“Non solo le droghe sintetiche (come l’ecstasy, la LSD, le anfetamine, gli ansiolitici etc.) costituiscono un grave danno per la salute fisica, psicologica e spirituale dell’individuo, ma anche quelle naturali, sia che si tratti di droghe derivate dal Regno Vegetale (come la canapa, la cocaina, l’eroina, l’oppio, etc., ma anche il tabacco, la caffeina, etc.) sia che si tratti di droghe prodotte dal cervello (come l’abuso di dopamina, di serotonina, di ossitocina, endorfine, etc.).
Può forse stupire l’inclusione nel nostro elenco di droghe leggere, come la canapa, di cui dal punto di vista medico sono spesso esaltate anche doti benefiche. I benefici medici offerti dalle droghe sono efficaci solo a breve termine e solitamente sostituiscono la buona volontà della persona. La forza interiore viene in questo modo indebolita e lo stato di dipendenza indotto dalle droghe alimenta lo stato di dualità nell’individuo, rendendo più difficile l’autocontrollo emotivo, che è la vera chiave della felicità di una persona.
L’assunzione di canapa altera negativamente la frequenza della coscienza, in quanto questa sostanza è capace di provocare elevati stati di euforia ed esaltazione per poi far cadere nella depressione e nella paranoia. A causa della conseguente perdita di autocontrollo, dovuta alla maggiore influenza dell’emozione-desiderio nella dimensione astrale, si finisce in balìa della volontà altrui, accondiscendendo a gesti ai quali, nel normale stato di coscienza, non si sarebbe mai accondisceso. Inoltre, assumere canapa può condurre a livelli tanto infimi di coscienza da indurre la mente a concepire immagini allucinatorie spaventose sepolte nel proprio inconscio. Una volta persa la propria lucidità si può facilmente precipitare nel basso astrale, dove risiedono le passioni più recondite ed istintive dell’essere umano”.
(Tratto dal Manuale di Nomofisia, disponibile gratuitamente su www.nomofisia.org).
Stiamo assistendo a quello che in molti abbiamo scritto, nero su bianco, in decine di articoli negli ultimi 10 anni fa.
Più gli Stati Uniti spingono sull’acceleratore di un irrealizzabile desiderio di egemonia globale (basata su capitalismo, imperialismo, neoliberismo e neocolonialismo), maggiore sarà il contraccolpo per loro, ma soprattutto per noi Europei.
E’ inutile percorrere tutti gli eventi che hanno portato a dove siamo oggi nel 2022 come conglomerato euro-atlantico a guida statunitense.
Washington è disposta a combattere fino all’ultimo Europeo l’evoluzione economica, militare e sociale di un mondo ormai stabilito in termini multipolare (più nazioni che dominano lo scacchiere globale).
Le possibili sanzioni all’India per l’acquisto dalla Russia di energia ed altre risorse è solo l’ultima dimostrazione di quanto poco controllo ci sia degli Stati Uniti, persino su quelle nazioni considerate allineate e fondamentali, per tentare di arginare l’integrazione del super continente Eurasiatico.
L’unico successo importante per gli Stati Uniti è la definitiva rottura della (mai) realizzabile idea di unione Euro-asiatica. Il sogno di un collegamento economico e materiale dalla Cina fino al Portogallo. Qualcosa che avrebbe potuto rilanciare il nostro destino e che invece ci vede allineati completamente alle posizioni di Washington in termini di illusione egemonica globale, con l’illusorio sogno di una sottomissione dei tre giganti quali India, Cina e Russia.
Per non farci mancare assolutamente niente in questo gioco al (nostro) massacro, iniziano a verificarsi sempre più insistenti voci su un accordo mastodontico tra Riyad e Pechino per la vendita del petrolio Saudita in Yuan. Uno dei pilastri su cui si basa il sostenimento del militarismo e del conseguente debito pubblico USA inizia a vacillare. Non sarà un avvenimento dal giorno alla notte, ma il trend appare tracciato.
La fase storica che stiamo vivendo in questi giorni fa parte di un’accelerazione degli equilibri globali che diventa sempre più tangibile. Non è per nulla casuale che mentre in Ucraina la Russia perseguiva la sua operazione militare speciale, l’Iran abbia bombardato una base operativa Israeliana in Iraq puntando sulla minaccia presente sui suoi confini. Non è una coincidenza che Xi Jinping abbia ribadito ancor più fermamente quale sia il destino di Taiwan (riunificazione con la madre terra) e persino che Kim Jong-Un abbia ventilato un test missilistico intercontinentale.
La sopravvivenza di una nazione è la regola base su cui si fonda l’esistenza di uno Stato e quando questo principio viene minacciato, assistiamo inevitabilmente ad una risposta. A volte può essere economica, spesso è militare.
Se la strada tracciata dagli Stati Uniti e dall’Europa, nell’ottica di arrestare la transizione multipolare, è quella che stiamo osservando in questi giorni, gli aspetti vitali della nostra esistenza come Europei non potranno che peggiorare.
Washington è impegnata a combattere il suo destino fino all’ultimo Ucraino e ben presto non avrà scrupoli a combattere fino all’ultimo Europeo per fermare tutto ciò che non rientra più sotto la sua sfera di influenza.
Servirebbe grande equilibrio e saggezza per navigare una crisi del genere in Europa, ma fino ad ora la nostra unica risposta è stata di fornire più armi all’Ucraina (per avere così più morti tra i civili da imputare alla Russia, dimostrando così peraltro che della popolazione locale non ci interessa minimamente, come in Iraq, Libia, Siria, Afghanistan, etc), minacciare Cina, Iran ed India di sanzioni e legarci ancor più al destino, segnato, degli Stati Uniti.
Non proprio la più brillante delle strategie, per usare un eufemismo.
Estratto da un discorso tenuto dalla Guida della Rivoluzione Islamica, l’Imam Khamenei, in occasione dell’anniversario della nascita del Profeta Muhammad (S) e dell’Imam Sadiq, durante la 35° Conferenza sull’Unità Islamica, tenutasi a Teheran il 24 ottobre 2021.
Gli sforzi dei nemici per promuovere l’idea che l’Islam non debba interferire se non nelle questioni private
Per quanto riguarda la questione dell’attuazione dell’onnicomprensività dell’Islam, v’è stato uno sforzo insistente, principalmente da parte delle potenze politiche e materialiste, di ridurre l’Islam a un insieme di insegnamenti relativi al singolo individuo e al mero credo interiore. Si tratta di uno sforzo in atto da molto tempo. Non posso indicare una data specifica che indichi l’inizio di una tale azione, ma, certamente, da cento anni o più questo progetto è emerso palesemente nel mondo islamico.
