Soggetto Radicale e fenomenologia della Presenza

di René-Henri Manusardi

Inabitazione del Divino nell’anima cosciente

     Nella Via della Mano Vuota – ispirata al magistero filosofico e metapolitico di Aleksandr Dugin –, che descrive l’ascesi guerriera del Soggetto Radicale all’interno della Metafisica del Caos o Nuova Metafisica, dopo l’ Immanenza come prima forma e dopo la Trascendenza come seconda forma, la terza forma di manifestazione diretta del Divino è detta la Presenza .

     Come già illustrato nei due precedenti articoli, nell’ Immanenza la percezione del Divino si caratterizza come Consapevolezza non differenziata , la quale emerge spiritualmente come emanazione energetica da ogni singolo oggetto che si affaccia all’esperienza diretta dell’anima cosciente, venendo colta da essa come un tutt’Uno vivo e indistinto da lei stessa (Link dell’Articolo: https://www.ideeazione.com/soggetto-radicale-e-fenomenologia-dellimmanenza/ ).

     Diversamente, nella Trascendenza , sviluppantesi dall’ Immanenza come ulteriore tappa di maturazione spirituale del Soggetto Radicale, la percezione del Divino si palesa come manifestazione del Totalmente Altro , come rivelazione della Trascendenza che in un movimento esistenziale di presenza assenza ossia di alternanza di luce e tenebre , trasforma l’anima cosciente attraverso una più intensa purificazione ( katharsis ) e un più deciso svuotamento di sé ( kenosis ) rispetto alla precedente tappa dell’Immanenza , confermandola nella volontà angelologica di totale appartenenza al Divinoe, quindi, quale messaggero del fuoco Divino della Tradizione (Link dell’Articolo: https://www.ideeazione.com/soggetto-radicale-e-fenomenologia-della-trascendenza/ ).

     La caratteristica peculiare della Presenza , quale terza forma di manifestazione diretta del Divino e tappa definitiva – che in realtà non ha mai fine – di maturazione spirituale del Soggetto Radicale nel corso del suo Esser-ci ( Dasein ), del suo itinerario esistenziale in questo mondo , consiste nell’abitazione del Divino ossia nella sua stabile dimora all’interno dell’anima cosciente. Una Presenza di libertà , fondata sul rispetto del Divino per la libertà dell’essere umano uomo e donna, che rende l’anima cosciente sempre più libera e liberata nella sequela della volontà Divina e delle ispirazioni del suo Santo Spirito. Una nell’abitazione del Divinoche è agli antipodi da qualsiasi senso di occupazione, schiavitù e realtà di arbitraria possessione – come avviene invece per chi si consacra e si lascia possedere dagli spiriti infernali vivendo immerso nelle volute tenebre dei vizi capitali. Una vera libertà, quindi, che viene sperimentata nel vissuto quotidiano come pienezza della vita umana, sentiero di liberazione esistenziale e autentica realizzazione spirituale:

     «Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. (…) Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Ma se vi mordete e vi divorate una vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi avviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni ei suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri» divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi avviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni ei suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri» divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi avviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni ei suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri» contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni ei suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri» contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni ei suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri». (Lettera di San Paolo Apostolo ai Galati 5,1,13-26).

     Dobbiamo tenere conto del valore paradigmatico di questa citazione dell’Apostolo Paolo inclusa nel Nuovo Testamento e interiorizzarla, in quanto ha una valenza spirituale universale che trascende e nello stesso tempo ingloba ogni singola confessione religiosa o filosofica, nel suo corretto rapporto di relazione col Divino . Essa non lascia spazio ad illusioni e crea un collegamento diretto tra libertà dell’essere umano e Presenza del Divino , il cui valore etico spirituale riguarda tutto l’itinerario esistenziale dell’essere umano e, in particolare, qualsiasi stadio di rivelazione del Divino durante le fasi di Immanenza, Trascendenza e Presenza nel tragitto proprio del Soggetto Radicale che procede lungo laVia della Mano Vuota .

     Tuttavia, nel criterio espositivo specifico della Antropologia mistica, la quale ha come fondamento ultimo l’affermazione di uno statuto ontologico riguardo la realtà naturale dell’anima cosciente , si è scelta una via oggettiva di neutralità confessionale e di autonomia antropologica, a somiglianza del criterio logico dell’Aquinate il quale pur nell’unità dello scibile, seppe distinguere e rendere autonomo il percorso filosofico da quello teologico, ossia differenziare le verità di natura dalle verità di fede , operando un distinguere per unirecome affermava Jacques Maritain. Questa impostazione gnoseologica si conferma anche per noi come la più logica, affinché l’Antropologia mistica risulti essere una terra di mezzo e un terreno di confronto, utile a qualsiasi confessione religiosa o filosofica per stabilire una base certa sopra quelle verità di natura che riguardano l ‘anima cosciente riguardo la sua essenza antropologica, la sua complessità strutturale, la sua interrelazione con mente e corpo, la sua apertura al Divino e alla relazione umana interpersonale e con le creature. Quindi, anche nella esposizione fenomenologica dei gradi di rivelazione della Presenza , la terza forma di manifestazione diretta del Divino nell’anima cosciente, ci atterremo al criterio oggettivo, neutrale ed autonomo che considera la stessa anima cosciente quale imago Dei , ossia la sua natura di immagine di Dio con le manifestazioni di Presenza a lei riconosciuta.

     Per quanto riguarda invece l’anima cosciente come similitudo Dei – ossia la sua somiglianza con Dio al di sopra della imago Dei –, dati dalla vita di grazia, di alleanza, di amicizia ricevuti per i meriti del sangue di Cristo, nonché la descrizione dei gradi di Presenza di Dio nell’anima ad essa propri, tratteggiati sull’esperienza mistica sponsale biblica del Cantico dei Cantici, risulta necessario l’uso di altri parametri conoscitivi che non riguardano direttamente l’Antropologia mistica, pur essendo in continuità con essa. Trattandosi piuttosto di un argomento trattato esaustivamente e profondamente dalla Teologia spirituale, ricordiamo a tal riguardo agli amici cristiani cattolici e ortodossi i trattati sistematici di Royo Marin, Tanquerey e Bernard che racchiudono l’insegnamento del Padri e dei Dottori della Chiesa riguardo l’ascetica e la mistica cattolica, nonché i volumi della Filocalia che custodiscono il prezioso tesoro spirituale ascetico e mistico dei Padri della Chiesa Orientale.

 Caratteristiche della Presenza del Divino

     La tematica della Presenza come terza forma di manifestazione diretta del Divino dopo Immanenza e Trascendenza , pone anche nel presente contesto la questione antropologica del suo collegamento con la fase di Assenza , nell’alternanza tipica comune a queste tre forme, viste nella prospettiva di progressiva maturazione nella relazione tra il Divino e l’anima cosciente. Una questione essenziale questa, che segna inesorabilmente il modus vivendi , l’itinerario esistenziale e la vita spirituale dell’anima cosciente. Confrontata simbolicamente con il ritmo respiratorio inspirazione ( Presenza ) ed espirazione ( Assenza), la ragione finale di questa ciclicità esistenziale dentro e fuori , di questo avviso interno ed esterno , di questa alternanza luce e tenebre alle sorgenti dell’anima cosciente, sembra trovare la sua ragione ultima nella preparazione dell’essere umano e, in particolare, del Soggetto Radicale all’azione. La sospensione apparente, la recisione temporanea dell’intimità con il Divino, porta a definire questa Assenza come movimento centrifugo di ordine pedagogico, che scalza l’anima cosciente dall’abitudine ancora imperfetta del gaudium Dei, in vista di un suo impegno esistenziale a favore del prossimo, considera la sua non completa maturità e perfezione nel distaccarsi dai piaceri celesti quando è necessario il compimento del proprio dovere esistenziale e sociale.

     L’acerbità, il dolore di questa Assenza non è più pronunciato di quello dell’Immanenza  più intenso di quello della Trascendenza . Ma è qualitativamente più profondo per l’anima cosciente che non percepisce più la Divina Assenzacome un’uscita e una lontananza infinita del Divino da sé stessa come nelle due forme precedenti, ma la sperimentazione come una sparizione, una scomparsa, un voluto inabissamento del Divino nelle profondità della stessa anima cosciente, nelle sue stanze più segrete di cui lei non ne ha assolutamente cognizione di esistenza. Questa apparente distanza, crea nell’anima cosciente una condizione di suprema desolazione, ma anche una corrente di forza titanica, attinta da questo stesso abisso dove il Divino si nasconde, per continuare con inossidabile tenacia la Grande Guerra Santa interiore.

