americano. Ora, se l’amicizia tra Tokyo e Washington non è in discussione, diverso è il discorso su Pechino. Il tracollo dei T-bond in mani cinesi può essere un segnale sulla mancata volontà di Xi Jinping di continuare a fare credito agli Stati Uniti. E ciò varrebbe particolarmente con lo scoppio della guerra in Ucraina. Nord America ed Europa hanno “congelato” circa 300 miliardi di dollari di riserve valutarie russe. Di fatto, quest’atto segnala come gli asset di un paese siano a rischio nel caso di tensioni geopolitiche.

  • Giappone -195,5 mld (-15%)
  • Cina -174,4 mld (-16,9%)
  • Arabia Saudita -8,4 mld (-7%)
  • Corea -18 mld (-14,5%)
  • Emirati Arabi Uniti +20 mld (+44,5%)
  • Thailandia -9,3 mld (-15%)
  • Filippine -3,7 mld (-7%)
  • Israele -17,7 mld (-27,7%)
  • Kuwait -7,3 mld (-14,4%)
  • Iraq +17,8 mld (+76%)
  • Vietnam -6 mld (-14,2%)
  • Taiwan -12,5 mld (-5,1%)
  • India +33,4 mld (+16,8%)
  • Hong Kong +1,2 mld (+0,5%)
  • Singapore -4 mld (-2,1%)
  • TOTALE  -386,8 mld  (-10,2%)

Boomerang per Occidente sanzioni contro Russia?

La Cina e altri stati asiatici avrebbero motivi di preoccupazione nel concentrare gli investimenti in titoli del debito americano e altri asset finanziari o persino reali negli Stati Uniti o in Europa. Questi potrebbero fare la fine delle riserve russe. Vi ricordate quando scrivemmo che nel medio-lungo termine il “congelamento” di un anno fa sarebbe stato un boomerang per l’Occidente? Parrebbe che i primi riscontri stiano arrivando. In effetti, il mondo si sta dividendo in misura crescente in sfere d’influenza all’interno delle quali s’intensificano gli scambi commerciali e finanziari.

E così, se quasi -400 miliardi di debito americano sono stati perduti in Asia, gli Stati Uniti hanno potuto recuperare altrove, cioè in Europa e Americhe: +133,4 miliardi.

Il solo Belgio, che sintetizza molti dei movimenti nell’Unione Europea, ha accresciuto le proprie detenzioni di 88,1 miliardi. Anche il Canada ha contribuito con 36,5 miliardi e il Messico con 13,8 miliardi.

Tutto questo sta avvenendo mentre a Washington va in scena il solito teatrino dello scontro tra Casa Bianca e Congresso sull’innalzamento del tetto al debito americano. Soprattutto, questi tende a crescere a ritmi sostenuti senza che la politica federale riesca ad adottare misure necessarie per contenerlo. Senza l’Asia, con un’Europa che continua anch’essa a indebitarsi in misura massiccia, chi acquisterebbe i T-bond? E, infine, la Cina sta allentando il suo legame con l’America al fine di avere le mani libere su Taiwan e altri temi strategici?

Fonte: Investire Oggi

Gli Stati Uniti perdono l’Asia: in fuga dal debito americano per 400 miliardi di dollari in un anno
Gli Stati Uniti perdono l’Asia: in fuga dal debito americano per 400 miliardi di dollari in un anno