Tale sforzo è stato intensificato dopo la nascita della Repubblica Islamica [dell’Iran, nel 1979, ndt]. Cercano di far in modo che non sembri un progetto politico, dandogli una veste intellettuale. Come dicono gli occidentali, hanno tentato di “teorizzarlo”. Pensatori, scrittori, attivisti e simili sono incaricati di scrivere su questo argomento e dimostrare come l’Islam non abbia nulla a che fare con il contesto sociale, con i temi riguardanti la vita e con le questioni fondamentali dell’umanità: l’Islam sarebbe una mera fede del cuore, un rapporto intimo con Dio e una serie di azioni individuali basate su questo rapporto. Presentano l’Islam in questo modo e insistono per convincerne il loro pubblico.
Dal punto di vista di questa tendenza apparentemente intellettuale ma in realtà politica, aree importanti della vita e delle relazioni sociali devono rimanere impermeabili all’influenza islamica. Essi asseriscono che l’Islam non debba giocare alcun ruolo nella gestione del consesso civile e nell’edificazione di una civiltà propriamente detta: in altre parole, non dovrebbe metter bocca né nello sviluppo del tessuto sociale, né tanto meno nella distribuzione dei poteri e delle ricchezze comunitarie. Secondo costoro l’economia e tutte le altre questioni sociali non avrebbero nulla a che fare con l’Islam.
E lo stesso vale per la guerra e la pace, la politica interna ed estera e le questioni internazionali. A volte dicono: “Non trasformate la diplomazia in ideologia. Non legatela all’ideologia”. Con ciò intendono dire che l’Islam non dovrebbe pronunciarsi sulla politica estera e le questioni internazionali. Per quanto riguarda la diffusione del bene, l’instaurazione della giustizia, la lotta al male, all’oppressione ed all’azione delle forze malvagie nel mondo, l’Islam non avrebbe alcuna funzione. In questi importanti ambiti della vita umana, l’Islam non sarebbe né un punto di riferimento intellettuale né una guida pratica. Questo è ciò su cui insistono.
Ora, il motivo di tanta insistenza e il suo punto di origine sono questioni che esulano dal mio intervento di oggi. Quello che prima di tutto voglio dire è che questo movimento, anti-islamico nella sua essenza, è opera principalmente delle grandi potenze politiche mondiali. Sono costoro ad essere i principali attori nel promuovere tale posizione attraverso i loro intellettuali organici.
Il dovere dei musulmani verso l’onnicomprensività dell’Islam: promuovere il punto di vista dell’Islam
Ebbene, le fonti islamiche rifiutano esplicitamente codeste asserzioni ed è imperativo categorico di noi musulmani prestare attenzione a detta questione. Quando affermo la necessità di adempiere al nostro dovere, intendo principalmente dire che dovremmo promuovere ed esprimere la visione che l’Islam ha di se stesso nella sua totale interezza, e dunque anche riguardo a tutti quegli ambiti della vita umana di cui detiene una sua prospettiva originale e precisa; mi riferisco al dovere che abbiamo di manifestarla, chiarirla e diffonderla. Questo come primo passo. Poi, dovremmo provare a metterla in pratica.
La religione abbraccia tutti gli aspetti della vita umana
Ciò che l’Islam afferma ha un raggio d’azione comprendente l’intero ambito della vita umana, dalle realtà più intime e interiori alle questioni sociali, politiche e internazionali, abbracciando tutte le faccende riguardanti l’umanità nella sua interezza. Questo è stato chiaramente enunciato nel Sacro Corano, e colui che lo neghi è in aperta contraddizione col suo santo dettato.
Il Corano in un versetto dice: “O voi che credete, ricordate spesso il Nome di Allah e glorificateLo al mattino e alla fine del giorno”. (Sacro Corano, 33: 41-42) Si tratta di un aspetto relativo alla propria sfera spirituale e interiore. Ma in un altro versetto afferma: “Coloro che credono combattono per la causa di Allah, mentre i miscredenti combattono per la causa degli idoli. Combattete gli alleati di Satana”. (Sacro Corano, 4:76) Anche questo aspetto viene annoverato. Quindi, dal “ricordate spesso il Nome di Allah” al “lottare contro gli amici di Satana” è chiaro che tutti questi ambiti rientrino nella sfera della religione.
In un altro versetto si rivolge al Santo Profeta dicendo: “Veglia una parte della notte, la metà, oppure meno, oppure poco più. E recita il Corano lentamente, distintamente” (Sacro Corano, 73:2-4) e in un altro versetto ancora Dio dice, sempre rivolgendosi al Santo Profeta: “Combatti dunque per la causa di Allah – sei responsabile solo di te stesso – e incoraggia i credenti”. (Sacro Corano, 4:84) Ciò significa che tutti questi campi della vita, che vanno dallo stare in piedi in veglia notturna pregando, supplicando e versando lacrime, fino al combattere e mostrandosi sul campo di battaglia, rappresentano aree in cui la religione è attiva; e la vita del Santo Profeta ce ne dà conferma.
Quanto alle norme finanziarie, il Corano dice: “e che [li] preferiscono a loro stessi nonostante siano nel bisogno”. (Sacro Corano, 59:9) Questo è un ordine personale. Altrove dice “cosicché non sia diviso tra i ricchi fra di voi” (Corano, 59:7), indicando la corretta distribuzione della ricchezza, una questione totalmente sociale. In un altro versetto dice: “affinché gli uomini osservassero l’equità”. (Corano, 57:25) I Profeti e gli Awliya (amici intimi) di Dio sono venuti infatti per stabilire l’equità e la giustizia.
Un altro versetto dice: “Non date in mano agli incapaci i beni che Allah vi ha concesso per la sopravvivenza”. (Sacro Corano, 4:5), e in un altro recita: “Preleva sui loro beni un’elemosina tramite la quale li purifichi e li mondi e prega per loro”. (Corano, 9:103) Tutti gli aspetti delle questioni finanziarie sono menzionati sotto forma di norme e linee guida generali. Dovrebbero naturalmente esserci piani per la loro attuazione, ma sono comunque le regole generali e le linee guida ad essere menzionate. Questa è una palese dimostrazione di come l’Islam possegga una propria visione e posizione su tutte queste questioni.