     Possiamo quindi affermare che nell’inabitazione e nella stabile dimora del Divino all’interno dell’anima cosciente, in realtà la fase di Assenza può essere antropologicamente letta come Presenza negativa , la quale dal punto di vista fenomenologico si attiva come condizione di apofatismo interiore, in cui l’anima cosciente per mezzo della sua volontà totale di appartenenza al Divino diventa suo strumento consapevole che si muove ad ogni sua ispirazione, senza tuttavia averne né percezione né sensazione né fruizione alcuna. Il dinamismo Presenza Assenza, non più disperso come nelle forme precedenti ma contenuto nell’abisso dell’anima cosciente dove ora il Divino trova stabile dimora, rappresenta quindi la caratteristica sostanziale di questa forma la quale dà luogo a diversi gradi della stessa Presenza .

     Un’ultima considerazione di ordine etico, riguarda il rapporto tra libertà e impeccabilità. La Presenza del Divino come forma più elevata di rapporto tra il Divino stesso e l’anima cosciente, non garantisce a quest’ultima una condizione di impeccabilità, di uscita definitiva dalla possibilità di infrangere ancora la Legge Divina. Nei momenti dell’Assenza , infatti, l’anima cosciente viene sempre tentata dal maligno anche se, da un punto di vista qualitativo, le sue tentazioni al male sono più sottili sia nell’orgoglio sia nella sensualità Sono un genere di tentazioni il cui fine ultimo è quello di provocare la caduta luciferina dell’anima cosciente, in quanto ottenebrano la sua facoltà di conoscenza cercando di creare in lei una confusione di ruoli, facendo credere che“sentire di essere il Divino” per partecipazione, corrisponda ad “essere il Divino stesso” . “Sentirsi Dio” da parte dell’anima cosciente è un dono d’amore incondizionato che il Divino le riserva gratuitamente. A questa manifestazione infinita ed eterna d’Amore, l’anima deve corrispondere con la virtù dell’umiltà profonda conscia di essere e di rimanere una pura creatura davanti al suo Creatore e, soprattutto, deve esercitare una abissale pratica meditativa dell’Abbandono “ come una piuma sul respiro di Dio” , come affermava di sé misticamente la grande badessa benedettina Santa Ildegarda di Bingen, amica dell’Imperatore Federico Barbarossa, proclamata Dottore della Chiesa da Papa Benedetto XVI di venerata memoria.

I gradi della Presenza del Divino

     Nell’ambito della terza forma di manifestazione diretta del Divino, la Presenza , tutte le esperienze contemplative che nell’ Immanenza erano non differenziate e tutte quelle che nella Trascendenza erano transeunte, vengono ora chiarificate dalla stabilità dello stesso Divino nell’anima cosciente e possono anche ripetersi in modo più lucido e comprensivo. Parlare di gradi della Presenza del Divino , qui non significa fare una graduatoria o una scala Paradisi ben definita, strutturata e conseguente. Significa solo identificarli come gradi di intensità della stessa Presenza nell’anima cosciente, i quali da una Presenza cosmica impersonalematurano verso una Presenza interiore personale secondo il pensiero di San Tommaso d’Aquino che vede nella natura personale di Dio non tanto una sua riduzione avatarica bensì la più piena manifestazione dell’infinità e della eternità di Dio stesso. Questi gradi della Presenza nel loro esperire non seguono neanche una concatenazione temporale, per cui se ne viene sperimentato uno minore, non è detto che necessariamente se ne debba sperimentare uno maggiore o viceversa. Ma è facoltà inderogabile della libera volontà di Dio che conosce ogni singola anima cosciente, il donare a lei ciò che le è più connaturale o ciò che maggiormente le serve per raggiungere una piena comunione con Lui.

     Inoltre, all’interno della riflessione sull’anima considerata esclusivamente come imago Dei e non come similitudo Dei , il confine che passa tra percezione impersonale e personale del Divino è molto sottile e caliginoso. Infatti, nella percezione impersonale del Divino si avverte l’esistenza di un essere o di una forza che per l’anima cosciente assume anche i contorni personali in quanto viene percepito come Presenza. D’altra parte, la percezione personale del Divino, avviene sempre “per speculum et in aenigmate” come dice San Paolo ai Corinzi (1Cor 13,12), ossia “come attraverso uno specchio e in modo oscuro”ossia indecifrabile, quindi senza essere completamente certi di essere davanti al Divino come Persona.

     Prima di descrivere, pur sommariamente, i gradi della Presenza , dobbiamo sottolineare che alcune esperienze contemplative di manifestazione del Divino già sperimentate nell’ Immanenza e nella Trascendenza in modalità luce tenebre , come già detto sopra possono ora ripresentarsi e replicarsi ma con attribuzioni completamente diverse. In quanto nella terza forma ossia la Presenza , l’abitazione del Divino nell’anima cosciente non permette a queste stesse esperienze contemplative di manifestarsi anche come tenebre ed assenza del Divino stesso. Ma tenebre ed Assenza del Divino , in questa forma si presentano in modo totalmente distaccato da un punto di vista temporale rispetto aigradi della Presenza e, come dicevamo poc’anzi, il Divino si nasconde e sparisce nel profondo dell’anima cosciente stessa con un movimento ad intra e non più ad extra come nelle forme precedenti. Provocando così uno stato di desolazione maggiore per portare a compimento la purificazione ( katharsis ) e lo svuotamento di sé ( kenosis ), permettendo quindi all’anima cosciente del Soggetto Radicale una piena identificazione con esso come radice del Soggetto ordinario.

     Ricapitolando, tenendo presente che il senso progressivo dei gradi della Presenza del Divino non è continuativo né gerarchico né ascensionale né segue un ordine di merito, ma è solo una progressione indicativa che va dalla percezione impersonale a quella personale del Divino , nel quale il Divino stesso modula queste esperienze contemplative alle anime coscienti in base ad una loro connaturalità e secondo il suo imperscrutabile giudizio cerchiamo, ora di classificare sinteticamente questi stessi gradi evitando di proposito di dar loro una progressione numerica per i motivi suddetti.

     Ricordiamo anche che le tre prime esperienze contemplative, ossia i tre gradi di percezione della forza Divina, della Dispersione cosmica e dell’ Universo interiore possono venire sperimentate come esperienza “unica”, ossia una volta sola nella vita, da chiunque sia attratto dalla contemplazione della natura e sia in una situazione favorevole di immersione in essa. Inoltre, questi primi tre gradi della Presenza rappresentano anche gli esordi esperienziali di mistica naturale, di coloro che per via filosofica o religiosa hanno iniziato un cammino contemplativo e che sfociano poi nella pratica della Consapevolezza immanente non differenziata . Queste stesse esperienze, come già detto, possono anche replicarsi all’interno dellaterza forma di manifestazione del Divino che è la Presenza , di cui stiamo argomentando nel presente articolo, ma con una percezione chiara della presenza del Divino che si manifesta in varie forme come Padre, Assoluto, Creatore pur restando non conosciuto per mancanza di una esplicita Rivelazione .

     Rammentiamo infine che il termine “Percezione” , sta qui ad indicare la visione intuitiva su base sensoriale, attraverso la quale si tramuta in “Sensazione” formando la “Conoscenza” dell’evento spirituale, il quale poi sarà razionalizzato da una riflessione critica su “ Che cosa è avvenuto in me? . Infatti, tutto avviene nel corpo ei sensi sono “le porte dell’anima cosciente” e della sua esperienza del Divino in questo mondo.

     * Percezione della forza Divina.