Credit Suisse e la bolla globale dei derivati

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

Il credito di salvataggio di ben 54 miliardi di dollari da parte della Banca centrale svizzera non è bastato a stabilizzare il Credit Suisse. Anche la fusione con la più grande banca elvetica, l’Ubs, non sembra calmare le acque turbolente dei mercati finanziari internazionali. La ragione, di cui si tende a non parlare, è una e semplice: l’esposizione in derivati finanziari speculativi otc, quelli non regolamentati e tenuti fuori bilancio, del Credit Suisse e delle banche too big to fail. In particolare quelle americane.  
L’ultimo rapporto sui derivati dell’Office of the Comptroller of the Currency, l’agenzia Usa di controllo bancario, ha rilevato che, al 30 settembre 2022, quattro banche statunitensi detenevano ben 195.000 miliardi di dollari di derivati finanziari, pari all’88,6% del valore nozionale di quelli presenti nel sistema bancario nazionale. JPMorgan Chase ne deteneva 54.300 miliardi di dollari, Goldman Sachs 50.970, Citibank 46.000 e Bank of America 21.600. Sebbene la legislazione Dodd-Frank, promulgata dopo la grande crisi del 2008, richiedesse che i derivati passassero attraverso la compensazione centrale, il 58,3% di essi non lo fa, rimanendo nella totale opacità.
Anche un recente studio della Banca dei regolamenti internazionali analizza le gravi complicazioni nella gestione dei derivati ed evidenzia che “le banche estere con sede al di fuori degli Stati Uniti hanno un debito in derivati otc di 39.000 miliardi. Più del doppio del loro debito registrato in bilancio e più di 10 volte il loro capitale”. Un’esposizione ritenuta “sbalorditiva” e foriera di nuovi sconvolgimenti.
Il Tesoro Usa sta esaminando l’esposizione delle banche statunitensi verso il Credit Suisse. Non si scopre adesso che il sistema bancario internazionale è strettamente interconnesso e che la crisi di un componente importante può diventare sistemica. Perciò, non regge la giustificazione secondo cui il problema sarebbe di origine estera, come le autorità americane hanno più volte sostenuto.
Negli Usa il quadro normativo distingue le banche con sede sul territorio nazionale da quelle con sedi estere. Queste ultime non sono sottoposte agli stessi standard, come i requisiti patrimoniali e una liquidità più stringente. Conoscendo bene i rischi, l’hanno fatto per attirare negli Usa capitali, anche speculativi, per restare, a tutti i costi, il mercato dominante.   
La storia delle crisi del Credit Suisse è stata bellamente ignorata per anni e consapevolmente sottovalutata. D’altra parte, rivelava la malattia dell’interno sistema che non s’intendeva affrontare drasticamente e curare.
Nel 2021 la banca aveva perso 5,5 miliardi di dollari a seguito di derivati pericolosi con l’hedge fund speculativo americano Archegos Capital Management, poi fallito. I segnali di allarme furono ignorati da tutti, non solo dal Credit Suisse. Quest’ultimo era già stato coinvolto, con forti perdite, anche nello scandalo e nel fallimento di Greensill Capital, la società di servizi finanziari britannica, che aveva lasciato un buco di 10 miliardi. In precedenza aveva pagato una multa di 5,3 miliardi di dollari alle autorità americane per aver ingannato gli investitori sul rischio dei titoli subprime legati alle ipoteche immobiliari.    
Credit Suisse, quindi, ha sempre operato sul mercato Usa. Da anni controlla la First Boston. Tra i suoi azionisti vi sono gli arabi, Arabia Saudita e Qatar, con il 20% e, poi, come sempre c’è l’onnipresente fondo americano BlackRock con circa il 5% delle azioni.
Ben sapendo che si mettono in difficoltà le banche che hanno ingenti investimenti in titoli di Stato a lunga scadenza e a basso rendimento, l’aumento dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali sembra essere una scelta obbligata. Nelle loro intenzioni mettere un freno all’inflazione resta la priorità, per evitare sconquassi economici e sociali. Per gli istituti finanziari in crisi metteranno a disposizione decine, centinaia di miliardi.  
E’ chiaro, però, che simili salvataggi pubblici non sono la soluzione. A ogni crisi il problema si ripresenta in dimensioni maggiori e peggiori.
Perciò non ci si dovrebbe mai stancare di ripetere che una riforma globale della finanza è necessaria e ineludibile. Per riportare un po’ di sanità nel sistema finanziario, sarebbe opportuno ritornare alla separazione bancaria, alla legge Glass Steagall Act del presidente FD Roosevelt, e battere la speculazione attraverso l’accantonamento dei derivati otc e il divieto della cosiddetta leva finanziaria.