Nel Corano sono presenti anche versetti sulla sicurezza interna della società: “Se gli ipocriti, coloro che hanno un morbo nel cuore e coloro che spargono la sedizione non smettono, ti faremo scendere in guerra contro di loro”. (Corano, 33:60) Un altro versetto dice: “Se giunge loro una notizia, motivo di sicurezza o di allarme, la divulgano. Se la riferissero al Messaggero…” (Corano, 4:83) Anche questi versetti dimostrano come l’Islam si sia chiaramente espresso su tutti gli aspetti importanti della vita sociale. I versetti che ho menzionato sono solo una piccola parte di quelli presenti nel Sacro Corano. Potrei riportare centinaia di altri esempi consimili.
Una persona che possegga familiarità con il Corano e le sue norme comprende subito che è questo l’Islam presentato dal Santo Libro. Il tipo di Islam che il Corano definisce e presenta abbraccia tutti gli aspetti della vita, indicando al riguardo idee, prospettive e doveri. Ebbene, dovremmo esserne consapevoli e rispondere a coloro che cercano di negare questa chiara verità.
La nomina di un Imam e capo
D’altra parte, alla luce di aspetti sociali e responsabilità importanti quali l’edificazione di una società e di una civiltà islamica, l’Islam si occupa anche della questione del potere politico. Come è possibile che l’Islam richieda la costituzione di un ordinamento sociale ma non chiarisca la questione della sua guida negli affari religiosi e mondani? Quando la religione diventa un ordinamento – un ordinamento relativo alla persona e alla società – e possiede una determinata prospettiva e posizione su tutte le questioni individuali e sociali, allora è necessario determinare chi sia a capo di questa società e quali caratteristiche dovrebbe possedere. La religione deve pertanto nominare un Imam.
Se osservate il Corano, ci sono almeno due versetti nei quali i profeti vengono descritti come Imam. Uno di questi è: “Ne facemmo Imam che dirigessero le genti secondo il Nostro ordine. Rivelammo loro di fare il bene, di osservare l’orazione…” (Corano, 21:73) Un altro versetto in cui Dio stesso parla di Imam è “scegliemmo tra loro degli Imam che li dirigessero secondo il Nostro comando”. (Corano, 32:24) Ciò significa che un profeta è Imam, guida e capo nella società.
Ecco perché l’Imam Sadiq (pace e saluti su di lui) si alzò in piedi tra la folla radunata a Mina e gridò: “O gente, il Messaggero di Dio era davvero un Imam“. E’ affinché le persone capissero quale fosse l’autentico Movimento religioso del Santo Profeta, che egli si alzò in piedi tra la folla e gridò: “O gente, il Messaggero di Dio era davvero un Imam“.
In tutto il mondo dell’Islam, intellettuali e sapienti religiosi, scrittori, ricercatori e professori universitari hanno il dovere di spiegarlo, poiché, dal canto suo, il nemico investe molto per promuovere il punto di vista esattamente opposto.
Esprimo alcune posizioni, in ordine sistematico (quanto meno nelle mie intenzioni) a proposito della guerra tra Russia e NATO in atto, con teatro principale almeno provvisorio, purtroppo per gli ucraini, il territorio ucraino: [1]
L’attuale guerra è un episodio (per ora l’ultimo cronologicamente parlando) di una fase della “riprogettazione dell’ordine mondiale” avviata con l’inizio dell’amministrazione Biden negli USA e caratterizzata da tre aspetti salienti: a. la ripresa forte, con il binomio Biden-Harris, della tradizionale politica del Partito Democratico statunitense, che consiste nella fede nel “manifesto destino” della nazione americana facente centro sul principio che interesse statunitense e libertà-diritto alla felicità del genere umano coincidono; b. consapevolezzadell’obiettivo declino dell’egemonia mondiale della superpotenza statunitense dopo il “picco” dell’inizio degli Anni Novanta (gli anni della maldestra “profezia” di Francis Fukuyama); c. consapevolezza profonda della necessità di “distrarre” l’opinione pubblica statunitense ( e mondiale) dallo spettacolo del declino degli USA, dall’impoverimento socioeconomico e culturale del popolo statunitense all’enormità insostenibile del debito pubblico ed estero ecc., costringendo gli USA e il mondo a guardare altrove, allo scenario mondiale; e ciò a qualunque costo, anche a quello di una guerra. Difatti ne hanno scelta una: quella con la Russia, a meno che non sia possibile anche là il golpe della “Rivoluzione arancione”, magari provocata dagli oligarchi che attualmente possono essere più o meno putiniani, ma che sono sempre e comunque, in quanto appunto “oligarchi” (pertanto una lobby plutocratica, affaristica e imprenditoriale), spettatori sensibili nonché in parte coprotagonisti del turbocapitalismo che governa o comunque dirige il pianeta.
L’attuale guerra non è cominciata alla fine del febbraio 2022 con l’aggressione russa all’Ucraina, bensì nel 2014 con il golpe che a Kiev rovesciò il governo legittimo di Janukovich (com’era avvenuto nel 2003 con la “rivoluzione delle rose” in Georgia e con quella “arancione” del 2004-2005 in Ucraina) e avviò un primo tentativo, con il governo Poroshenko, di passare dalla parte formale dell’Unione Europea, cioè sostanzialmente da parte della NATO; con episodi infami, come il massacro degli inermi cittadini russi a Odessa da parte delle milizie estremiste ucraine (2.5.2014).[2]
Il “protocollo di Minsk” concordato il 5.9.2014 tra Russia, Ucraina e comunità russofone del Donbass sotto egide dell’OSCE aveva concordato ampie autonomie per il Donbass stesso; nel contempo la NATO si era impegnata (lo faceva del 1991) a non cercare ulteriormente di avanzare verso est.
Il “protocollo di Minsk” è stato disatteso sia dalla NATO, che soprattutto col governo Želensky ha trattato il passaggio dell’Europa all’UE (cioè sostanzialmente alla NATO, con avanzata verso est della sua linea missilistica ”difensiva”) mentre il governo ucraino ha intensificato almeno dal 2015 la repressione contro i gruppi politici stimati “filorussi” e le azioni militari contro le comunità del Donbass e le sevizie ai cittadini “non allineati”.[3]
Il governo russo ha più volte ammonito quello ucraino affinché violenze e prevaricazioni cessassero e nel dicembre 2021 ha ufficialmente inoltrato al governo statunitense una proposta di accordo sulla situazione ucraina. Tutti gli appelli sono rimasti inevasi e i media occidentali non ne hanno parlato.[4]
A questo punto la Federazione Russa poteva affidarsi solo alle armi per le tutela delle due autoproclamate repubbliche del Donbass; e doveva farlo al più presto per precedere un eventuale ingresso ucraino nella NATO. Da qui il discorso televisivo di Putin della notte del 25.2.2022.