     È una forma di percezione dell’energia vitale universale che avviene durante l’evento meditativo, attraversando il corpo sotto forma di corrente elettrobiochimica. Bruno Gröning, il quale è stato il più grande esponente di questa esperienza contemplativa e il suo codificatore, usava tre termini scaturiti dalla sua esperienza personale per indicare con Heilstrom la forza Divina , Einstellen il collegamento meditativo alla forza Divina , nonché Regelungen le regolazioni attraverso cui la forza Divina fa emergere, cura e guarisce le patologie spontaneamente o attraverso un processo più o meno lungo di guarigione:

     «Abbi fiducia e credi, la forza divina aiuta e guarisce. Il medico più grande di tutti gli uomini è e rimarrà sempre il nostro Signore! Nessun uomo può guarire, è sempre uno solo che può farlo: Dio! A Dio nulla è impossibile! Dio ha creato l’uomo bello, buono e sano, così vuole anche che contrassegnato. Originariamente gli uomini erano totalmente collegati con Dio, c’era solo amore, armonia e salute, era un tutt’uno. La malattia non appartiene all’uomo. Essere collegati a Dio, questo è tutto!» . (Bruno Gröning, frasi tratte dalle registrazioni delle sue Conferenze , in website bruno-groening.org).

     Se questa esperienza di mistica naturale viene vissuta come grado della Presenza , l’anima cosciente sperimenta in modo intenso la paternità di Dio e l’amore nonché le attenzioni che Lui riversa in lei come amata dal Padre.

     * Percezione della dispersione cosmica.

     È un’esperienza contemplativa in cui l’anima viene proiettata nell’immensità dello spazio cosmico e vaga nello stupore di una Presenza misteriosa o nel dolore della sua Assenza. Questa esperienza di mistica cosmica, viene descritta in modo consolatorio, articolato e sublime da Paramahansa Yogananda, guru hindu ed esponente di rilievo del Kriya Yoga nella sua “Autobiografia di uno Yogi” vero bestseller di tiratura mondiale, di cui ne estraiamo alcune righe:

     «S’odono i mobili mormorii degli atomi. L’oscura terra, monti, valli, ecco son liquido fuso! Fluenti mari si tramutano in vapori di nebulose! Om soffia sui vapori, squarciando meravigliosamente i loro veli. Stan rivelati oceani, scintillanti elettroni, finchè all’ultimo tocco del cosmico tamburo le luci più dense svaniscono nei raggi eterni dell’onnipervadente beatitudine. Io venni dalla gioia, di gioia vivo, in sacra gioia mi dissolvo» . (Astrolabio Ed., Roma 1971, pag. 146)

     Vissuto invece come grado della Presenza , all’opposto il dolore dell’Assenza non è qua presente come già sottolineato in precedenza. Resta però estremamente viva la percezione del Divino che qui, in aggiunta, si rivela in modo esplicito come Creatore dell’universo che accompagna l’anima cosciente in questo itinerario siderale, come tenendola tra le proprie mani e riempiendola di consolazione, d’amore ma soprattutto di bellezza. Una bellezza che a volte fuoriesce dai suoi occhi come magnetica luce, che viene avvertita dalle persone con cui l’anima cosciente è in relazione.

     * Percezione dell’Universo interiore.  

     In questa esperienza contemplativa, la percezione che prova l’anima cosciente è quella di “vedere” l’universo gravitare dentro di sé e, in questo modo, di “sentire” dentro di sé la percezione di essere la sintesi di tutti gli elementi cosmici animati e non animati: minerali, vegetali, animali, angelici. Questa esperienza, può darci una percezione viva circa la vastità immateriale della stessa anima cosciente, capace di contenere in un modo misterioso-simbolico ma altrettanto reale-esperienziale l’interiorizzazione sintetica del cosmo.

     Santa Teresa d’Avila nel suo Castello interiore ci parla con stupore della bellezza e della immensa capacità dell’anima, la quale per contenere Dio non può che partecipare alla sua immensità: «Le cose dell’anima si devono sempre considerare con ampiezza, estensione e magnificenza, senza paura di esagerare, perché la capacità dell’anima sorpassa ogni umana immaginazione» . ( Il Castello interiore , I, II, 8).

     Nel presente grado della Presenza , in più, l’anima cosciente percepisce in modo intenso e reale di essere stata posta dal Divino quale Principe della creazione, sentendo come in una duplice corrente discensionale e ascensionale che passa dal suo cuore in modo chiaro, l’ amore del Divino per le creature e viceversa quello delle creature per il Divino.

     *Percezione della Consapevolezza cosmica.

     Rappresenta un insieme di esperienze contemplative di simbiosi, di identificazione non differenziata con gli elementi della natura, che abbiamo lungamente descritto nell’articolo sull’Immanenza . Qui, all’interno del silenzio meditativo, la percezione sensibile si attiva in modo più intenso rispetto alla percezione visiva, in quanto l’osservazione del contenuto all’interno dell’anima cosciente sembra transitare verso il vissuto di un’esperienza sensibile in completa simbiosi aconcettuale e sovrarazionale con gli elementi del mondo minerale, vegetale e animale: “io pietra”, “io montagna”, “io pianta”, “io foresta”, “io lupo”, “io delfino”, “io aquila”, “ io fuoco, vento, terra e acqua”, “io oceano”, “io universo” ecc., sono parole che pallidamente possono descrivere tali esperienze di simbiosi.

     Un grande protagonista e un esperto della Consapevolezza indifferenziata anche nei suoi risvolti cosmici è stato il monaco buddhista vietnamita Thich Nhàt Hạnh: «Ogni giorno siamo partecipi di un miracolo di cui nemmeno ci accorgiamo: l’azzurro del cielo, le nuvole bianche, le foglie verdi, gli occhi neri e curiosi di un bambino, i nostri stessi occhi, tutto è un miracolo» . ( Il miracolo della presenza mentale: un manuale di meditazione , Ed. Ubaldini, Roma 1992 pag. 20).

     La percezione della Consapevolezza cosmica vissuta in questo grado della Presenza , lascia invece percepire al di là dell’esperienza simbiotica della non differenza , la radice di questo Uno non differenziato , di questo Divino il quale essendo presente in ogni cosa, viene anche percepito come al di sopra di ogni cosa quale Creatore del cosmo.

     * Percezione della nuda Presenza.

     In questo grado della Presenza , durante la percezione della nuda Presenza del Divino come nascosta, Deus absconditus , da parte dell’anima cosciente quale imago Dei , prevalgono stupore, silenzio, adorazione di quello stesso Divino che si percepisce presente ma di cui non si conosce il volto. Inoltre, il Divino viene qui fortemente percepito come l’Assoluto, Dominus, il Signore della Creazione. In questo stato, a volte, il Divino è così presente nell’anima cosciente che sembra incarnarsi in lei guardando con i suoi occhi, sentendo con le sue orecchie e camminando con i suoi piedi, mentre essa potrebbe per brevi attimi non percepire più la propria identità personale, ma solo quella del Divino. La percezione della nuda Presenza è figlia di una rigorosa ascesi spirituale, propria di quelle anime coscienti generose che dimostrano grande coraggio nell’opera di purificazione e svuotamento di sé. San Giovanni della Croce, valido esponente di questo apofatismo cristiano, in cui l’anima cosciente va alla ricerca del Divino dimenticando sé stessa, così descrive l’impervia e liberatoria tenacia che servono in questa Via spirituale:

     «Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente. Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente. Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente. Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi. Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai. Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai. Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei. (…) Quando ti fermi su qualche cosa, tralasci di slanciarti verso il tutto. E quando tu giunga ad avere il tutto, devi possederlo senza voler niente, poiché se tu vuoi possedere qualche cosa del tutto, non hai il tuo solo tesoro in Dio. (…) In questa nudità lo spirito trova il suo riposo poiché non desiderando niente, niente lo appesantisce nella sua ascesa verso l’alto e niente lo spinge verso il basso, perché si trova nel centro della sua umiltà. Quando invece desidera qualche cosa, proprio in essa si affatica». (San Giovanni della Croce, Opere, Salita del Monte Carmelo , libro I, cap. 13, 11-13, Postulazione Generale dei Carmelitani scalzi, Roma, 1991).

     * Percezione della Presenza di intimità.