Fonte: Arianna Editrice

Credit Suisse e la bolla globale dei derivati
Credit Suisse e la bolla globale dei derivati

IL SIMBOLISMO DEL SERPENTE

a cura di Monaco Guerriero

Nell’Antico Testamento si narra che il Serpente indusse al “peccato” Adamo ed Eva, che disobbedirono al comando divino e per questo furono “cacciati” dal Paradiso terrestre e condannati al lavoro.

Diversa è la visione degli gnostici Ofiti o serpentini (Ofis in greco = serpente) come venivano anche chiamati per la parte di rilievo da loro assegnata al serpente.

Secondo gli Ofiti il serpente sarebbe stato inviato da Sophia (o avrebbe assunto ella stessa le sembianze del Serpente) per risvegliare la coscienza dell’Uomo, che sonnecchiava in uno stato di indistinta beatitudine. Allontanatosi spontaneamente dall’Eden, venuta meno l’integrazione divina, l’Uomo si accorge di “essere nudo”, scopre il bene e il male, percepisce la natura duale dell’Universo.

Non tentatore, quindi, ma piuttosto vivificatore, veicolo di Conoscenza, il serpente (serpente gnostico) che libera l’Uomo dalla schiavitù dell’Eden e lo spinge a non vegetare, ma piuttosto a vivere coscientemente e consapevolmente, permettendogli di cogliere, gustare e nutrirsi dei frutti della Conoscenza.

Nella narrazione biblica di Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden, l’antagonista di Yahweh, che aveva causato ai due la conoscenza (la capacità di procreare) era il Serpente, Nahash in ebraico.

Il vocabolo ha anche due significati: “Colui che conosce i segreti” e “Colui che conosce il rame”. Questi altri significati o giochi di parole, li troviamo anche nell’epiteto sumero BUZUR, che sta a indicare Enki, che significava “Colui che svela i segreti” e “Colui che è delle miniere di metallo”.

Il serpente poteva essere Enki stesso. Il suo emblema erano due serpenti intrecciati; era anche il simbolo del suo centro di culto Eridu in Africa.

L’emblema dei serpenti intrecciati simboleggia la struttura a doppia elica del DNA, in poche parole la struttura del codice genetico. Vale a dire la conoscenza segreta che consentì a Enki di creare Adamo e successivamente di garantire ad Adamo ed Eva la capacità di procreare.

Energia vitale quindi il serpente che, con la stessa significazione è presente in certi passi del rituale templare, passi per i quali i Templari furono accusati di atti innominabili e addirittura vennero additati al pubblico disprezzo durante il processo al quale furono sottoposti.

Durante la cerimonia di iniziazione il neofita riceve un bacio alla base della spina dorsale, particolare di derivazione Ofita, a sua volto accolto, probabilmente, della tradizione indù, secondo cui esiste nell’Uomo un’energia vitale, rappresentata da un serpente, il serpente kundalini, che dorme acciambellato in fondo alla schiena e che, una volta risvegliato, risale lungo la spina dorsale, ridestando vari centri (chakras) fino ad arrivare nel mezzo della fronte, dove apre il terzo Occhio, ed alla sommità della testa, dove schiude la Conoscenza del Divino.

Viene alla mente la simbologia egizia: la testa del cobra (Ureo) si erge nel mezzo della fronte del Faraone a significare la natura ignea sovranità.