Scelte come l’invio di armi all’Ucraina in un momento di conflitto sono formalmente atti di guerra della NATO contro la Russia; solo la moderazione e il senso di responsabilità del governo della Federazione Russa ci salvano da una risposta legittima, che coinciderebbe a questo punto con una guerra mondiale.
Aggressione di uno stato sovrano? Benissimo: proceda pure la corte dell’Aja contro la Federazione Russa. A quando i processi contro la NATO (posta sotto alto comando USA) per Serbia 1998-9, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Georgia 2004-13 (l’infame governo del criminale Saak’ashvili), Libia 2011, Siria 2011.[5]
Le sanzioni contro la Russia le paga la Russia, ma anche l’Europa; gli USA e la NATO, che pagano pochissimo, se ne fregano.[6]
La verità ultima, da tener bene presente, è che quella in corso è una guerra scatenata dalla NATO direttamente contro la Russia per sovvertire l’ordinamento interno di quel paese e distogliere l’opinione pubblica statunitense e mondiale dalla rovina nella quale il governo Biden sta precipitando gli USA e indirettamente contro l’Europa, asservita alla NATO e a rischio di trovarsi in prima linea in caso di estensione del conflitto.[7]
Ma veniamo all’Europa e all’Italia, presumibilmente vittime del conflitto e a quanto pare felicissima d’inasprirlo. L’invio di armi all’Ucraina in un momento di conflitto rappresenta formalmente una atto di guerra della NATO contro la Russia. Dal 1914 al 1917 l’America mandava aiuti all’Inghilterra con la scusa della legge sugli affitti e i prestiti: il Kaiser affondava i convogli inglesi con i sottomarini. Alla fine però è scoppiata anche la guerra: cerchiamo di non arrivare a questo. Quanto alle sanzioni contro la Russia: paga la Russia, ma anche l’Europa mentre gli USA e la NATO, che pagano pochissimo, se ne fregano. Preoccupanti comunque le notizie del 15 u.s. dagli States: se Želensky comincia a dar segni di cedimento (che sarebbe piuttosto ragionevolezza), attorno a lui spuntano “falchi” che rifiutano ogni sorta di trattativa e sembrano trovare una sponda inattesa negli ambienti vicini al presidente Biden, che per la sua cronica indecisione viene messo in difficoltà. Entra a gamba tesa nel dibattito anche l’ineffabile Mike Pompeo, il “superfalco”, anche lui per la linea dura. C’è da chiedersi se tutto ciò non sia per caso sintomo di qualcosa che bolle in pentola. La storia è imprevedibile. Se nelle prossime ore o nei prossimi giorni avvenisse qualcosa d’inatteso, che rimettesse tutto in discussione, non ci sarebbe da stupirsi. Magari qualcosa di grave da attribuirsi subito e facilmente ai russi – “che bisogno abbiamo dei testimoni?” -, una specie di nuovo “incendio del Reichstag”. Che cosa significa la vaga ma ostinata insinuazione, circolante in molti ambienti giornalistici e addirittura militari, che i russi potrebbero usare “le armi chimiche”, un’eventualità obiettivamente remota in questo tipo di conflitto?
Franco Cardini
[1] Consiglio la preliminare consultazione di: Grand Atlas du monde, dir. p. F. Tétart, Paris 2013; La gèopolitique mondiale en 40 cartes, Paris 2022; Le bilan du mone – “Le Monde”, Hord Série, éd 2002, Paris 2022: La Russia cambia il mondo, “Limes”, 2, 2002.
[2] O.Boyd-Barrett, Western Mainstream Media and the Ukraine Crisis, Routledge 2016.
Le funzioni del Nabi, del Rasul e dell’Imam richiamano aspetti e caratteristiche della “Regalità Sacra”, concetto tradizionale, religioso e politico al tempo stesso, in base al quale un particolare essere umano è visto come un’incarnazione, una manifestazione, un mediatore o un agente del sacro o del divino (il regno trascendente o soprannaturale). Le similarità sono molteplici, anche se il Corano, facendo riferimento alla Bibbia, distingue il Nabi dal Malik (Re).
Nelle antiche civiltà tradizionali, quando la religione era total-mente connessa con l’intera esistenza dell’individuo così come a quella della comunità, e quando i regni erano in varia misura collegati con poteri religiosi o istituzioni religiose, non poteva esserci regno che non fosse in un certo senso sacrale.
Fondamentale per la comprensione della Regalità sacra era il ri-conoscimento che l’esercizio del potere di una persona su altre per-sone o su una comunità (locale, regionale o imperiale) era generale e non diviso. Il potere poteva essere esercitato da una sola persona – una persona che avesse simultaneamente la forza e l’influenza fisica e spirituale necessarie – sia sulle persone che sugli oggetti. Poiché era sovrano di una comunità, il potere del Re si estendeva a tutto ciò che riguardava la vita della comunità. Il Sovrano era il detentore del potere soprannaturale necessario per mantenere il benessere e l’ordine della comunità e per evitare pericoli e danni. Nel Sovrano era concentrata l’eredità comune del potere spirituale della comunità, e la sua autorità si basava unicamente sul possesso e sull’esercizio di questo potere soprannaturale. L’impatto e la completezza di tale potere esercitato dal Sovrano si estendeva a tutti i settori della vita. Poiché il potere soprannaturale del Sovrano era identico alla sua stessa forza vitale, egli non poteva avere alcun difetto fisico o psichico.
Oltre alla concezione di un Re come incarnazione del potere soprannaturale, era diffusa anche la convinzione che il Re fosse l’agente esecutivo di una divinità, proprio come il Nabi. Come servitore di un dio, compie l’opera del dio sulla terra. Il carattere divino di questa forma di sacra regalità è connesso non tanto con il singolo Re, quanto con l’istituzione della Regalità. In questa enfasi sull’istituzione della regalità sta la differenza, ad esempio, tra la regalità in Mesopotamia ed Egitto, e quella in India e in Cina: l’istituzione, la funzione, è stata posta in preminenza in Mesopotamia e Cina.
Non si possono tracciare distinzioni nette tra le diverse concezioni del rapporto di un dio con la regalità. Nonostante tutte le diverse espressioni di regalità nella storia della Mesopotamia (soprattutto tra gli imperi di Sumer, Babilonia e Assiria), c’era tuttavia un tema continuo: il vero Signore della città, del paese o dello stato rimane il dio, e il Re gli rimane in una relazione asservita. Anche quando il Re possedeva o disponeva del potere divino e aveva carattere sacrale e doveri sacrali, rimaneva subordinato al dio che lo scelse e lo mise nella sua posizione regale. Il Re aveva una posizione di mediazione tra gli dei e l’uomo, soprattutto nel suo significato per il culto (ad esempio, Sargon di Akkad è descritto per la prima volta nelle iscrizioni come vice di Ishtar). Il Re aveva anche uno status simile come agente in Mongolia, dove si credeva che egli venisse dal cielo e fosse intronizzato da Dio per compiere la sua volontà.