     L’anima cosciente, in questo grado , viene a scoprire che il Divino a lei sconosciuto, non rivelato ma di cui percepisce essere l’Essere supremo e Divina Persona, desidera da lei la sua familiarità e la sua intimità. Ella scopre così con intensità che il Divino la ama perché la natura del Divino è natura d’Amore, il Divino è Amore. Circondata da questo Amore celeste, infinito ed immenso, l’anima impara ad abbandonarsi a Lui, a vivere con Lui, a parlare con Lui, ad amare Lui, a seguire Lui, a uscire da sé in Lui. Questa scuola d’Amore, essendo l’anima cosciente creata come desiderium Dei, la conferma nella sua totale fidelizzazione al Divino e lascia nel suo cuore un pegno d’amore, un ricordo che si risveglierà quando, nell’Assenza del Divino stesso, lei lo cercherà desolata. Ripensando così alle intime bellezze del loro reciproco amore, l’anima cosciente vivrà con questo unico ricordo a cui si aggrapperà tenacemente per non abbandonare la Grande Guerra Santa.

     In questo amore intimo e familiare con il Divino, pur con gli esuberanze poetiche e sentimentali tipiche della mistica Sufi, fa scuola il teologo e mistico persiano medievale Jalāl al-Dīn Muḥammad Rūmī, il quale riesce ad incendiare i cuori d’amore per l’ intimità divina:«Ho bisogno d’un amante che, ogni qual volta si levi, produca finimondi di fuoco da ogni parte del mondo! Voglio un cuore come inferno che soffochi il fuoco dell’inferno sconvolga duecento mari e non rifugga dall’onde! Un Amante che avvolga i cieli come lini attorno alla mano e appenda, come lampadario, il Cero dell’Eternità, entri in lotta come un leone, valente come Leviathan, non lasci nulla che sé stesso, e con sé stesso anche combatta, e, strappati con la sua luce i settecento veli del cuore, dal suo trono eccelso scenda il grido di richiamo sul mondo; e, quando, dal settimo mare si volgerà ai monti Qàf misteriosi da quell’oceano lontano spanda perle in seno alla polvere!» . (Da Il fuoco dell’amore Divino , sito sufi.it).

     * Percezione della Presenza di unità. Questa esperienza contemplativa di tonalità fortemente mistica personale come le due precedenti, con cui spesso s’alterna o si s’intercala secondo i misteriosi disegni del Divino, lascia esperire all’anima cosciente il completo assorbimento nell’alterità del Divino, secondo i canoni della Scuola Advaita Vedanta del “non Due non Uno” (non duale) o con quella cristiana dell’Uno, propria dei mistici della scuola cattolica renana quali Meister Eckhart, Taulero e il Beato Suso:

     «L’anima è così completamente una con Dio che nessuno dei due può essere compreso senza l’altro. Si può concepire il calore senza il fuoco e la luce senza il sole, ma non si può pensare Dio senza l’anima, né l’anima senza Dio, tanto essi sono uno» . (Meister Eckhart, I Sermoni, Ed Paoline , Milano 2003, pag. 432).

     Per concludere, nella riflessione critica globale sul tema dell’Uno propria dell’Antropologia mistica, questa esperienza di superiore unità, da non confondere con l’unità non differenziata della Consapevolezza immanente, viene fenomenologicamente analizzata in due fasi nella dinamica progressiva dell’affermazione Divina vetero testamentaria e mosaica dell’ “Io Sono” .

     Nella prima fase , l’esperienza dell’ ”essere coscienza” può anche essere definita esperienza dell’ ”Io” Sono , in quanto l’accento di questa fase è ancora posto nell’identità individuale dell’essere, per cui la percezione dell’ ”Io” prevale sulla percezione del “Sono” . Da qui si comprende perché l’esperienza del proprio “Io” ossia dell’ego sia nella luce che nella tenebre, sia l’ultima illusione dell’anima cosciente e si afferma che l’utilità del tenebre interiore consista proprio nella sua funzione di mezzo di destrutturazione dell’ ”Io”, affinché le radici dei vizi capitali possano essere purgate e progressivamente attenuarsi a favore di una rinascita del vero “Io” che trova la sua reale natura nel confronto, nel dialogo e nell’unione con l’alterità espressa dal “Sono” .

   La seconda e ultima fase dell’ ”essere coscienza” – che non ha mai termine nel corso di questa vita –, ossia del percorso di percezione del fenomeno anima cosciente , ha come sua caratteristica principale dal punto di vista esistenziale il progressivo e totale trasferimento nell ‘alterità, nel vivere-per-l’Altro , nel vivere-per-gli altri , nel vivere in simbiosi con il cosmo. Anche qui, lo sradicamento dal proprio egocentrismo operato dalla tenebra interiore e dal lavorio sui vizi capitali continua, ma in modo più accettabile e tranquillo, in quanto l’anima cosciente è giunta ad uno stadio di maturità per cui non sfugge più la sofferenza, ma la cavalcata e la domina pacificamente attraverso la pratica meditativa dell’abbandono, pratica ora non più legata a singoli momenti ea tempi prestabiliti ma collegata ad ogni singolo respiro personale.

     All’interno della binarietà dell’ “Io-Sono” , il trasferimento dall’individualità dell’ “Io” all’alterità del “Sono” – in quanto il concetto di “Essere”è sempre partecipativo – si manifesta in diversi modi, non certo esaustivi in ​​questa esposizione. Durante l’evento meditativo può a volte apparire l’estasi, intesa qui come una perdita momentanea della percezione psichica della propria individualità e il trasferimento nel Totalmente Altro, indifferentemente percepito come personale (stato di assorbimento, relazionale) o impersonale (stato di estinzione, a-relazionale), ma più spesso prevale la percezione tenebrosa dell’Assenza in cui la coscienza viene purificata dai suoi attaccamenti e dai suoi vizi. Nel corso quotidiano dell’esistenza, invece, la caratteristica peculiare del trasferimento progressivo nell’alterità del “Sono”che non è perdita di individualità ma suo completamento, è dato da una tensione integrale dell’anima cosciente verso l’offerta totale di sé agli altri, il senso acuto della misericordia e la pratica della compassione vissuta nei confronti delle persone e di ogni essere animato e inanimato.

     Il nostro impegno per approfondire le tematiche sul Soggetto Radicale intende continuare, nella certezza di una nuova affermazione del Sacro, dell’Impero Europa, della Civiltà multipolare e nella ferma indicando che «Il Soggetto Radicale è incompatibile con qualsiasi struttura del tempo. Domanda con forza un anti-tempo, basato sul potente fuoco dell’eternità, trasfigurato alla luce della radicalità» . (Aleksandr Dugin, La Quarta Teoria Politica , NovaEuropa, Milano 2017, pp.239-240)

Fonte: Idee&Azione

30 marzo 2023

Soggetto Radicale e fenomenologia della Presenza
Soggetto Radicale e fenomenologia della Presenza

IL SEGRETO DEL DIGIUNO

di Davide Gori

Quando il corpo umano ha fame, mangia se stesso, fa un processo di pulizia, inizia eliminando tutte le cellule malate, cancerogene e invecchiate.

La fame mantiene giovane il corpo e combatte malattie come il diabete.

Durante la fame il corpo produce proteine speciali che si creano solo in determinate circostanze. E quando si fanno, l’organismo raccoglie selettivamente queste proteine intorno alle cellule malate, cancerose o morte, le dissolve e ripristina e trae beneficio dall’organismo nutritivo prodotto da questo processo. Ecco come si fa la raccolta differenziata durante il digiuno.

Gli scienziati sono riusciti attraverso lunghi studi specializzati che il processo di autofagia richiede condizioni insolite che costringano l’organismo a fare questo processo. Queste circostanze speciali includono che una persona si astenga dal mangiare per 16 ore (ciclo 8/16).

Gli esseri umani devono funzionare normalmente in questo periodo. Questo processo deve essere ripetuto per un certo periodo per garantire che l’organismo si pulisca al massimo e per non riattivare le cellule malate. Si raccomanda di ripetere il processo di fame uno o due giorni a settimana secondo Yoshinori Ohsumi – Premio Nobel per la fisiologia e la medicina.

Il digiuno intermittente di 16h non costa nulla.. Cenare alle 20:00 e poi pranzare il giorno dopo alle 12:00, salti solo la colazione e ti fa molto bene. Il corpo si pulisce.

Si può praticare digiuni completi di 10, 20 e 30 giorni solo con acqua e sentirsi molto bene!

Si può provare un digiuno di 3 giorni interi, che è quando si produce l’autofagia completa, e altrimenti i digiuni intermittenti.