L’ureo, era una decorazione a forma di cobra in origine posta ai lati del disco solare e poi sul copricapo dei sovrani e delle regine egizie; esso rappresentava il Basso Egitto e la dea Wadjet, ed insieme alla barba posticcia era uno dei segni esteriori della regalità; talvolta era affiancato dall’avvoltoio (la dea Nekhbet, simbolo dell’Alto Egitto), come nella maschera e nel diadema di Tutankhamon, ed in epoca tarda e tolemaica i sovrani utilizzarono anche corone con due o tre urei affiancati.

Esso rappresentava la forza e la potenza del faraone, incuteva sottomissione ai sudditi e richiamava l’arma letale del cobra dall’alito infuocato che inceneriva i nemici e che secondo le leggende sacre si trovava sulla fronte di Horus quando il dio andava sul campo di battaglia.

Diversi altri sono i simboli collegati al serpente o le effigi in cui esso compare.

IL SIMBOLISMO DEL SERPENTE
IL SIMBOLISMO DEL SERPENTE

La Cina aumenterà gli scambi militari con la Russia: cosa cambia nel panorama globale

di Federico Giuliani

Aumentare gli scambi con le forze armate russe, così da approfondire la comunicazione, la cooperazione e la fiducia reciproca militare. Secondo quanto dichiarato dal portavoce del ministero della Difesa di Pechino, Tan Kefei, la Cina sarebbe pronta e disposta a rafforzare le relazioni con la Russia, non solo a livello economico e commerciale, ma anche sul piano bellico.

I termini e le perifrasi adottate dalla leadership cinese suggeriscono, dunque, un’ulteriore convergenza militare sino-russa da monitorare con estrema attenzione, ma che non si traduce automaticamente (o almeno: non si è ancora tradotta) in un comprovato e determinante appoggio di Xi Jinping a Vladimir Putin nel conflitto ucraino.

I media ufficiali cinesi scrivono che l’esercito cinese è disposto a lavorare con la sua controparte russa per rafforzare ulteriormente la comunicazione strategica e la cooperazione, per mantenere la sicurezza e la stabilità internazionali e regionali. Si fa inoltre menzione della volontà di organizzare pattugliamenti marittimi e aerei, oltre che esercitazioni e addestramenti congiunti, rafforzare gli scambi e la cooperazione tra i due eserciti e approfondire ulteriormente la fiducia reciproca militare.

Allo stesso tempo, il portavoce del ministero cinesi ha fatto notare che i legami Cina-Russia non sono simili all’alleanza militare e politica durante la Guerra fredda, visto che l’attuale partnership si basa sui principi di “non alleanza, non confronto e non presa di mira di terze parti”.

I piani militari di Russia e Cina

L’esercito cinese “è disposto a collaborare con l’esercito russo per attuare pienamente l’importante consenso raggiunto dai due capi di stato”, Xi Jinping e Vladimir Putin, e “rafforzare ulteriormente la comunicazione e il coordinamento strategici, organizzare regolarmente pattugliamenti marittimi e aerei congiunti, nonché esercitazioni e addestramento congiunti”, ha continuato il portavoce.

Si tratta di iniziative, ha concluso Tan, finalizzate ad “approfondire ulteriormente la fiducia reciproca militare” e a fornire “nuovi contributi al mantenimento della sicurezza e della stabilità internazionali e regionali”.

Le perifrasi e i termini adottati da Pechino suggeriscono una maggiore cooperazione militare tra i due Paesi, come del resto aveva già annunciato Putin nei giorni scorsi. Nel corso di un’intervista al canale tv Rossiya-24, il presidente russo ha spiegato che la cooperazione tra Russia e la Cina”non è un’alleanza militare”. “

Questo è assolutamente falso”, ha detto il capo del Cremlino al giornalista Pavel Zarubin quando gli è stato chiesto se la cooperazione tra Mosca e Pechino possa rappresentare una minaccia per l’Occidente. “Non stiamo creando alcuna alleanza militare con la Cina – ha aggiunto -. Sì, collaboriamo anche sul fronte tecnico-militare, non lo nascondiamo, ma è trasparente, non c’è nulla di segreto”.