La funzione abituale di un Re sacro, che aveva anche potere sulle forze della natura, era portare benedizioni al suo popolo e all’area di controllo. Anche la protezione contro il male di ogni genere era impor-tante per il benessere della comunità, e a volte si credeva che il Re avesse il potere di curare la malattia per mezzo del tocco o del contatto con la sua veste o con il suo corpo. La funzione del Re come portatore di fortuna era particolarmente prevalente in Africa, ma fu osservata anche in Polinesia, Scandinavia e nell’antica Grecia. Il potere di por-tare fortuna è anche un aspetto della Regalità sacra in culture come quella dell’India, della Persia, della Cina, del Giappone, della Mesoamerica precolombiana, dell’Egitto, della Mesopotamia e di Canaan.
In Mesopotamia era abbastanza frequente la descrizione del Re come pastore, che in ambito iniziatico indica il Maestro. Tale termine fu applicato ai principi della città sumera (ad esempio, Lugalbanda nella I dinastia di Uruk [Erech]), e la funzione del Re come pastore è stata notata anche in India. L’immagine del pastore esprime le funzioni più importanti del Re: fornisce cibo al suo popolo; li guida e li protegge dai pericoli e, allo stesso tempo, mostra la sua superiorità su di loro. La descrizione che Cristo fa di se stesso come il “buon pastore” è, in un certo senso, una descrizione della sua posizione ufficiale nella Chiesa cristiana, che lo descrive anche come Re, principe della Pace e Signore. Nella tradizione islamica si dice che prima di raggiungere la posizione di Profeti, questi prescelti da Dio erano soliti trascorrere una parte della loro vita come pastori in modo che potessero trascorrere un po’ di tempo allevando greggi e armenti, e così diventassero pazienti e tolleranti per l’educazione degli esseri umani e potessero prendere è facile sopportare tutte le difficoltà e le sofferenze. Quanto detto sopra si basa sui contenuti di una tradizione in cui è stato detto. «Allah non ha mandato alcun Profeta che non sia stato incaricato di pascere le greggi come pastore, affinché impari a guidare il popolo». Anche il Profeta Muhammad svolse nella sua vita l’attività di pastore, e la maggior parte degli autori della Seerah (bografia) ha citato questa sua frase: «tutti i Profeti sono stati pastori per qualche tempo prima di raggiungere la posizione di Profeta». Ovviamente, è verosimile che i Profeti fossero pastori anche in senso iniziatico.
Fin dai primi tempi, oltre ad altre funzioni, il Re era giudice della sua comunità, personificava la protezione che la comunità offriva all’individuo. Fornendo un equilibrio di potere nella comunità, mediando le liti e proteggendo i diritti individuali, il Re era il legislatore e il più alto amministratore di tutti gli affari della comunità. L’ensi, ad esempio, il legislatore e la massima autorità giudiziaria della città-stato sumera, era responsabile dell’ordine. In Egitto il Re era il giudice supremo, il garante di tutto l’ordine pubblico, il signore della vita e della morte. Il primo Egitto e l’India svilupparono un alto grado di giustizia che descriveva le attività del Re come maʿat in Egitto e dharma in India. Poiché il Re preservava l’ordine mondiale dato da Dio, il compito di essere giusto era considerato una delle sue funzioni fondamentali. Si credeva, ad esempio, che il Faraone d’Egitto e l’Imperatore della Cina fossero responsabili del mantenimento dell’ordine cosmico e sociale.
La fede nel potere soprannaturale del Sovrano lo faceva vedere come il protettore del suo popolo dai nemici. Da un lato, era il principale signore della guerra e decideva su questioni di guerra e pace (co-me nell’antica Sumer). Il Faraone egiziano era rappresentato, nella sua qualità divina di guerriero, in dimensioni più grandi della vita. Lui solo era considerato colui che trionfava sul nemico. D’altra parte, c’era il concetto secondo cui il Re, in virtù del suo carattere sacrale, non dovesse partecipare personalmente alla guerra. Questi concetti esistevano, ad esempio, tra i Re persiani.
I doveri religiosi molto spesso era collegati con la funzione di Re, che è anche sacerdote o veggente. Nella III dinastia di Uruk, Lugalzaggisi è descritto come Re del paese, Sacerdote del dio Anu (il dio dei cieli) e Profeta di Nisaba (dea dell’erba e della scrittura). Quando si sviluppò una divisione delle funzioni, le funzioni sacerdotali e di culto intrinsecamente reali furono trasferite a sacerdoti, veggenti e altri servitori del culto; il vecchio concetto del Re come sacerdote, tuttavia, sopravvisse in qualche modo per migliaia di anni. Il Re egiziano era il Sommo Sacerdote del paese e il superiore di tutti i funzionari del culto. In Mesopotamia il Re era visto come il mediatore cultuale tra Divinità e uomo. Come capo di tutti i sacerdoti del paese, svolgeva importanti funzioni di culto durante la festa di Capodanno. In situazioni critiche, il Re poteva emettere un oracolo di benedizione; per mezzo di lui alla terra sarebbe stata promessa la salvezza, che spesso era accompagnata dalle parole: “Non temere!”. Il Re per-siano compiva il sacrificio all’offerta del cavallo ed era anche il “custode del fuoco”; in tutte le questioni di religione era la massima autorità, ed era anche il più colto dei maghi. Il Re di Ugarit (in Canaan) svolgeva anche funzioni sacerdotali e come Profeta era destinatario di rivelazioni. Come altri antichi monarchi mediorientali, il Re ittita era il sommo sacerdote. Il rapporto tra regalità sacra e funzioni di culto sacerdotale era esteso a vaste aree geografiche ed epoche stori-che: Asia orientale, Cina, Giappone, India, Europa (tra i Re germani-co e scandinavo), Africa e Madagascar. Talvolta la divisione delle funzioni comportava il trasferimento del titolo regio a coloro che svolgevano funzioni di culto. In Africa fin dai tempi più antichi c’era un tipo di Re che si chiamava signore della terra; originariamente univa funzioni politiche e cultuali ma, con il mutare dei tempi, mantenne solo quelle cultuali.