Il digiuno di 40 giorni è per esseri ad alta vibrazione, il giorno quaranta non solo pulisci il tuo corpo, ma anche pulisci la tua anima dai parassiti interdimensionali e puoi aprire il terzo occhio. Questo digiuno è solo per i maestri spirituali e gli esseri ad alta vibrazione (non è raccomandato per gli apprendisti).

IL SEGRETO DEL DIGIUNO
IL SEGRETO DEL DIGIUNO

Intelligenza artificiale, Elon Musk lancia l’allarme: “rischio per l’umanità”

a cura di Armando Manocchia

L’intelligenza artificiale pone “profondi rischi per la società e l’umanità” e per questo servirebbe una “pausa” di almeno sei mesi nell’addestramento dei sistemi più avanzati. A lanciare l’allarme è Elon Musk con altri 1.000 fra ricercatori e manager che, in una lettera aperta, chiedono uno stop o una moratoria dei governi per evitare il tanto temuto “scenario Terminator” e consentire lo sviluppo di protocolli di sicurezza condivisi.
La lettera, pubblicata dalla organizzazione no profit Future of Life Institute, vanta firme eccellenti e per questo viene presa molto seriamente. A sottoscriverla ci sono il co-fondatore di Apple, Steve Wozniak, ma anche quelli di Pinterest e Skype, così come i fondatori delle start up di intelligenza artificiale Stability AI e Charatcters.ai.

Investimenti mirati di Musk

Ma tra i firmatari spicca ovviamente il nome del patron di Tesla che aspira a migliorare il cervello con Neuralink dopo aver contribuito a trasformare l’industria dello spazio con SpaceX e rivoluzionare quella dell’auto spianando la strada già più di un decennio fa alle vetture elettriche che si guidano da sole. Fanatico della tecnologia, Musk ha investito in società di intelligenza artificiale ed è stato anche nel Cda di OpenAI, il colosso del settore su cui Microsoft ha scommesso miliardi di dollari. Investimenti, come spiegato più volte dallo stesso Musk, che sono stati fatti “non per guadagnare” ma “per tenersi al passo con i tempi” e quindi conoscere queste tecnologie.

“Corsa fuori controllo allo sviluppo”

Nel mirino dei big non c’è tutta l’intelligenza artificiale ma i sistemi più avanzati di GPT-4, la chatbot di OpenAI capace di raccontare barzellette e superare facilmente esami come quello per diventare avvocato. “I sistemi potenti di IA dovrebbero essere sviluppati solo quando si ha fiducia che i loro effetti saranno positivi e i loro rischi gestibili”, si legge nella lettera in cui si parla di una “corsa fuori controllo allo sviluppo e al dispiegamento di potenti menti digitali che nessuno, neanche i loro creatori, possono capire, prevedere e controllare”.

Scongiurare “effetto Terminator”

Una corsa che, se non sarà fermata, rischia di far divenire realtà la fantascientifica “Skynet” protagonista dei film del ciclo Terminator di James Cameron e la sua decisione di distruggere l’umanità. Oppure, di far finire in mani sbagliate questi potenti sistemi con ricadute possibilmente devastanti. Pechino – ha avvertito il senatore Mike Gallagher a capo della commissione della Camera Usa sulla Cina – vede l’intelligenza artificiale come uno “strumento o un’arma per perfezionare la sua sorveglianza orwelliana tecno-totalitaria”.

Chiesta una pausa di sei mesi

Proprio il timore di conseguenze catastrofiche ha spinto i grandi dell’hi-tech a chiedere una pausa di sei mesi da usare per lo “sviluppo congiunto e l’implementazione di protocolli condivisi” che assicurino la “sicurezza” dei sistemi “al di là di ogni ragionevole dubbio”, si legge ancora nella lettera, che invita i laboratori di IA a concentrarsi nel rendere più “accurati, trasparenti, credibili e leali” gli attuali sistemi invece di correre verso lo sviluppo di mezzi ancora più potenti. “La società ha fatto una pausa su altre tecnologie con effetti potenzialmente catastrofici – prosegue la lettera -. Possiamo farlo anche in questo caso. Godiamoci una lunga estate dell’IA, e non corriamo impreparati verso l’autunno”.
https://www.tgcom24.mediaset.it/tgtech/musk-allarme-intelligenza-artificiale-rischio-umanita_62830294-202302k.shtml

Fonte: Imola Oggi

Intelligenza artificiale, Elon Musk lancia l’allarme: “rischio per l’umanità”
Intelligenza artificiale, Elon Musk lancia l’allarme: “rischio per l’umanità”

DALLA PARTE DI KALI: IL CONTO FINALE

di Roberto Siconolfi

Se la Dea Kali è quella potenza distruttiva finalizzata al bene, se il nostro tempo si configura come una grande resa dei conti alla fine di un ciclo storico e volta alla ricostruzione di uno nuovo, allora non possiamo che schiarirci dalla sua parte.
Il potere della dissoluzione, che si concretizza nella reazione a ingiustizia e iniquità, nella morte delle identificazioni, degli attaccamenti, delle architetture mentali, estendendo per analogia la funzione al crollo di istituzioni altrettanto nefaste, decadute, morte.
Come in una specie di “femminismo esoterico”, che coglie la profondità del femminile, non solo nel banale aspetto “harmony”, o peggio ancora in quello di taglio ideologico.
E anzi, se l’energia di Kali fa il suo corso, uno dei primi terreni da bonificare è proprio quello del senso comune, delle ideologie alla moda, del cosiddetto pensiero unico, vera e propria castrazione del pensiero e dell’apertura della mente, requisito fondamentale per ogni serio cammino di ricerca, vuoi nel senso della vita vissuta che nel senso spirituale.
Ed è proprio nel mondo spirituale, allo stesso modo, che l’influenza dissolutiva a fin di bene della Dea deve fare il suo corso.
Un mondo troppo speso affetto da rigidi – e dogmatici – intellettualismi; battaglie dottrinarie ai limiti della crociata; luciferiche megalomanie; soggetti psicologicamente disturbati; rinsecchiti nell’animo e pieni di veleno verso l’umanità.
E questo oltre alla fin troppo sputtanata New Age e alle religioni conformatesi al “mondo” – e al mondialismo –, o alle correnti religiose viceversa nostalgiche del “mondo” che fu.
Il caos e la distruttività del nostro tempo come nostro migliore alleato, anche nelle fin troppo evidenti questioni di carattere socio-politico.
Sapendo che il caos e la distruttività giocano a vantaggio delle forze ordinatrici e non dei loro agenti stessi.
E questo vale anche negli esempi dei governanti cattivi, giunti in qualche modo a dare il benservito a popoli sin troppo rammolliti e sottomessi, e che magari si credono anche furbi (vedere Italia).

DALLA PARTE DI KALI: IL CONTO FINALE
DALLA PARTE DI KALI: IL CONTO FINALE
DALLA PARTE DI KALI: IL CONTO FINALE

I PRINCIPI MORALI NELLA VITA

di Virna Lisi

Ho sempre pensato che la vera ricchezza di una persona consiste nella capacità di possedere cose di valore, compresa la propria bellezza, senza il bisogno di esibirle, ma contando piuttosto sulla propria professionalità, intelligenza e dignità.

Fin da giovane ho sempre rifiutato la facile scorciatoia di spogliarmi per avere successo. perchè così si fa poca strada.

È molto importante nella professione e nella vita, avere dei precisi punti di riferimento, quali principi morali saldi e la forte presenza della famiglia, nella quale io ho sempre creduto.

I PRINCIPI MORALI NELLA VITA
I PRINCIPI MORALI NELLA VITA

Uk-Australia-Usa: la cintura che strozza la Cina (e la Russia)

di Federico Giuliani

Impossibile pensare di arginare la Cina da soli. Tanto più nell’Indo-Pacifico, dove la penetrazione economica di Pechino è ancora – e, nei piani di Pechino, lo sarà per tanto altro tempo a venire – in grado di raccogliere ampi consensi, persino tra i partner più fidati degli Usa.

È partendo da questo semplice ragionamento che si può delineare la strategia di contenimento cinese degli Stati Uniti. Una strategia che, per l’importanza dell’avversario, non poteva limitarsi alla sola regione indopacifica ma che doveva, giocoforza, essere pensata a livello globale.

E così è stato, visto che la cintura di alleanze ideata da Washington per strozzare la Repubblica Popolare Cinese (e, di fatto, anche la Russia) circumnaviga l’Asia, ma parte da lontano. Da due estremità situate rispettivamente in Europa e America, e coincidenti con Regno Unito e, appunto, Stati Uniti.