Convergenza militare

La Cnn, intanto, ha sottolineato come, nel corso dell’ultimo anno, le società di difesa statali cinesi abbiano mantenuto rapporti commerciali con le aziende sanzionate della Difesa russa. I registri mostrano che per tutto il 2022, almeno fino a metà novembre, l’appaltatore cinese Poly Technologies abbia inviato almeno una dozzina di spedizioni – comprese parti di elicotteri e apparecchiature radio aria-terra – ad un’azienda russa sostenuta da Mosca e sanzionata dagli Stati Uniti.

Pare che anche il partner commerciale a lungo termine di Poly Technology, Ulan Ude Aviation Plant, un fornitore di elicotteri di livello militare, abbia continuato ad inviare parti e diversi elicotteri alla società con sede a Pechino. La maggior parte delle parti dell’elicottero incluse nelle spedizioni in Russia erano etichettate per l’uso nell’elicottero multiuso Mi-171E, progettato per il trasporto e la ricerca e soccorso.

Fonte: Inside Over

La Cina aumenterà gli scambi militari con la Russia: cosa cambia nel panorama globale
La Cina aumenterà gli scambi militari con la Russia: cosa cambia nel panorama globale

LOS VOLADORES

di Giovane Mesbet

Gli antichi Sciamani scoprirono la presenza di esseri oscuri posti direttamente sullo sfondo del campo energetico umano e per questo difficilmente individuabili.

Gli stregoni videro che questi esseri oscuri si cibano della lucentezza della consapevolezza di ogni individuo, riducendone sempre di più la patina luminosa.

Le entità oscure sono particolari esseri inorganici, coscienti e molto evoluti e poiché si muovono saltellando o volando come spaventose ombre vampire furono chiamati los Voladores, ovvero quelli che volano.

Il Voladores è la mente umana, è il chiacchiericcio mentale, è la lamentela, sono le emozioni negative, è rimuginare nel passato e vivere nell’attesa del futuro, è evitare il momento presente, è ogni idea e ideologia con cui ci identifichiamo, è tutto ciò che ci impedisce di percepire la nostra natura divina connessa con il tutto.

I predatori (Voladores) alimentano l’avidità, il desiderio smodato, la codardia, l’aggressività, l’importanza personale, la violenza, le emozioni forti, tutti gli eccessi, l’autocompiacimento ma anche l’autocommiserazione.

Le fiamme energetiche generate da queste qualità “disarmoniche” sono il loro cibo prediletto.

I Voladores non amano le qualità vibrazionali della consapevolezza, dell’amore puro, dell’armonia, dell’equilibrio, della pace, della sobrietà; in altre parole, aborriscono la qualità energetica della crescita evolutiva e hanno ogni vantaggio nel boicottare ogni nostro incremento di Coscienza.

Eckhart Tolle afferma: “Non essere capaci di smettere di pensare è una afflizione terribile, ma non ce ne rendiamo conto, perché quasi tutti ne soffrono, per cui è considerato normale.”

Cito anche John Michael Abelar: “Parliamo incessantemente a noi stessi del nostro mondo ed è proprio grazie a questo dialogo interiore che lo preserviamo, lo rinnoviamo, gli infondiamo vita, energia; è mentre parliamo a noi stessi che scegliamo le nostre strade e così ripetiamo le stesse scelte e le stesse strade fino al giorno della Morte, perché fino a quel giorno continuiamo a ripeterci le stesse cose.”

Il grande Don Miguel Ruiz sostiene quanto segue: “Secondo i Toltechi, la mente degli esseri umani è invasa da qualcosa che la controlla e che dunque controlla il loro sogno personale. La libertà che cercano i Toltechi è quella di ritornare ad usare la mente e il corpo in accordo con ciò che sono veramente, di vivere la propria vita anziché quella che questo qualcosa ci impone per i suoi fini personali.”

LOS VOLADORES
LOS VOLADORES