Il Re poteva essere il destinatario di una rivelazione diretta della vo-lontà di un dio, proprio come il Nabi. Così, in Egitto, il faraone riceveva un oracolo divino attraverso i sogni nel tempio (una pratica nota come “incubazione”). In Mesopotamia era fortemente accentuato il dovere del Re di accertare la volontà degli Dèi. Tutte le grandi imprese del Re dipendevano dalle direttive della Divinità, che doveva essere consultato in anticipo. Una rivelazione divina a un Re si trova nel-la Bibbia, che racconta di un sogno di Salomone in cui egli ricevette la promessa del dono della saggezza. Allo stesso modo JHWH dà al Faraone una direttiva in sogno.
Il katechon è un inviato del Cielo che a seconda dell’epoca storica e del contesto geografico esprime un’identità antropologica che si riferisce sempre ad una visione legata alla Tradizione Primordiale o in generale a una qualsiasi tradizione di cui porta bandiera rifacendosi come portatore di virtù celesti e primordiali che devono contenere l’identità di un deviante controtradizionale, presentandosi di volta in volta nella storia come aggiustamento strutturale realizzato come atto creativo, delle concezioni vigenti deviate da un solco storico che vengono letteralmente “rettificate” fissando nomi attraverso parole, ovvero simboli suoni e significati che riportano ad un antico ordine tradizionale che soppianta la deviazione procedurale in corso d’opera.
Come afferma Carl Schmitt nel suo diario del 1947, “per ogni epoca degli ultimi 1948 anni si deve poter nominare un katechon. Il posto non fu mai vacante, altrimenti non esisteremmo più. […] Ci sono depositari temporanei, transitori e frammentati di questo compito. Sono sicuro che non appena il concetto sarà sufficientemente chiarito potremo allora addirittura metterci d’accordo sui molti nomi concreti e fino ai nostri giorni”.
L’anno è il 1914. Gli anni della prima guerra mondiale e gli agricoltori che coltivavano “canapa” in cambio di dollari americani…
Tieniamolo presente e continuiamo a leggere.
La canapa industriale non è solo una pianta agricola poiché è l’antidoto contro il petrolio e il dollaro.
COME È STATO VIETATO IL COMMERCIO DELLA CANAPA?
1. Un acro di canapa produce tanto ossigeno quanto 25 acri di bosco.
2. Ancora una volta, un acro di canapa può produrre la stessa quantità di carta di 4 acri di alberi.
3. Mentre la canapa può essere trasformata in carta 8 volte, il legno può diventare carta 3 volte.
4. La canapa cresce in 4 mesi, il legno tra 20-50 anni.
5. La cannabis è una vera trappola per le radiazioni.
6. La cannabis può essere coltivata ovunque nel mondo e ha bisogno di pochissima acqua. Inoltre, come può spaventare gli insetti, non ha bisogno di pesticidi.
7. Se i tessili fabbricati con la canapa si diffondono, l’industria dei pesticidi potrebbe scomparire completamente.
8. I primi jeans erano fabbricati con canapa; anche la parola “KANVAS” è il nome che ricevono i prodotti di canapa. La canapa è anche una pianta ideale per fabbricare corde, lacci, borse, scarpe e cappelli.
9. Riduce gli effetti della chemioterapia e delle radiazioni nel trattamento della cannabis, dell’AIDS e del cancro; viene utilizzato in almeno 250 malattie come reumatismi, cuore, epilessia, asma, stomaco, insonnia, psicologia e in fermezza della colonna vertebrale.
10. Il valore proteico dei semi di canapa è molto alto e i due acidi grassi che contiene non si trovano altrove nella natura.
11. La canapa è ancora più economica della soia.
12. Gli animali nutriti con cannabis non hanno bisogno di integratori ormonali.
13. Tutti i prodotti in plastica possono essere fabbricati con canapa e la plastica di canapa è molto facile da riportare alla natura.
14. Se la carrozzeria di un’auto è fatta di canapa, sarà 10 volte più forte dell’acciaio.
15. Può essere utilizzato anche per isolare gli edifici; è duraturo, economico e flessibile.
16. Saponi e cosmetici realizzati con canapa non inquinano l’acqua, quindi sono assolutamente ecologici. Nell’America del XVIII secolo la sua produzione era obbligatoria e i contadini che non producevano venivano imprigionati. Ma ora la situazione si è invertita. DA DOVE?
-W. Р. Hearst possedeva giornali, riviste e media negli Stati Uniti negli anni 1900. Avevano boschi e producevano carta. Se la carta fosse stata fatta con la canapa, avrebbe perso milioni.
-Rockefeller era l’uomo più ricco del mondo. Aveva una compagnia petrolifera. Il biocarburante, l’olio di canapa, era ovviamente il suo più grande nemico.
-Mellon era uno dei principali azionisti della società Dupont e aveva un brevetto per la fabbricazione di plastica da prodotti petroliferi. E l’industria della cannabis minacciava il suo mercato.
Più tardi, Mellon divenne Segretario del Tesoro del Presidente Hoover. Quei grandi nomi di cui abbiamo parlato hanno deciso nelle loro riunioni che la cannabis era il nemico e l’hanno eliminata.
Attraverso i media, hanno inciso la marijuana nel cervello delle persone come una droga tossica, insieme alla parola marijuana.
Le droghe di cannabis sono state ritirate dal mercato, sostituite dalle droghe chimiche oggi usate.
Le foreste vengono abbattute per produrre carta.
Intossicazione da pesticidi e cancro sono in aumento.
E poi riempiamo il nostro mondo con spazzatura di plastica e rifiuti nocivi.
La Democrazia, che non è sinonimo di libertà, non è logica in teoria né attuabile nella pratica (cfr. Platone, Aristotele, Evola, Guénon ecc.)
La Democrazia altro non è che un Regime Occulto di una élite che si esercita sulla “maggioranza” con la manipolazione della stessa, ovvero sulla “mediocrità” del gregge dei votanti. Tale elite per distrarre la massa bovina, permette la libera soddisfazione di tutte le passioni dell’ego e del corpo: questa è chiamata libertà.
La Tradizione è l’opposto della democrazia: l’Autorità viene dall’alto e si esercita verso il basso; essa limita le libertà e le passioni dell’ego (il quale risponde accusando: dittatura, oppressione, teocrazia ecc.) ma in tal modo attua la vera libertà del Sè dai legami mondani e corporei, così come anche dall’azioni arbitrarie degli altri uomini.