In mezzo, a chiudere il semicerchio, troviamo l’Australia, sempre più centrale per bilanciare la Power Projection della Cina a cavallo tra l’Oceano Indiano e il Pacifico. E poi, a corroborare il tutto, ecco il recentissimo e storico disgelo tra Corea del Sud Giappone per mettere ulteriore pressione al Dragone nel suo “cortile di casa”.

Tassello dopo tassello, gli Stati Uniti hanno riesumato il loro vecchio sistema di alleanze, partorito all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, con l’intenzione di adattarlo al presente. Anche perché non c’è più Tokyo da tenere a bada, bensì una Cina in versione XXL arrivata a mettere in discussione la leadership globale americana e il suo ordine mondiale.

Il triangolo Usa-Uk-Australia

Dunque, per mitigare l’esuberanza cinese, ecco il primo strumento a disposizione degli Stati Uniti: l’accordo Aukus, negoziato in gran segreto durante la primavera e l’estate del 2021, che ha dato vita ad un patto tripartito tra Usa, Regno Unito e Australia, volto alla condivisione della tecnologia militare e dell’intelligence tra i partecipanti.

In particolare, uno degli obiettivi consiste nel dotare Canberra di sottomarini a propulsione nucleare grazie al trasferimento di tecnologia britannica e americana, tra cui le tecnologie di propulsione nucleare, il design dello scafo e varie armi, compresi i missili da crociera a lungo raggio. Allo stesso modo, l’intesa faciliterà lo sviluppo di nuove tecnologie avanzate.

L’esigenza dell’Australia di munirsi di deterrenti simili è nata nel 2015, quando la Royal Australian Navy ha accettato di procurarsi 12 sottomarini diesel da Naval Group, una compagnia di difesa francese, che le avrebbe fornito un modesto miglioramento delle capacità. Da allora, il governo australiano è diventato sempre più turbato dalle mosse geopolitiche della Cina di Xi Jinping, considerate una minaccia alla sovranità del Paese e al diritto di autodeterminare i propri affari. Alla fine, ufficialmente per esigenze economiche e strategiche, l’Australia ha tuttavia cancellato il contratto con Parigi per rivolgersi a Uk e Usa.

Il risultato finale è che se per la Gran Bretagna AUKUS è carburante in grado di animare la “Global Britain” – l’idea secondo cui il potere britannico dovrebbe essere utilizzato attivamente nel perseguimento di un ordine nell’Indo-Pacifico – mentre per gli Usa rappresenta un ottimo deterrente da usare in chiave anti cinese.

Non solo: l’accordo può contare su un precedente e strettissimo rapporto esistente tra i tre partecipanti. La capacità di Australia, Regno Unito e Stati Uniti di interoperare e scambiare forze tra loro è forse la più estesa al mondo, ed è figlia di accordi di spin-off terrestri, navali e aerei poco conosciuti e informali nell’ambito dei Five Eyes, un’alleanza di sorveglianza e di cooperazione congiunta in materia di intelligence che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti.

Per il Regno Unito, inoltre, AUKUS si basa sull’accordo di difesa del 2013 stipulato con l’Australia, che ha consentito il trasferimento di tecnologia militare tra i due partner.

Strozzare Pechino nell’Indo-Pacifico

Basta dare un’occhiata ad una qualsiasi mappa per capire come AUKUS nasca per “triangolare” il potere tra tre nodi geostrategici: le isole britanniche, il Nord America e l’Australia.

L’accordo estende poi all’Australia la tecnologia e le risorse che altrimenti non avrebbe, rendendo Canberra perno centrale nella strategia statunitense di contendere l’Indo-Pacifico alla Cina. Attraverso AUKUS, inoltre, il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno dimostrato di poter scoraggiare ogni possibile azione di Pechino, non solo inviando le proprie risorse strategiche nell’Indo-Pacifico, ma anche rafforzando partner e alleati regionali per competere direttamente con il Dragone nella regione.

Non basterebbero, però, soltanto tre vertici per concretizzare questa complicatissima strategia. Lungo le tre direttive citate – e cioè Uk-Australia, Australia-Usa e Usa-Uk – troviamo molteplici punti di appoggio, basi americane o più semplicemente hub militari, che consentono ai tre attori protagonisti dell’accordo di rendere più efficace la loro missione.

Da questo punto di vista, tra le strutture o presenze militari più importanti troviamo quelle di Plymouth, Portsmouth e Faslane, nel Regno Unito, dalle quali si dipanano due direttive immaginarie. La prima taglia Gibilterra (altro nodo Uk), penetra nel Mar Rocco e fa leva su Duqm e Bahrain, per poi proseguire nell’Oceano Indiano dove troviamo l’isola britannica di Diego Garcia, roccaforte di Londra e Washington. La seconda direttiva parte dalla citata Faslane, attraversa l’Artico lambendo l’Alaska per poi tuffarsi nel Pacifico.

Parallelamente, troviamo un tentacolo che collega tre importanti basi Usa: San Diego, Pearl Harbour e Apra Harbour. Il terzo vertice chiama in causa l’Australia, che offre ai partner angloamericani la Fleet Base West e la Fleet Base East, una sulla costa occidentale e l’altra su quella orientale. Canberra mette inoltre sul tavolo diversi potenziali punti di stazionamento per i futuri sottomarini nucleari, come Gladstone, Brisbane, Newcastle, Jervis Bay e Western Port Bay.

Per completare il quadro dobbiamo citare la rilevanza di Giappone, Corea del Sud e Taiwan, con i primi due Paesi che offrono basi d’appoggio agli Usa e l’isola contesa che rappresenta una spina nel fianco di Pechino.

L’ “arcipelago dell’impero”

In ogni caso, se AUKUS ha cambiato la posizione strategica dell’Australia, anche gli Stati Uniti hanno modificato il loro modus operandi. Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, Washington ha proiettato il suo potere in tutta la regione indopacifica attraverso quello che lo storico Bruce Cumings ha definito un “arcipelago dell’impero“.

In questo termine rientrano le basi insulari che vanno dalle Hawaii a Guam, e che comprendono, tra gli altri hub, Okinawa in Giappone e, nell’Oceano Indiano, Diego Garcia , affittato dalla Gran Bretagna (senza il consenso dei suoi nativi). Nell’Australia, inoltre gli Stati Uniti hanno trovato una sorta di base rafforzata di dimensioni continentali per consolidare le proprie operazioni in Asia, nonché un alleato rinvigorito da coinvolgere nel contenimento cinese.

Resta da capire se AUKUS resterà un accordo esclusivo o se sarà soltanto il primo passo di un riassetto sistemico della geopolitica angloamericana nell’Indo-Pacifico. Nonostante non sia un’alleanza formale, infatti, AUKUS è comunque un centro di gravità geopolitica basato su importanti interessi condivisi tali da attirare altre potenze regionali.

Come ha sottolineato il think tank Council on Geostrategy, altri partner dei Five Eyes, ad esempio Canada Nuova Zelanda, potrebbero essere coinvolti. Così come il Giappone che, in virtù del recente avvicinamento con Regno Unito e Italia, ha diverse cartucce da spendere.

Fonte: Inside Over

Uk-Australia-Usa: la cintura che strozza la Cina (e la Russia)
Uk-Australia-Usa: la cintura che strozza la Cina (e la Russia)

Quale umanità nel XXI secolo?

di Simone Santamato

Nella storia della filosofia, magari sottintesa o data per scontata, è da sempre presente la categoria della soggettività. A prescindere da quanto ogni momento culturale abbia potuto esporla, il fatto di pensare è sempre riferito a una soggettività e l’umano, nello specifico, non può che essere un soggetto pensante. Tra l’altro, essendo una forma esistenzialmente attiva e pensante, può rapportarsi alle cose in modo consapevole, usandole tecnicamente (vedi M. Heidegger, Essere e tempo, §15; §22). Insomma, l’accesso al mondo è scortato da soggettività che lo pensano e ne riadattano la dura materialità ai loro concetti. Tra le varie caratteristiche dei soggetti, la lingua è quella che più evolve: in quanto struttura dinamica rielabora le parole per i tempi correnti ma, nel processo, può capitare che si perda o scarichi il significato originale di qualche termine. Per questa motivazione, ricorrere all’etimologia può rappresentare un’utile via interpretativa: capita che con essa si ricucia lo strappo del tempo, ricostruendo il significato originario di un termine. O quantomeno, può essere un’opportunità mica da poco per immergersi nell’intimità delle espressioni di oggi.