Ma chi stabilisce o ristabilisce l’ordine mondiale, quando viene violato con una guerra o un’invasione? Chi è il sovrano supremo, o l’arbitro che dispone della forza e dell’autorità per decidere i torti e le ragioni, i diritti e le prevaricazioni?
In un mondo perfetto ci sarebbe un Re del mondo – per citare un’opera di René Guénon – con un Impero Universale, come fu il Sacro romano impero in Occidente, che garantisce i diritti dei popoli, degli stati e degli individui e le loro sovranità, limiti e confini. O, in una versione più terrena e più moderna, vi sarebbe la Comunità internazionale come organismo supremo di uno Stato planetario, che può imporre ai singoli soggetti il rispetto dei diritti e dei doveri. Ma sappiamo che l’Impero Universale è solo un nobile ideale e l’organizzazione delle Nazioni Unite non ha mai davvero governato l’ordine del mondo. Inoltre è pressoché impossibile che qualcuno guidi la comunità internazionale anche perché i criteri di selezione divergono: sul piano dei diritti, della potenza economica e militare prevale il mondo nord-occidentale; sul piano demografico, territoriale e del numero di Stati membri il criterio si rovescia, e prevale l’area afro-asiatica. I “valori” dominanti nella globalizzazione vengono dall’Occidente a partire dai diritti umani ma sul piano dei popoli e dei territori l’Europa è meno importante dell’Africa e l’America meno importante dell’Asia. Infatti il ruolo dell’Onu non ha mai decollato.
Di fatto, per circa mezzo secolo il mondo fu dominato da due superpotenze che si spartivano le loro aree di influenze, una limitava l’altra, con la deterrenza, il compromesso o la guerra fredda. Ma quando nel 1991 crollò definitivamente l’Unione sovietica, il bipolarismo mondiale fu sostituito dall’egemonia planetaria degli Stati Uniti: che interveniva dappertutto, salvo nei paesi in cui poneva a rischio l’equilibrio mondiale; poteva bombardare e distruggere insediamenti militari, e perfino popolazioni civili; poteva ritenere alcuni stati canaglia e disporre dei destini planetari. Ma con gli anni, prendono consistenza geopolitica alcune varianti: il mondo islamico insorge e alcune sue punte estreme – incattivite dalla guerra del Golfo, la guerra all’Iraq e l’interventismo nel Medio Oriente – colpiscono obbiettivi simbolici della potenza euro-americana. Aiutato dall’espansione demografica e dai flussi di emigrati verso il nord e l’Occidente, l’Islam infrange l’ordine mondiale americano e stabilisce una nuova tensione non tra Est e Ovest ma tra Nord e Sud.
L’altra novità è il colonialismo prima commerciale e tecnologico della Cina tecno-comunista e del suo “capitalismo di Stato” che diventa competitore globale degli Usa. Intanto la Russia si rialza e con Putin si avvia a riacquistare uno statuto di potenza, seppure non come prima del ’91. La Russia mira a restare egemone nella sua area e su molti dei paesi che un tempo erano satelliti dell’Urss. Non può accettare di essere ridotta al rango di singola nazione circondata dalle basi Nato e privata di ogni autorevolezza sovranazionale.
Se l’Islam avvia un’invasione globale, se gli Stati Uniti e la Repubblica cinese proseguono la loro opera di colonizzazione soprattutto commerciale ma anche ideologica, la Russia non mostra mire colonizzatrici, salvo la naturale espansione economica (per es. col gas) non vuol mettere sotto scacco l’Europa o altre aree del pianeta, ma vuole stabilire questo primato territoriale ed essere circondato da stati neutrali se non sotto l’influenza russa. L’ordine mondiale non può rispecchiare l’ordine americano e coincidere coi suoi piani; la Nato non può espandersi nel mondo, stabilire i diritti e le ingerenze, avocare a sé la polizia internazionale e castigare ogni linea difforme.
Questa è la situazione allo stato attuale. Allora qual è la soluzione di fronte a conflitti come questo? Non c’è una soluzione ma un compromesso realistico tra potenze, diritti, modelli, esigenze. Non potendo avere un Ordine Mondiale universalmente riconosciuto o imposto, stabilito da un Sovrano e garante con la forza e l’autorevolezza di arbitro sovraordinato a tutti gli Stati, l’unica soluzione realistica è accettare la pluralità del mondo e circoscrivere, riconoscere alcune aree omogenee o spazi vitali – per dirla con la geopolitica, Carl Schmitt o più recentemente Samuel Huntington: l’Europa, gli Stati Uniti, l’America latina, la Russia, la Cina, l’India, il sud-est Asiatico, l’Africa, il Medio Oriente o civiltà islamica, l’Australia. Le grandi aree naturalmente possono essere intese diversamente, ma queste dieci ci sembrano le più indicative, a loro volta suddivise in altre aree minori. L’ordine mondiale non può che essere governato da rappresentanti di queste dieci realtà principali.
Non è la soluzione regina e le tensioni non sono certo evitate, ma l’unico criterio di compromesso, l’unico confine di garanzia non può che essere stabilito a partire da queste linee di demarcazione.
Nel caso Ucraina, non può essere la superpotenza americana a stabilire la liceità di fagocitare a occidente l’Ucraina che già nel nome rispecchia il travaglio del suo confine; e non può essere la Russia a imporre con la forza la sua egemonia. E’ necessario riconoscere in queste terre di mezzo una dignitosa neutralità in modo che l’Ucraina non diventi né Occidente, con le basi Nato sui confini con la Russia, né diventi Stato satellite della Russia; ma uno Stato autonomo neutrale che resti a separare l’Occidente e l’Oriente. Ma la verità non è di questo mondo, così come la giustizia e l’armonia. E l’umanità resterà preda delle sue prove di forza, finché guerra non li separi.
La sconfitta della Germania nazista e dell’Impero del Giappone nella seconda guerra mondiale inaugurò l’era della Guerra Fredda. Per quattro decenni e mezzo tra la sconfitta del fascismo e il crollo del comunismo, gli affari globali si sono svolti in uno scenario bipolare di distruzione “reciprocamente assicurata” tra le due superpotenze nucleari: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. La caduta del muro di Berlino nel 1989 e lo scioglimento formale dell’Unione Sovietica nel 1991 hanno inaugurato un momento unipolare di indiscussa supremazia economica, diplomatica, militare e geopolitica americana sulla scena mondiale.
Diverse generazioni di americani, millennial e Gen Z allo stesso modo, hanno raggiunto l’età politica nel momento unipolare. Come millennial nato nel 1989, posso dire che il momento unipolare è tutto ciò che la mia generazione ha mai conosciuto. Le varie manifestazioni del momento unipolare, come l’impareggiabile forza navale americana nel garantire il libero scambio in alto mare, l’impareggiabile predominio americano nelle istituzioni multilaterali come le Nazioni Unite e l’incessante urgenza di intervenire militarmente in terre lontane per motivi moralistici o umanitari , divenne di rigore. Anche il discorso di “eccezionalismo americano”, sebbene tipicamente radicato nel costituzionalismo e nella teoria politica della fondazione americana, iniziò ad assumere una tonalità decisamente sciovinista. Sebbene sia satira, il film del 2004 Team America: World Police ha ancora catturato l’essenza dell’apice dell’era unipolare.
Con l’ascesa della Cina e il ritorno della competizione tra le grandi potenze, quell’era unipolare è, a tutti gli effetti, ora finita. E la strisciante consapevolezza che questo è, in effetti, il caso sconvolgerà molti ubriachi dal fugace sballo del trionfo di Ronald Reagan sul comunismo, che preferirebbero vivere in uno stato di nostalgia o di negazione. Ma è imperativo che gli statisti americani affrontino sobriamente le ramificazioni.
I primi segni dello sgretolamento dell’ordine unipolare giunsero dalle macerie delle guerre incapaci di cambio di regime moralistico, solitamente chiamate “Guerra al terrore”. Gli eccessi arroganti e militaristici degli elementi neoconservatori di destra (vale a dire, Afghanistan e Iraq) e della sinistra internazionalista umanitaria (vale a dire, Libia), i cui fallimenti erano chiaramente evidenti almeno un decennio fa ma che tuttavia sono stati racchiusi dalla disastroso ritiro dall’Afghanistan, hanno messo a dura prova la cittadinanza americana.
Una politica prudente cercherebbe di promuovere un’alleanza deterrente cinese regionale in stile Abraham Accords in Estremo Oriente, con India, Corea del Sud e Giappone come ancore di riferimento.
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I manifesti fallimenti delle guerre per il cambio di regime sono costati all’America enormi somme di sangue e tesori, ma probabilmente ancora più importante è stato il simbolismo a lungo termine trasmesso: l’America non è onnipotente e l’America è incapace di creare il mondo a propria immagine. Questa sobria conclusione è rafforzata solo se si considerano tutti i problemi interni che la nostra cittadinanza impoverita deve affrontare: inflazione decennale, tassi di natalità fuori dal matrimonio alle stelle, un confine meridionale poroso, tassi crescenti di omicidi e criminalità violenta e la metastasi di sciocchezze apertamente razziste come la ” teoria critica della razza” e i principi profondamente divisivi della moderna ideologia di genere. In parole povere, con gli insegnanti delle scuole elementari che dicono agli studenti bianchi che stanno “assassinando lo spirito” i loro compagni di classe neri e con “ore di storie da drag queen” che spuntano nelle biblioteche pubbliche locali.
L’ascesa della Cina negli ultimi dieci anni sotto la guida di Xi Jinping, nel frattempo, è stata notevole (e straziante). La Belt and Road Initiative di Xi, un massiccio progetto infrastrutturale globale guidato dalla Cina che raggiunge le profondità dell’Asia, del Medio Oriente e dell’Europa, minaccia di rimodellare vaste aree della Terra abitata nell’immagine distopica del Partito Comunista Cinese. L’Esercito popolare di liberazione cinese sta costruendo il suo arsenale militare a un ritmo allarmante; La Cina ha anche costruito la sua prima base militare africana, a Gibuti, e ha firmato un memorandum d’intesa con l’Iran per aiutare a rafforzare l’economia di quello “stato terrorista”. La Cina ha testato missili ipersonici facendoli volare in giro per il mondo, se non altro per dimostrare che può farlo.
Proprio l’anno scorso, il Partito Comunista Cinese ha effettivamente ripreso Hong Kong, 25 anni prima che fosse formalmente impostato per essere completamente reincorporato, senza sparare un colpo. Xi e l’uomo forte russo Vladimir Putin, attualmente l’uomo più ricercato al mondo per il suo audace avventurismo militare in Ucraina, ora parlano apertamente di un nuovo ordine mondiale insieme. E data la vestigia di ultra-falco nei confronti della Russia, vediamo da gran parte dei cittadini statunitensi dell’era della Guerra Fredda che vede ancora il petrol-stato russo (nb: l’undicesimo PIL più grande del mondo) come una minaccia esistenziale, e che persiste ancora Sulla continua espansione della NATO (nb: un’organizzazione che ha raggiunto il suo scopo fondamentale, la sconfitta dell’Unione Sovietica, oltre tre decenni fa), non sorprende che Putin cada in grembo a Xi.
La natura terribile della nostra difficile situazione e la realtà che la Cina rimane (nonostante l’attuale riacutizzazione nell’Europa orientale) di gran lunga la più grande minaccia geopolitica e geostrategica per l’interesse nazionale americano e per lo stile di vita americano, la politica americana fuori dagli schemi dovrebbe militare a favore della creatività. L’America non è adatta in questo momento, date le realtà di bilancio, una cittadinanza stanca della guerra e altri molteplici problemi interni, a sovraccaricarsi sulla scena mondiale e illudersi nel pensare di poter gestire da sola tutti i problemi del mondo. Quell’era è finita.
Dobbiamo riconciliarci, in misura ragionevole, con l’inevitabilità della continua ascesa della Cina e il probabile ritorno di una nuova scacchiera globale simile alla Guerra Fredda. Una politica prudente cercherebbe di promuovere un’alleanza deterrente cinese regionale in stile Abraham Accords in Estremo Oriente, con India, Corea del Sud e Giappone come ancore. Forse la cosa più provocatoria, dopo la fine dell’attuale guerra in Ucraina, un tentativo di appianare le relazioni a lungo termine con la Russia è salutare. Il precedente qui è chiaro: la famigerata visita del presidente Richard Nixon al presidente Mao a Pechino nel 1972. L’apertura della Cina all’economia globale si è rivelata catastrofica, come notevolmente esacerbata dal presidente Bill Clinton e da entrambi i presidenti Bush, ma all’epoca la mossa di Nixon era un testardo tentativo logico di cercare di ottenere influenza sull’Unione Sovietica.
Una politica efficace richiede di riconoscere il mondo così com’è, non di esprimere desideri su ciò che potrebbe o dovrebbe essere. Ciò significa riconoscere la fine dell’era unipolare. Mai prima d’ora la diplomazia realista americana incentrata sull’interesse nazionale ha avuto più importanza. Ma prima evitiamo di farci risucchiare dalla terza guerra mondiale in Ucraina.