Nel corso di questo articolo ci occuperemo dei soggetti cercando di comprendere cosa ne vada della loro integrità nel mondo contemporaneo. Se davvero mediante l’etimologia è possibile, come detto, aprire linee di interpretazione più nitide, sarebbe bene esaminare il termine “soggetto”.

La sua etimologia, riporta il vocabolario Treccani nell’apposito lemma, indica ciò che sottostà, quel che soggiace o, meglio, giace sotto. Con termini più filosofici il soggetto sarebbe, dunque, la sostanza. Seguendo il Dizionario di filosofia (Rizzoli, Milano 1976), la sostanza è il permanere sotto il mutamento degli attributi, nonché gode del carattere della stabilità. Mi verrebbe: esprime il criterio della fissità. Il soggetto è internamente immobile, e dispiega la sua personalità con una determinatezza temprata dalla sua esistenza: non è possibile che io sia altri che me stesso. Certe volte, preme dirlo, questa puntualità è stata vista come una costrizione che porta alla disperazione: quella di non voler essere sé stessi (vedi S. Kierkegaard, La malattia mortale, Mondadori, Milano 2019).

Malgrado questo, o forse proprio per questo, la soggettività è il perno su cui poggia la realtà, quella che riguarda ognuno di noi nella sua unicità. Se è vero che il soggetto è sostanza, e dunque è interiormente fisso, è pure vero che ognuno sia un soggetto per sé e rappresenta, per così dire, un’irripetibilità esistenziale. Non è possibile che si diano due esistenze identiche in quanto chiunque incarna una forma specifica, data dalle sue sembianze e dall’insostituibile quotidianità della sua vita. È certamente possibile vivere gli stessi eventi di qualcun altro, o ancora è probabile vivere con altri un certo momento, ma pure nella condivisione ogni soggetto vive l’accadere con la sua propria unicità.

Oggi l’integrità del soggetto, ovvero le sue fissità e determinatezza, sono minacciate. Il mondo contemporaneo, che incapsula visioni megalomane e globalizzate, stringe i soggetti, incastrandoli in una dilatazione che ne sfibra la sostanza. L’attualità non chiude le soggettività in un individualismo sfrenato – come alcuni dicono – ma proprio all’opposto penso ne allarghi a dismisura il tessuto, strappandone la fibra.

Facciamo un passo indietro: in che modo la globalizzazione intacca la natura dei soggetti? Ebbene, la si può pensare così: la logica globalizzata del XXI secolo muove da alcuni presupposti fondamentali, uno dei quali sarebbe la necessità di avere individui (che già nel loro corredo etimologico prevedono l’indivisibilità) espansi e costantemente connessi. Bisogna dirla tutta: il mondo ha cominciato ad aprirsi ben prima che gli uomini avessero l’occasione di essere online; può essere utile pensare agli imperialismi dell’ottocento, così come alle industrializzazioni dello stesso secolo che, mano a mano, hanno contribuito a uniformare la condizione tecnologica delle Nazioni. Eppure si farebbe un errore a credere che questo tipo di aspirazioni abbia esaurito la propria energia a seguito della Seconda Guerra Mondiale o della Guerra Fredda. Quello che penso, diversamente, è che oggi si presentino sotto forme diverse, riconoscibili solo se messe a fuoco.

La globalizzazione dei nostri tempi poggia, come detto, sulla connessione delle soggettività. Ci sono svariati modi per rimanere in contatto, il primo a cui si può subito pensare è internet. L’internet è una rete di interconnessioni che ha per oggetto gli individui: si tratta di saldare l’ingombro del corpo, quello che non permetterebbe di stare tutti insieme in uno stesso luogo perché alla fine non ci sarebbe più spazio. Internet risolve proprio questo inconveniente, specie considerandone il lato della socialità virtuale: il mondo intero è nello stesso luogo e può comunicare istantaneamente.

Detto questo, quella dell’internet deve essere intesa come una realtà di massa, o direi meglio come un ammasso di realtà con-fuse: i soggetti si diluiscono nella realtà “internettiana”, aderendo a una vulgata che promuove la collettività a scapito della specificità. Lo abbiamo detto: il soggetto è sostanza in quanto ognuno di noi, in virtù della sua storia, è una singolarità irripetibile. I social network la vedono in altro modo: se in ballo c’è l’immediatezza delle connessioni e la loro perenne disponibilità, è necessario che ogni individuo si sciolga in un contesto che lo veda sempre reperibile.

La globalizzazione dei giorni nostri non si inquadra solo con una nuova socialità virtuale, ma dirama le sue radici in altri settori. Ad esempio quelli economici, letti da Bauman come incentivanti un consumismo che intacca l’affermazione individuale: Chi vive nel mondo liquido-moderno […] Vaga per i meandri dei centri commerciali, spinto e guidato dalla speranza semiconsapevole d’imbattersi proprio nel badge o segno di riconoscimento che gli occorre per tenere aggiornato il proprio io. (Z. Bauman, Vita liquida, Laterza, Bari 2005, p. 27)

Mi muoverei verso una inflessione filosofica della globalizzazione, che si nota, a mio parere, soprattutto nella filosofia del con (d’ora in poi “con-ontologia”) del J.-L. Nancy di Essere singolare plurale (Einaudi, Torino 2020).

Gli autori parlano di sé molto meglio di chiunque possa presentarli, pertanto lascerei a Nancy dire che la con-ontologia riguarda il fatto che il senso, inteso così assolutamente, si è trasformato nel nudo nome del nostro essere-gli-uni-con-gli-altri: noi non abbiamo più senso perché siamo noi stessi il senso. (Ivi, p. 5). Il soggetto non è più sensato in sé stesso, nella sua sostanzialità diremmo noi, ma assume sensatezza nella compartecipazione, nella coincidenza, nella mistura con altre soggettività. Il senso sta insomma nell’essere in relazione; più correttamente, il senso è la relazione. La filosofia di Nancy risulta essere una dottrina all’avanguardia, al passo coi tempi: pensando una soggettività sensata solo nella pluralità delle relazioni, incentiva una sensatezza più grande dei singoli, aderente perciò alla globalizzazione digitale.

Si rincara la dose quando si scopre che nel mondo con-ontologico i soggetti nella loro singolarità, fondamentalmente, non esistono: «l’esistenza è con: oppure niente esiste» (ivi, p. 8), dice. Pare una devitalizzazione del soggetto, ammesso che ancora ci si possa riferire alle soggettività: la quotidianità di ogni individuo è insulsa, perché acquisisce potenza solo se soppesata dagli altri. La gente è strana, ci dice Nancy, ma credo sia più stranente che nessuno conti davvero qualcosa perché solo il tutto fa senso. Una suggestione di Morton (Noi, esseri ecologici, Laterza, Bari 2018) riporta che le parti sono maggiori dell’intero, opponendosi all’assunto aristotelico per cui il tutto sia maggiore della somma delle sue parti:

L’intero non è più grande della somma delle sue parti. In realtà è meno della somma delle sue parti. Suona talmente folle […] Ma appena lo capisci, allora appare davvero come una maniera più facile di pensare. (Ivi, p. 90)

Questa inversione di marcia è importante perché Morton, all’opposto di Nancy, consegna una lettura che potenzia i soggetti in quanto ognuno, pure nella sua parzialità, esiste con una certa dignità e quotidianità, e ciò lo rende sensato di per sé, anche più dell’intero a cui apparterrebbe. La con-ontologia è per vie traverse una filosofia “internettiana”, non nel senso che esibisca l’internet o riguardi questo, ma che ne è una costola fondamentale. La liquidità del soggetto contemporaneo, colpito dal consumismo da una parte e dal digitale dall’altra, accusa un ulteriore scacco matto da parte delle filosofie più all’avanguardia, come appunto quella di Nancy.

In un’epoca dove dilaga la tristezza, un gran capo di imputazione va rimesso alle tossiche ottiche globali che ingrigiscono le soggettività. L’individuo è un sistema cortocircuitante, le cui parti entrano in combutta con l’intero e non trovano altra soluzione che lasciarsi fondere dall’apparente sicurezza del tutto, che dovrebbe abbracciarle. Benasayag e Schmit, ne L’epoca delle passioni tristi (Feltrinelli, Milano 2013), offrono una lettura destabilizzante della tristezza dei giorni nostri, tremenda nel suo evidenziare l’insopportabile banalità del reale: viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava “passioni tristi”. Con questa espressione il filosofo non si riferiva alla tristezza del pianto, ma all’impotenza e alla disgregazione. (Ivi, pp. 20-21)

Gli autori del saggio sono due psichiatri specializzati nel trattamento terapeutico di bambini e adolescenti che, notando una crescente richiesta di terapia, decidono di denunciare una realtà che sembra generare una delle più rognose patologie emotive: la tristezza. I giovani del nostro tempo, gli adulti di domani, sono tristi, irrimediabilmente sfaldati e compromessi della loro personalità. La nostra attualità disincentiva la coltivazione della propria identità con paradigmi così globalizzati da indebolire l’unicità di ognuno: quanto conta davvero il mio apporto nel mondo, se questo pare sfuggirmi non appena cerco di acchiapparlo?

L’analisi di Benasayag e Schmit non è solo fortemente visionaria ma pure terrorizzante in quanto non si tratta più di una infelicità emotiva, dovuta a traumi localizzati o psicologicamente circoscritti: quella odierna è una tristezza ontologica, che riguarda il tessuto della soggettività, e che smembra il senso del nostro essere-nel-mondo.

I soggetti, gli individui, le persone sono l’urgenza del nostro tempo: diluiti in un mondo spersonalizzante e liquido, hanno bisogno di ricostituirsi, non solo per concepire la loro  unicità ma soprattutto per essere felici di stare al mondo.

Fonte: Pagine Filosofali

Quale umanità nel XXI secolo?
Quale umanità nel XXI secolo?

LE ENERGIE DEL NOSTRO PIANETA

di Nikola Tesla

“Sulla terra c’è abbastanza elettricità per diventare un secondo sole. La luce brillerebbe intorno all’equatore, come un anello intorno al Saturno. A Colorado Springs, ho illuminato la Terra con l’elettricità. Inoltre, la possiamo illuminare con altre energie, come, per esempio, l’energia positiva mentale. Tali energie sono evidenti nelle musiche di Bach o Mozart, o nei versi di un grande poeta. All’interno della Terra, ci sono energie di allegria, pace e amore; si manifestano con un fiore che cresce dal terreno, ed il cibo che riceviamo da esso e tutto ciò che fa risiedere l’uomo in quella determinata area. Ho trascorso alcuni anni a cercare il modo in cui questa energia potrebbe essere influenzata dalle persone. La bellezza e il profumo delle rose può essere usata come una medicina, ed i raggi del sole come il cibo. Tante persone mi chiamano sognatore, ridendo delle mie idee. Il nostro mondo è prodigo di persone superficiali. Il tempo farà da giudice.”

LE ENERGIE DEL NOSTRO PIANETA
LE ENERGIE DEL NOSTRO PIANETA

NOI ANIME DI LUCE

di Giada Aghi

Noi Anime pure non combatteremo mai tra di noi, perché allora non saremmo Anime, ma solo un gruppo di ego che credono di volare verso l’illuminazione e di essere liberi.
In primo luogo, gli ego non volano, sono troppo pesanti per volare e coloro che combattono o fanno la guerra non sono liberi, sono prigionieri della loro mente, della loro invidia, avidità, egoismo…
Le vere Anime irradiano il mondo con la luce, gioiscono con le altre anime, imparano insieme la verità della terra, si riuniscono nell’amore infinito per madre natura, lodano il mistero dell’universo.
Costruiscono la loro conoscenza e si riconoscono l’una nell’altra, perché sanno di essere specchi, riflessi di un tutto.
Possono avere i loro scambi di opinioni e quando il calderone arde, c’è sempre una risata che cambia tutto. Perché ridono fino a morire, sanno che morire ridendo guarisce l’anima e guarisce la mente egoica.
Ridono di se stesse e piangono, condividendo le loro esperienze di vita. Non hanno bisogno di mettere nessuna maschera, mostrano le loro fragilità come la loro forza.
Si alzano tutti appoggiandosi l’uno all’altro, condividendo le loro verità, le loro conoscenza e saggezza.
Ad ogni ciclo della natura si riuniscono sotto le gronde degli alberi sacri, sono tempi di amore, di abbandono.
Il silenzio li chiama.
Una pace si radica nella terra, gli alberi consegnano la loro conoscenza, la saggezza dell’esistenza. L’amore è una preghiera per loro.
Gli esseri coscienti di luce inspirano amore, espirano verità.
Poi tornano alla loro vita, più illuminati, più consapevoli dei loro doni… Sapendo che nessuno è migliore dell’altro, ma sono tutte scintille di vita che sono qui per una missione
Sempre con amore.
Dr.ssa Giada Aghi

Fonte: Medicina della Psiche

NOI ANIME DI LUCE
NOI ANIME DI LUCE

PECCATO, APPARENZA, SACRIFICIO, POTENZA DEL NEGATIVO

di Flavio Piero Cuniberto

Quello che l’antico lessico morale ha chiamato a lungo «peccato» – e che oggi sopravvive perlopiù come un fossile linguistico o come «violazione dei diritti umani e ambientali» – è una deviazione da un ordine morale che è però, in profondità, un ordine metafisico. Il «peccato» devia dalla «via» (in ebraico: derekh), che è il ritmo stesso dell’essere, o sempre con riferimento alle Scritture ebraiche, quel «camminare» di Dio di cui i santi mantengono il ritmo («ambulare cum Deo»).
Ma deviare dal ritmo dell’essere non è (non dovrebbe essere) possibile, o meglio lo è solo in apparenza, perché la deviazione è non-essere. E infatti la semantica antica del «peccato» (quella ebraica, in parte quella greca) lo associa alla «vanitas» (awen), all’errore o all’illusione, a ciò che essenzialmente non è ma appare, e apparendo seduce (la seduzione del peccato sta nel misterioso potere attrattivo o di «risucchio» che è la proprietà del Nulla).
E’ per questo che la morale cristiana classica attribuisce un’importanza fondamentale al pentimento inteso come «contrizione»: come atto che consuma e distrugge, sacrificandola, l’apparenza del peccato, o il peccato-come-apparenza – perché è sì apparenza, ma un’apparenza vischiosa che va distrutta – restituendola al suo non-essere (il «sacrificium cordis» dei Salmi; «cor contritum et humiliatum deus non despicies» [Ps 51]).
Questa dolorosa consumazione sacrificale ha un effetto corroborante: rafforza lo slancio della via, come se il peccato-apparenza consumato-distrutto fungesse da «carburante» per l’ascesa (la Via è ascendente). Di qui la festa che accompagna il ritorno del figlio dissipato nella famosa parabola (che diventando la parabola del «figliol prodigo» si affloscia in una caramellosa retorica da sacrestia).
E’ così che la tradizione cristiana ed ebraico-cristiana pensa e pratica la «potenza del negativo». O meglio: la hegeliana «potenza del negativo» non fa che tradurre in termini logico-dialettici – di fatto una «teologia [theo-sophia] mascherata» – il movimento che va dalla «via» (tesi) alla sua deviazione apparente (antitesi), al ritorno potenziato sulla via (sintesi; la triade innocenza-peccato-virtù è pura teologia morale radicata nella metafisica).
Aggiornando il vecchio lessico sacramentale della «penitenza» e della «contrizione» per sostituirlo con quello, ritenuto più moderno e perciò più vacuo, della «riconciliazione», la Chiesa post-conciliare non dà solo uno spettacolo di ipocrisia (non volendo chiamare le cose col loro nome, perché la penitenza è dolorosa), ma dimostra di non comprendere più il significato metafisico della dottrina. La «rinconciliazione» è la versione umanitaria, dolciastra e borghese, del «pentimento» come atto sacrificale. Sembra sorridere, invece è l’Età Oscura.

PECCATO, APPARENZA, SACRIFICIO, POTENZA DEL NEGATIVO
PECCATO, APPARENZA, SACRIFICIO, POTENZA DEL NEGATIVO